Le pagelle ai parlamentari
Una legislatura importante per il Trentino, con alcuni risultati storici. I protagonisti, i comprimari, gli oppositori palesi e quelli occulti. Profili, fatti e misfatti dei nove parlamentari trentini.
C’è un grande agitarsi in questi giorni attorno ai posti di partenza per la corsa verso il Parlamento. La Margherita vuole "nomi nuovi" (per forza: nell’attuale pattuglia non c’è nessun dellaiano doc!), l’on. Schmid vuole la riconferma di tutti ("squadra che vince non si cambia"), Forza Italia sgomita con i troppi e voraci alleati…
Però, prima di entrare nel giro dei nuovi nomi, programmi e quant’altro, sarebbe doveroso un bilancio della legislatura scorsa. I partiti lo fanno - forse - in camera caritatis. Pubblicamente lo facciamo noi: cosa la legislatura uscente ha portato al Trentino, come hanno lavorato i parlamentari, peraltro tutti in cerca di riconferma.
Innanzitutto un giudizio generale. Questa legislatura a livello nazionale è stata importante per le tante riforme attuate (cosa di cui non si ha sufficiente percezione, in quanto la partitocrazia è perennemente impegnata a celebrare i propri riti, non a comunicare le proprie stesse realizzazioni); e altrettanto importante è stata per le norme che riguardano il livello locale.
E’ stata infatti ridisegnata l’Autonomia: con il passaggio di molteplici e importanti competenze dallo Stato alle nostre due Province (due esempi per tutti: la scuola e le strade); è stato impostato un ridisegno - discusso ma necessario - dei rapporti tra la Regione e le due Province. E soprattutto, è stata imposta la riforma elettorale, indispensabile in Trentino, in preoccupante crisi di governabilità da un paio di legislature.
Si è escogitata la cosiddetta "norma transitoria": se il livello locale non riesce a licenziare una nuova legge che recepisca il maggioritario, le elezioni provinciali, a partire da quelle del 2003, si terranno con la legge in vigore presso le altre Regioni (dove funziona egregiamente). Con questo atto si è sbloccata una pesantissima situazione d’impasse: il Consiglio della Provincia di Trento, improntato a regole ormai sorpassate (risalenti a quando c’era un partito pigliatutto, la DC), è da anni bloccato, facendo crollare l’operatività della Provincia e le capacità del Trentino di adeguarsi al nuovo; questa situazione poteva essere rimessa in movimento solo da una nuova legge elettorale; il Consiglio, bloccato su tutto, lo era ancor più sulle riforme elettorali, che incidono sul cuore della partitocrazia. Di qui la via d’uscita della riforma "romana": avversata da tutti gli immobilisti con la solita scusa della "difesa dell’Autonomia", in realtà ne è stata la scialuppa di salvataggio.
Indubbio, grande merito storico dei nostri parlamentari, quindi. Ma non di tutti: c’è chi la scialuppa la ha calata in mare e chi ha remato, chi è stato a bordo senza far nulla, e chi infine si è messo a lavorare di trapano per farla affondare.
Nelle schede seguenti vediamo le "pagelle" dei singoli, considerando, oltre al lavoro a Roma, l’influenza sulla politica locale.
Marco Boato (Ulivo - Gruppo Verde)
Da anni propone, si batte, per l’ammodernamento del sistema istituzionale regionale. E’ stato lui a proporre la riforma dello Statuto, lui a proporre la norma transitoria. Stakanovista in Parlamento, ha lavorato per portare le riforme in porto, intervenendo su ogni singolo emendamento. Un grande lavoro, un merito storico che gli va pubblicamente riconosciuto.
