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QT n. 18, 24 ottobre 1998 Servizi

Pacifisti, concretamente

Essere non-violenti non significa solo sfilare nei cortei o firmare appelli. I giovani partecipanti ai corsi dell'U.N.I.P. di Rovereto raccontano le loro esperienze.

Per il sesto anno consecutivo, una trentina di giovani ogni volta diversi provenienti da paesi di tutti i continenti, si sono ritrovati a Rovereto per i corsi dell'U.N.I.P. (Università dei Popoli per la Pace - vedi scheda nella pagina a fianco). Potremmo qualificarli sbrigativamente come militanti di organizzazioni pacifiste e non violente, ma limitandoci a questo, qualcuno non molto informato sarebbe autorizzato a pensare che la loro unica attività sia la velleitaria opposizione ad ogni intervento militare nelle zone calde della Terra, l'organizzazione di cortei e la firma in calce ad appelli; nel migliore dei casi, l'invio di aiuti umanitari.

Per capire meglio, vediamo di esemplificare con un'iniziativa partita proprio da Trento, il "Progetto Prijedor", promosso dalla Casa per la Pace in collaborazione con altri enti e con alcuni comuni trentini.

Prijedor, nella Bosnia serba, fu uno dei centri della pulizia etnica, tanto che oggi la maggioranza dei circa 100.000 abitanti non è più musulmana. Qui, come altrove nella ex Jugoslavia, la gente tende a rimuovere gli orrori della guerra appena finita e le proprie responsabilità in quanto è successo; e nessun accordo internazionale può costringere le due comunità a riprendere il dialogo, a tornare a vivere serenamente l'una accanto all'altra. Esiste insomma un problema di ricostruzione morale; su queste pagine abbiamo già parlato del "Progetto Prijedor" e della sua opera di "diplomazia popolare" con iniziative che hanno come ultima, difficile meta il ripristino della convivenza. Ma esiste anche, intrecciato, un problema di ricostruzione materiale: perché la guerra ha disperso persone, professionalità e intelligenze e perché la suddivisione del territorio della ex Jugoslavia in più entità ha cambiato, ridimensionandola, la struttura del mercato interno, e quindi spesso non ha senso limitarsi a ripristinare la situazione antecedente la guerra, rimettendo in sesto le vecchie aziende danneggiate dal conflitto.

Michele Nardelli, della "Casa per la Pace" di Trento, in un incontro pubblico organizzato dall'U.N.I.P. ha esemplificato quanto il volontariato trentino sta concretamente facendo in questo settore, dopo aver ottenuto l'importante sostegno di enti e realtà economiche trentine.

"Volendo cambiare rotta - dice Nardelli - è fondamentale partire dalle risorse locali, e proprio in quest'ottica abbiamo convinto gli agricoltori di Prijedor ad associarsi in forma cooperativa: un compito inizialmente non facile, perché, per ragioni storiche, vivevano questa proposta come un qualcosa calato dall'alto, in cui non credevano di potersi muovere da protagonisti.

Un'altra iniziativa è stata l'attivazione di forme di piccolo credito destinate agli agricoltori, i quali non sono assolutamente in grado di rivolgersi alle strutture bancarie ufficiali, che richiedono tassi di interesse spropositati, fino al 50% annuo. A conferma dell'incisività del nostro intervento, abbiamo ricevuto recentemente la richiesta di un incontro da parte della Chrìstal Bank (quella che un tempo si chiamava Jugo Bank), per dei chiarimenti sulle nostre intenzioni "

Proseguiamo in questa panoramica sulle diverse attività delle associazioni non violente parlando con alcuni dei giovani corsisti dell'U.N.I.P. e cominciando con Abid Achleem Mohammed, arabo di nazionalità israeliana e volontario dell'associazione "Re'ut-Sadaka" ("amicizia" in ebraico e in arabo) di Haifa. Come nel caso della ex Jugoslavia, anche qui il problema è quello dei rapporti fra due comunità che faticano a vivere assieme: "In Israele - ci dice Mohammed - tutto, dalla scuola al mercato, è separato fra arabi ed ebrei.

