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I bronzi di Finotti a Malcesine

In continuità con la mostra di sculture di Aldo Mondino nel centro storico di Trento proponiamo per il cambio stagione una passeggiata a Malcesine, che ospita fino al 15 ottobre un’antologica dei bronzi realizzati tra il 1966 e il 1999 da Novello Finotti, artista veronese (classe 1939). Dopo una serie di importanti rassegne personali e la partecipazione a Biennali e Quadriennali, l’artista è attualmente impegnato nella realizzazione di tre portali bronzei e quattro nicchie in marmo per la basilica di Santa Giustina a Padova, ma ha trovato il tempo di disporre una ventina di suoi lavori tra il castello scaligero, la corte del Palazzo dei Capitani (l’ex Casamentum che ospitò Dante) e il porto vecchio.

Finotti: "Dopo il silenzio" (1979).

Nel contrasto tra supporto e idea, stabilità e tensione, pieno e vuoto, amore e contesa, la ricerca stilistica di Finotti si muove in modo coerente, dalla leggerezza reale delle sue prime opere a quella apparente e illusionisticamente ricercata degli anni più recenti (in prossimità del lago il gioco si fa ancor più seducente e il richiamo irresistibile, come nel caso de "La grande donna tartaruga" del 1999). Il titolo emblematico di una sua opera, "Nascita della presenza", ci ha guidato lungo il percorso: come il dio della tradizione mediorientale, l’artista è alla ricerca di un principio d’ordine, mette le mani in pasta e combina le forme tra la memoria del mito della creazione e le sue varianti, da una parte (come nel bellissimo "Dopo il silenzio"), e dall’altra il getto spontaneo, lo slancio vitale della figura in bozzolo.

Lo scultore prende tempo, non traduce immediatamente l’intuizione, ma la realizza nel suo farsi; prova e gioca con la materia e con l’idea. E dalla materia fredda e inanimata traspaiono lacerti di vita che rimandano immediatamente a simboli e metafore allusive. Nei gesti atletici, nel ritmo e nell’ironia di quelle gambe accavallate la contaminazione tra la finzione della realtà, propria del teatro, e la regia del processo di metamorfosi che fa il verso a certa coreografia contemporanea, raggiunge il suo massimo grado. Kosmos diventa Chaos, ordine disordinato, donna-tartaruga, "anatomico-vegetale"...

Nel repertorio di Finotti non manca comunque l’esperienza del tragico e del dolore. Già Antonio Paolucci a proposito del "Fossile" faceva riferimento ai calchi pompeiani o al cacciatore del Tirolo: Nella scultura "Il Grande Cobra", al di là delle reminiscenze storiche del Cristo Velato di Napoli, sembra materializzarsi con maestria sorprendente quel "lavorio dissolvitore della morte... sospeso da una potenza miracolosa" di cui scrive Andreev nel suo racconto "Lazzaro" ( nella traduzione magistrale di Clemente Rebora).

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