Tempo di “Esodo”
Visto a Brescia (a Trento si sono preferite proposte di facciata come il Machbet di Cobelli) l'ultimo lavoro di Del Bono sulla Palestina, in realtà sui profughi di tutto il mondo: un pugno nello stomaco, un lavoro impegnato e catartico.
"Nomen omen", dicevano i latini: un nome, un presagio. Infatti, per vedere "Esodo" di Pippo Delbono siam dovuti andare a Brescia! Motivi di spazio, pensavamo, scene troppo ingombranti per i nostri teatri. Poi la sorpresa: le dimensioni del Sociale sono pressoché identiche, ci siamo informati, a quelle del palco bresciano.
E’ stata dunque una questione d’immagine, di richiamo verso il grande pubblico? Forse che un dramma impegnato come "Esodo" non regge il confronto col "Macbeth" di Cobelli (anzi no, di Kim Rossi Stuart)? Entrambe le opere, con lo stesso produttore, erano in lizza per questa stagione, e sappiamo tutti com’è andata… Non entriamo nel merito di tali scelte e della logica che sembra esservi alla base, ma ci chiediamo comunque se sia la strada per portare avanti un discorso artistico-culturale piuttosto che economico, di facciata. Si torna al vecchio adagio: il popolo è una palla che va dove è spinta. Stavolta però il popolo non ha gradito; tanto valeva - e non solo col senno di poi - proporre Delbono invece che un fiasco da tutto esaurito.
Difficile far capire, a chi non l’ha visto, cos’è "Esodo". Per quanto la sua struttura sia tutt’altro che affidata al caso, non c’è una vera trama, ma spaccati di vita, flash che in sequenza rappresentano il dolore umano. Il teatro di Delbono va vissuto prima ancora che compreso, il linguaggio delle emozioni è immediato, più potente dell’ideologia che lo sorregge; e lui, col suo scavo senza tregua, si conferma un grande chirurgo dei sentimenti. Troppi esuli affollano il pianeta: palestinesi torturati da israeliani, bambini che giocano, saltano, sulle mine, giovani la cui terra è un ricordo in rovina, Bosnia, Sahara, Beirut… Bobò scimmiotta Hitler, Gianluca è forse il primo angelo down. Il filo di "Guerra" si dipana fra brividi e sogni: Chaplin, Levi, Brecht, la Bibbia, fino a Pasolini e al diario di Etty Hillesum, deportata ad Auschwitz. Un pugno nello stomaco di "feroce bellezza" per l’Italia che non vuole vedere, per l’Occidente che beve champagne e fa shopping sulle macerie di paesi sempre più sfruttati.
L’assenza di "Esodo" dal cartellone nostrano è un grave colpo. Non tanto perché Pippo è ormai per noi un beniamino, un ospite fisso dal ’97 con "Barboni", "Guerra", "Il tempo degli assassini"; ma perché è uno dei pochi registi capaci di far pensare, provare sulla propria pelle l’oppressione. In attesa de "Il silenzio", il 26 luglio a Drodesera, speriamo che fra uno o due anni anche "Esodo" raggiunga Trento. Per intanto, parafrasiamo Kennedy: "Dicono che è vero che il capitalismo è un sistema perverso, ma che ci consente di progredire economicamente. Che vengano nel Terzo Mondo!".