Ha avuto anche un ruolo nazionale, ma qui il giudizio non può essere positivo. Nel pasticciaccio brutto della Bicamerale (interpretazione benevola: un tentativo di accordo tra i due poli per varare un ammodernamento delle istituzioni. Interpretazione malevola: una balzana idea di D’Alema per scalzare Prodi attraverso un accordo con Berlusconi), ha avuto il compito di fare il lavoro sporco: riformare la giustizia in maniera che andasse bene alla compagnia Berlusconi/Previti. La cosa non è riuscita: però questa impostazione, protrattasi ben oltre la Bicamerale, ha portato al collasso la già annaspante giustizia italiana (come in questi anni hanno ampiamente documentato su QT gli articoli di Ballardini e Tosi); contribuendo ad accentuare la sensazione di mancanza di tutela che oggi angustia tanti cittadini. Sul fronte inciucio\impunità, Boato ci ha aggiunto del suo, giungendo a dirottare finanziamenti statali al "Foglio" di Paolo Berlusconi e Giuliano Ferrara, attraverso la costituzione di un gruppo parlamentare "garantista, per la giustizia", assieme al forzista Marcello Pera.
Discutibile anche il suo apporto alla politica locale, dove ha ispirato la linea del Gruppo Verde e dell’assessore Berasi. Riassumibile nello slogan "val più una poltrona che mille Val Jumela".
Luigi Olivieri (Ulivo - DS)
Se Boato è stato la mente delle riforme istituzionali, Olivieri ne è stato il braccio operativo. Iperattivo, instancabile, ha lavorato con passione e coerenza ai vari livelli istituzionali: dalla Commissione dei 12 ai rapporti con la Regione. In Parlamento ha fatto un continuo lavoro di pressing per convincere deputati e senatori di entrambi gli schieramenti ad approvare le riforme: senza il suo attivismo la risicata maggioranza (3 voti sulla norma transitoria in Senato) non sarebbe mai stata nemmeno lontanamente raggiunta. Più in generale è stato l’interlocutore a Roma per il Trentino: per la Provincia, per i Comuni, per il singolo cittadino, ha svolto - con il suo staff - un prezioso lavoro, vuoi di supporto politico, vuoi anche di banale disbrigo di pratiche ministeriali (che anche nell’Italia del 2000 sembrano ancora avere bisogno dell’interessamento di un parlamentare).
Sulla più generale linea politica non ha avuto la stessa coerenza dimostrata nelle riforme: si è spesso invaghito della moda politica del momento, da Di Pietro al "nostro leader" Dellai. Verso la Margherita si è poi attestato su una posizione competitiva, forse ancor più dannosa: la sinistra dovrebbe strappare alla Margherita i rapporti con gli affarismi, diventando lei la referente delle varie lobby. Di qui il suo favore a vari progetti dirompenti e superassistiti, dalla PiRuBi alla proliferazione degli impianti a fune.
Sandro Schmid (Ulivo - Ds)
Ha sofferto per un po’ il confronto con l’iperdinamismo dell’altro deputato della sinistra, Olivieri. Ha appoggiato anch’egli le riforme istituzionali; ma si è soprattutto distinto in un lavoro per invertire l’attuale politica dei trasporti, imperniata sui Tir. Ha raggiunto anche un risultato concreto molto significativo, con il varo di una norma che permette il dirottamento degli utili dell’Autobrennero verso la ferrovia.
Conseguente con questa impostazione, l’opposizione alla PiRuBi, su cui è giunto a dire di no a Dellai. Fatto clamoroso, perché nella politica locale si è contraddistinto per la sponsorizzazione ad oltranza della linea "Dellai è il nostro leader", anche quando era ormai evidente lo stretto rapporto tra il Presidente e molteplici affarismi. Come spesso succede, la cosa non gli ha granché giovato: Dellai lo ha scaricato pretendendo il suo seggio per qualche fedelissimo della Margherita.
Giuseppe Detomas (Ulivo - Margherita)
Ha appoggiato le riforme, e si è dato da fare per inserirvi alcune norme che garantiscano il gruppo ladino, soprattutto attraverso l’elezione di un proprio consigliere provinciale.