Non c'è il desiderio reciproco di conoscersi e ci si rapporta in base a pregiudizi e a stereotipi. Per cambiare un tale stato di cose, organizziamo degli incontri settimanali, durante i quali, attraverso letture, discussioni e giochi, ragazzi arabi ed ebrei imparano a conoscersi, a rispettarsi, a smantellare i rispettivi pregiudizi. Per molti di loro è la prima occasione che hanno avuto in vita loro di entrare in contatto con un coetaneo arabo o ebreo. Questo intervento avviene tramite una dozzina di gruppi, composti ognuno da 20 persone, coordinate da due leaders, un arabo e un ebreo. Gli incontri proseguono per un anno, con un programma preciso che prevede delle fasi successive: all'inizio, ciascuno racconta la sua storia, parla della propria famiglia e della propria vita quotidiana; quindi si passa ad esporre ciò che si pensa dell'altro gruppo, e solo alla fine, quando ormai ci si conosce ed è nata una certa fiducia, si parla di politica, si affronta direttamente il problema dei rapporti fra arabi ed ebrei. Se lo si facesse fin da principio, gli incontri fallirebbero immediatamente..."

Ma come vengono "reclutati" i ragazzi che partecipano a questo progetto?

"In due -un arabo e un ebreo, ognuno dei quali conosce la lingua dell'altro- ci rechiamo nelle scuole a far conoscere l'iniziativa e quindi raccogliamo le adesioni. L'anno scorso sono andato in una trentina di scuole per presentare il nostro programma, con risultati diversi: quando va bene, capita di raccogliere quattro cinque adesioni in una sola classe, ma trovi anche chi ti dice tranquillamente 'Io non voglio conoscere gli arabi'. Il record negativo mi è capitato in una scuola di Gerusalemme, dove su 500 ragazzi presenti, solo 9 si sono detti disponibili.

Questa e le numerose altre attività di "Rè 'ut-Sadaka " coinvolgono ogni anno circa 500 giovani arabi ed ebrei, oltre alle migliaio di studenti raggiunti in un qualche modo durante gli interventi nelle scuole."

L'opera di queste associazioni non si esplica soltanto nei paesi dove esistono situazioni di grave conflitto interno; anche nelle emergenze sociali la loro opera è preziosa, soprattutto là dove le strutture dello Stato sono fragili. Kapingia Evans Kanoka viene dallo Zambia, e svolge la sua attività nella "Fellowship of Reconciliation": "Teoricamente lo Zambia è un paese democratico, con libere elezioni e numerosi partiti: in realtà vige un regime autoritario che porta avanti gli interessi di un singolo gruppo etnico e spesso imprigiona gli oppositori. Quanto all'economia, presenta i problemi tipici di tanta parte dell'Africa: risorse naturali anche importanti svendute però allo sfruttamento straniero e una politica di rigore imposta dai vincoli del Fondo Monetario Internazionale. Tutto ciò si riflette naturalmente sulla situazione sociale, con una crescente disoccupazione, famiglie che si disgregano, e il conseguente fenomeno di bambini abbandonati che vivono sulla strada.

Ed è qui che noi interveniamo, con un programma articolato su tre fronti: un lavoro di consulenza rivolto alle famiglie in difficoltà, sempre numerose là dove insorgono gravi problemi economici; l'organizzazione di adozioni per bambini rimasti senza genitori; e infine un lavoro di assistenza ai detenuti ".

Un ultimo esempio ci viene dalla Turchia, paese non certo privo di situazioni difficili (I Curdi, per dirne una): ma Ozgehan Senyuva, della "GsmYouth Services Centre", si occupa d'altro: è impegnato nell'organizzazione di incontri fra giovani di tutto il mondo. La principale attività dell'associazione in cui opera, sorta una quindicina d'anni fa, è infatti in primo luogo l'organizzazione di campi di lavoro per ragazzi turchi all'estero e per giovani stranieri in Turchia, con il coinvolgimento, nell'ultimo anno di attività, di quasi mille persone. Un'attività a prima vista molto più frivola di quelle precedentemente menzionate e che sembra aver a che fare più col turismo e il tempo libero che con la solidarietà. Ma l'obiettivo a cui tutte queste esperienze tendono è invece il medesimo: la possibilità per tutti di vivere insieme agli altri, per quanto diversi, in pienezza di diritti.

E' per questo, d'altronde, che ogni anno questi ragazzi si ritrovano a Rovereto, e subito si "riconoscono".

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