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Infermieri, una specie in via d’estinzione

Ogni anno vanno in pensione 12.000 infermieri, ma solo 3.000 di loro vengono rimpiazzati. Da “L’altrapagina”, mensile di Città di Castello (Perugia).

Michela Dini

"Emergenza Infermieri: ne mancano 40.000". Recentemente la notizia ha fatto il giro dei telegiornali e dei quotidiani. Una vecchia storia, questa, con la quale il nostro paese sembra destinato a fare i conti per ancora molto tempo. Sì, perché stando alle cifre i conti proprio non tornano; ogni anno, infatti, dei 12.000 infermieri che vanno in pensione ne vengono rimpiazzati solo 3.000.

Cosa fare? Il governo di turno ha proposto una soluzione destinata a far discutere (almeno gli addetti ai lavori). Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri prevede il richiamo dei pensionati, che si rendono disponibili a tornare in servizio, purché abbiano dato le dimissioni da non oltre 5 anni. Si prevede anche la possibilità di prestazioni aggiuntive in regime di libera professione per i dipendenti disposti a restare in corsia oltre il normale orario di lavoro.

E nel frattempo i maggiori ospedali del centro-nord si arrangiano come possono per accaparrarsi l’ultimo infermiere disponibile. In costante lotta con le cliniche private, c’è chi offre vitto e alloggio e chi promette bonus fedeltà a chi garantisce di restare in servizio almeno per tre anni. Misura, quest’ultima, rivolta soprattutto agli infermieri del sud Italia. Il sud, infatti, sembra disporre di un maggior numero di infermieri, che talvolta sono costretti a emigrare per qualche anno prima di trovare posto vicino casa. Così il nostro sistema sanitario nazionale rischia davvero grosso, perché è evidentemente impossibile pensarlo senza infermieri. E nel frattempo si chiudono reparti o, peggio ancora, si lavora con un organico insufficiente: una condizione che contribuisce non poco a trasformare quegli angeli della corsia in diavoli. Quali sono le cause di tutto ciò? Perché i giovani sembrano riluttanti nell’avvicinarsi a questa professione? Forse troppi anni di studio? Sì, una delle cause potrebbe essere questa. Da qualche anno per diventare infermieri non basta più, dopo il titolo di maturità quinquennale, iscriversi a una delle scuole professionali che erano presenti in quasi tutti gli ospedali. Ora, chi vuol fare questo lavoro deve compiere i suoi studi in sede universitaria dove fino all’anno passato si conseguiva il diploma universitario in Scienze infermieristiche, dal corrente anno accademico trasformato in laurea di primo livello. Cosa significa tutto ciò tradotto in pratica? Ad esempio nella nostra realtà?

Prima che la formazione degli infermieri entrasse in Università se un abitante della nostra Valtiberina voleva fare il corso da infermiere aveva due possibilità: l’ospedale di Sansepolcro e quello di Città di Castello, dove, fra l’altro, riceveva un modesto incentivo economico; adesso invece deve andare a Perugia, pagare le tasse universitarie e sostenere le spese di uno studente fuori sede. "Non ne vale la pena" - devono aver pensato molti giovani, visto che dopo questo cambiamento le iscrizioni sono diminuite drasticamente. E poi, francamente, fra i modelli vincenti che ci propone la Tv non c’è certo l’infermiere. Nell’era della new economy non c’è posto per una professione al cui centro è l’uomo, le sue malattie e la morte. E poi la professione infermieristica sconta un retaggio culturale che la vuole soggetta alla professione medica, e in cui si è servi due volte: del malato e del medico. E così, nell’immaginario collettivo, la figura dell’infermiere è vista come era un secolo fa. E invece le cose sono molto cambiate, negli ultimi anni; fra l’altro,c’è stata l’abolizione del mansionario, l’elaborazione di un codice deontologico e l’emanazione di un profilo professionale ove si afferma che l’infermiere "è responsabile dell’assistenza infermieristica...": egli cioè non deve occuparsi semplicemente di eseguire ciò che prescrive il medico (pur restando questa una parte essenziale del suo lavoro), ma ha un’importante sfera di autonomia al centro della quale c’è il malato inteso come persona e non come l’organo da curare. Ed è questa la cosa più difficile, è questo lo specifico infermieristico; uno specifico che stenta a emergere.

Per essere all’altezza del suo compito l’infermiere ha bisogno di strumenti specifici (piani di assistenza personalizzati, cartella infermieristica e di ricerca infermieristica... e tantissimi altri) e di essere affiancato da figure di supporto, quali gli operatori tecnico-sanitari: quelle figure che negli altri paesi d’Europa vengono chiamate gli aiuto-infermieri. Figure indispensabili ma che non devono essere utilizzate per tamponare la carenza di infermieri, altrimenti il salto di qualità fatto negli ultimi anni dalla professione (grazie soprattutto all’ingresso della formazione in università) andrebbe a farsi benedire.

Probabilmente, se i giovani conoscessero lo specifico di questa professione, penserebbero che ne vale la pena...

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