Né leader, né dispensatore di poltrone
La Giunta Dellai non ha più ragione d'essere: sbeffeggiati i programmi, la voglia di poltrone non trova sbocchi razionali. Le ragioni di fondo di una crisi irresolvibile.
Non conosciamo, mentre andiamo in stampa, le ultime evoluzioni della crisi della Giunta Provinciale: chi voterà la mozione di sfiducia contro Dellai, quale sarà il comportamento del Patt, da che parte andranno Caterina Dominici o Paola Conci… Ma tutto questo è assolutamente secondario.
Il discorso di fondo è chiaro: la Giunta Dellai non ha più ragione di essere, e tenta solo di sopravvivere a se stessa.
Ricapitoliamo, per cenni telegrafici, gli ultimi avvenimenti. Accadimenti esterni mettono in crisi la Giunta: muore l’assessore Casagranda (e le subentra la prof. Dominici, formalmente di Forza Italia), si dimette l’assessore Molinari in seguito ad una condanna giudiziaria. A questo si aggiunge l’abbandono della maggioranza da parte del consigliere socialista Mauro Leveghi, in base ad un ragionamento cinico ma ineccepibile: sostengo una maggioranza che porti avanti un programma condiviso, oppure che mi dia una poltrona; ma se non c’è né l’uno né l’altra, non sostengo nessuno.
E poi l’assessore Muraro, che ha un assessorato inconsistente, si mette a fare le bizze. Non per una questione di poltrone, per carità, ma su un punto programmatico: lui è di Pergine, afferma che la Valsugana ha assoluto bisogno della PiRuBi, quindi o si fa la PiRuBi o è crisi.
Dellai corre ai ripari. Come? Con la sua logica. Promette una poltrona a Leveghi. Ne promette un’altra alla Dominici, che subito si mette in stand-by piantando Forza Italia. Ne promette una terza a Paola Conci, disponibile ad abbandonare gli ex-Dc duri del Centro. Blandisce Muraro. Avvia consultazioni con il Patt (altre poltrone in vista) perché entri in maggioranza.
Siamo stati sintetici, come promesso. E in quattro parole abbiamo sintetizzato balletti di mesi: nel frattempo c’è stato il G8, i pestaggi di Genova, l’estate, l’attentato a New York, un inizio di recessione economica. La politica trentina ferma, a parlare di nuove sigle, aggregazioni, spartizioni.
Senza arrivare da nessuna parte.
Il fatto è che la Giunta Dellai è finita. Dopo lo scontro sulla Jumela e tutte le piccinerie conseguenti, è apparso chiaro che non ci sono programmi, finalità che tengano: contano le clientele e le poltrone. Ma liquidata la politica come condivisione di obiettivi, è venuto meno il collante che dovrebbe tenere insieme persone diverse. Che a questo punto perseguono scopi squisitamente individuali: ottenere il massimo di potere personale in questa legislatura, posizionarsi al meglio per la prossima.
Per una maggioranza di 18 consiglieri, occorrerebbero 18 assessorati provinciali (gli scranni regionali sono considerati insufficienti, le vice-presidenze del Consiglio insultanti) e forse ancora non basterebbero a placare ambizioni e rivendicazioni di fettine di potere: in ogni caso 18 posti non ci sono. Il conseguimento di una maggioranza stabile, fondata sul principio della soddisfazione degli appetiti personali, si sta rivelando una (peraltro orrida) chimera.
A tutto questo vanno aggiunti i limiti dello stesso Dellai. Il quale, ormai dismesse le vesti di leader, non riesce neanche a indossare quelle di manovratore doroteo, gran dispensatore di seggiole. Il Lorenzo ex-Magnifico infatti, si dimostra carente nei rapporti personali; soprattutto perché a tutti fornisce una sgradevole (e giustificata) impressione di inaffidabilità: di giocare Andreotti contro i Ds, la novella Uap contro il Patt, la Cogo contro Panizza, la Dominici contro Muraro, la Conci contro Molinari; con un solo obiettivo vero, allargare il potere proprio e del fido Grisenti.
Il che non vuol dire che, dopo un ulteriore protrarsi dei balletti, magari per sfinimento, magari perché le alternative latitano, alla fine non si vari un qualche governicchio. Ma sarà una cosa inutile, senza prospettive, che solo un miracolo potrebbe portare a gestire senza infamia l’ordinaria amministrazione.
Colpa del sistema elettorale? Risultato del lungo processo di superamento dell’ordine doroteo?
Senz’altro.
Ma anche demerito specifico dell’attuale presidente della Giunta. Che era stato capace di costruirsi un’inusitata immagine personale; e una solida alleanza elettorale, che aveva sortito una maggioranza di 16 consiglieri dell’Ulivo, tutti vincolati a un programma comune: un favorevole dato di partenza che nessuno aveva mai avuto dopo il crollo democristiano. Ma tutto questo, alla prova dei fatti, cioè del governo, lo ha poi dissipato nel giro di soli due anni.
Di sicuro non lo faranno, ma dovrebbero riflettere i tantissimi che due anni fa osannavano "il nostro leader". Non parliamo poi dei pochi sprovveduti che ancora oggi al "leader" si aggrappano.