Nella politica locale si è fatto interprete della lobby degli impiantisti fassani, traducendo i nobili principi - difesa di una minoranza - in miseri ricatti politici: vi appoggiamo se foraggiate le nostre lobby (che poi i sondaggi hanno dimostrato essere minoritarie anche in valle).
Tarcisio Andreolli (Ulivo - PPI)
Intelligente, colto, competente, ha utilizzato le sue indubbie capacità al servizio di un disegno immobilista: impedire l’approvazione di una nuova legge elettorale maggioritaria, vista come tomba di ogni ipotesi di rinascita di un centro post-democristiano. Da perfetto doroteo, ha lavorato sott’acqua: fin dalle scorse legislature quando - allora presidente della Regione - è stato sorpreso in un ristorante di Trastevere a promettere mari e monti ai parlamentari SVP affinché bloccassero le riforme. Da senatore ha continuato in questo lavoro: solo il clima generale, favorevole in tutta Italia a un incremento della governabilità delle Regioni, gli ha impedito di riuscire a disfare di notte quello che la coppia Boato-Olivieri tesseva di giorno. Finale in perfetto stile doroteo: arrivati, nonostante i suoi sforzi, alla votazione in aula, ha aggiunto il proprio voto a quelli favorevoli alla riforma.
Alberto Robol (Ulivo - PPI)
Chi l’ha visto? Il senatore, a suo tempo vivace protagonista della politica locale, è praticamente desaparecido. Anche quando si è trattato di votare la riforma dello Statuto. Sulla scena provinciale si è segnalato per il tentativo di contrastare l’involuzione della politica degli ex-DC, con la distruzione del Partito Popolare in favore di una formazione personalistica come la Margherita. Ma il tutto si è ridotto a un paio di pur tonanti interventi sulla stampa.
Ivo Tarolli (Polo - CCD)
Come la grande maggioranza degli ex-DC, si è schierato contro la norma transitoria. Ha presentato una proposta di riforma dello Stato sociale, e un progetto di cooperazione internazionale. Di quest’ultimo c’è stata una parziale attuazione (in particolare nei rapporti con il Marocco) che ha ottenuto lusinghieri riconoscimenti da parte di un’agenzia dell’Onu.
Sbiadita la presenza sulla scena locale.
Renzo Gubert (Polo - CDU)
Se Andreolli ha lavorato sott’acqua, lui contro le riforme istituzionali ha fatto le barricate. Coinvolto nello scomposto agitarsi delle schegge post-democristiane, ha cambiato diverse volte casacca, finendo per un breve periodo anche con la maggioranza di centro-sinistra: ma a causa di condizioni esterne impazzite, lui è sempre coerente con se stesso, fondamentalista cattolico, sempre in prima linea su tutte le battaglie tipo aborto, pillola, rigidità della famiglia, ora di religione obbligatoria. Nella nuova situazione sociale italiana, questo fondamentalismo, prima vagamente folkloristico, può diventare pericoloso (vedi Il rivoluzionario Gubert): nella ormai famosa assemblea di Borgo l’intolleranza verso le altre religioni ha dimostrato di potersi coniugare con oscure paure presenti nelle viscere di una porzione della popolazione, in un mix potenzialmente esplosivo.
Rolando Fontan (Lega Nord)
Come da stile della casa madre, usa sempre un’estrema violenza verbale: anche nelle cose più tecniche, come ad esempio nel contrastare la riforma elettorale, naturalmente per basse ragioni di bottega (l’esigenza dei leghisti di potersi indifferentemente alleare a destra o sinistra). Figuriamoci poi quando ha affrontato i temi caldi del leghismo: secessione, intolleranza, razzismo. Ruoli orrendi, parole rozze e violente, interpretate con diligente precisione, con freddezza da ragioniere. Infatti, perfetto apparatnik leghista, di suo non è né un razzista né un naziskin; è peggio, per il posto al sole assicurato dalla carriera politica, di professione attizza l’odio nella popolazione.