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QT n. 5, 4 marzo 2000

Software libero e libertà di insegnamento

I tentativi, sempre più concreti, di liberarsi dall’oppressore Bill Gates. A iniziare dalle scuole.

Si è parlato molto di informatica e poco di didattica, al convegno su "Informatica e scuola: il fenomeno Linux", organizzato da IPRASE e Servizio Istruzione della Provincia nei giorni scorsi presso il Museo di Scienze Naturali. Solo Luigi Colazzo ha dato alcuni spunti interessanti sulla sua esperienza di utilizzatore e sviluppatore di software espressamente dedicato alla formazione. Tuttavia l’interesse dimostrato dal folto uditorio, quasi interamente composto da insegnanti, era la dimostrazione che la rilevanza dell’argomento "software libero" in relazione alla scuola era stata colta molto bene. Come Francesco Lorenzoni ha efficacemente sintetizzato nell’introduzione al convegno, dalla libertà di insegnamento si può e si deve trarre come corollario anche una libertà della scuola e degli insegnanti nella scelta degli strumenti software da adottare nella didattica. E quali siano le implicazioni culturali di un approccio come quello del "software libero" lo hanno mostrato i relatori che nella prima giornata hanno trattato il tema dal punto di vista teorico. Gli altri intervenuti hanno poi portato esperienze concrete di utilizzazione nella scuola del sistema operativo Linux, con numerosi esempi tratti da realtà operanti sul territorio provinciale.

Che vantaggio possono avere gli utenti della scuola dall’utilizzo di Linux al posto di un altro sistema operativo? Sul lato del client, cioè della macchina che l’utilizzatore usa per scrivere il suo documento, forse è ancora presto per parlare di una vera equivalenza tra un sistema operativo "libero" come Linux e altri sistemi più diffusi. Tuttavia ciò dipende quasi esclusivamente dalla mancanza di applicativi di software per l’ufficio con caratteristiche simili a quelle del "software non libero". Ma applicazioni del genere sono in fase di sviluppo e potrebbero presto essere disponibili.

Molto più interessante è la possibilità di utilizzare Linux come server di rete. La presenza di una rete nella scuola è ormai indispensabile, ma una rete senza server è difficilmente gestibile; il server Linux è un’alternativa economica e facilmente configurabile che permette di garantire l’accessibilità alle macchine agli utenti e contemporaneamente mantenerne la funzionalità. Infatti in un ambiente come la scuola in cui l’utilizzo dei computer è collettivo è assolutamente indispensabile evitare che interventi anche involontari degli utenti possano cambiare le caratteristiche di configurazione dei computer compromettendone la funzionalità. Il server Linux può svolgere efficacemente il compito di cane da guardia della rete obbligando gli utenti a dare una password per accedere a tutti i computer e conservare i loro documenti in una cartella sicura e protetta.

George Orwell nel romanzo "1984" immaginava che un ipotetico dittatore, il Grande Fratello, avrebbe controllato i suoi cittadini attraverso apparecchi televisivi dotati di telecamere in grado di spiare gli spettatori. Nessun Grande Fratello è stato evocato esplicitamente nel Convegno su "Informatica e scuola", ma ad una lettura attenta delle tesi proposte non poteva sfuggire qualche implicazione inquietante. In sintesi si è detto che, mentre la progressiva diffusione dei computer e dei collegamenti a Internet fa sì che molte informazioni vengano affidate al mezzo informatico, il fatto che molti dei software utilizzati per il trattamento di queste informazioni siano basati su standard chiusi e protetti da brevetto fa sì che non si possa mai sapere con certezza che cosa viene fatto di queste informazioni e chi ne può venire a conoscenza all’insaputa dell’utente.

Il discorso ovviamente richiedeva una serie di premesse che sono state fatte con estrema chiarezza da Roberto Di Cosmo dell’Università di Parigi 7. Ripercorrendo brevemente la storia dell’informatica, ha spiegato che Internet è il primo strumento informatico che funziona bene anche quando viene utilizzato da utenti non tecnici.

Ma perché questo avviene? Perché le tecnologie software su cui è basata Internet derivano da una lunga serie di miglioramenti incre

mentali di standard "aperti", cioè di dispositivi e protocolli di comunicazione le cui modalità di funzionamento sono rese pubbliche.

Ecco quindi dove va inquadrato il fenomento del "software libero". La contrapposizione non è tra software gratuiti e software creati da industrie che perseguono il profitto, ma piuttosto tra software di cui viene resa pubblica la sorgente e software di cui si può solo utilizzare il codice binario. E questa distinzione è stata efficacemente spiegata ai non addetti ai lavori con una felice analogia. Il "codice sorgente" è simile alla partitura di una musica: come un musicista con la partitura può suonare il pezzo e capirne le sfumature, così un programmatore con il codice sorgente può verificare nei dettagli che cosa sta facendo il programma installato sul suo computer.

Ma tutto questo che relazione ha con la riservatezza dei dati privati? E’ molto importante se si pensa ad esempio che non potendo sapere che cosa fa nei dettagli il programma di videoscrittura che usiamo per scrivere una banale lettera, non potremo mai sapere se questo non invierà a nostra insaputa il numero di carta di credito o di telefono che avevamo memorizzato sul nostro pc in una modalità che credevamo sicura. E questo è solo l’esempio più banale: si pensi a cosa rischia un’organizzazione bancaria che si affida a software di cui non conosce la sorgente.

Ma la questione non riguarda solo la tutela della privacy. I relatori hanno mostrato come il software "aperto" (cioè i programmi di cui è accessibile il codice sorgente) funziona meglio del software "chiuso", perché quando viene individuato un errore le sue cause possono essere facilmente rimosse.

Qualcuno ha sollevato un’obiezione: "Che se ne fa l’utente finale di un messaggio di errore che solo pochi specialisti potranno comprendere?". La risposta di Di Cosmo è stata articolata e convincente: si tratta di un meccanismo semplice, simile a quello che vige nella comunità scientifica. Infatti nessuno conosce il modo per riverificare personalmente la fondatezza di tutte le teorie su cui è basato l’edificio di scienze come la matematica e la fisica. Ma la presenza di una comunità scientifica ci garantisce che qualcun altro potrà farlo al posto nostro comunicando pubblicamente, ad esempio, che l’ipotesi scientifica "il sole gira attorno alla terra" è stata verificata come falsa, e che è invece la terra a girare attorno al sole. Nessun "utente comune" ha dimostrato questa teoria, ma tutti possiamo fare affidamento sulla comunità scientifica che continuamente lo fa per noi. La verificabilità della giustezza delle ipotesi e la ripetibilità degli esperimenti è il fondamento di tutta la scienza moderna: quindi il software "aperto" funziona meglio perché è verificabile da una comunità di specialisti che si scambia pubblicamente le informazioni senza nascondersi dietro al paravento del segreto industriale.

Sulla filosofia del "software libero" ha dato un importante contributo anche Luigi Colazzo del Dipartimento Studi Aziendali dell’Università di Trento, mettendo in guardia gli uditori da alcuni rischi: il "software libero" non è il "bene" da contrapporre al "male" rappresentato dallo sfruttamento commerciale delle invenzioni informatiche. Va ricordato piuttosto che lo sviluppo delle società industriali è avvenuto proprio grazie alla normativa sui brevetti che tutela lo sfruttamento commerciale delle invenzioni. Non bisogna avere nostalgia di società come quelle del socialismo reale che attribuiscono tutti i frutti delle invenzioni alla collettività o allo Stato.

Colazzo è entrato nei dettagli del modello di sviluppo del software "aperto", ed ha anche portato un contributo molto interessante al tema dell’informatica come strumento didattico.

Gli altri relatori - Rubini, Franzoni, Napolitano, Brugnara, Colorio e Natali - hanno poi trattato le varie caratteristiche tecniche del sistema operativo Linux.