Una città universitaria
Ventimila studenti su 120.000 abitanti: eppure Innsbruck e il suo ateneo troppo spesso si ignorano.
Nel bel mezzo di un aspro dibattito su quanto può o deve costare una traduzione, fra traduttori, imprenditori ed altri utenti riuniti davanti a qualche centinaio di studenti dell'istituto traduttori/interpreti dell'università (che celebrava il suo 50° anniversario), un eurocrate riuscì a mettere tutti d'accordo dichiarando che a loro, dei costi delle traduzioni non frega un bel niente. La diversità delle lingue e culture essendo un valore per l'Unione, tutti gli atti vengono tradotti, costi quel che costi, e basta.
E' stato, questo, uno dei pochi esempi di contatto fra la realtà accademica e la realtà politica ed economica? Non proprio.
Da qualche anno, l'ateneo di Innsbruck, con i suoi tre secoli alle spalle, ha perfino un dipartimento di marketing, con il suo bollettino che esce, quattro volte l'anno, insieme al giornale più diffuso della provincia; tentando di spiegare ai cittadini sia gli effetti benefici prodotti dall'ateneo che i problemi della comunità accademica.
I quali non mancano. Con la nuova legge-quadro sull'organizzazione universitaria, le università devono diventare "imprese", con molto più autonomia. Solo che - e non lo dicono solo i maligni - l'autogoverno si riduce all'auto-organizzazione della miseria, cioè della carenza dei soldi pubblici riservati alle scienze (la percentuale di spesa pubblica per scienza, ricerca ed innovamento tecnologico è da paese del terzo mondo, l'Austria è fra gli ultimi della classe nella classifica OCSE). E mentre qualche istituto tecnico o economico riesce a piazzarsi sul mercato vendendo le sue specifiche competenze e servizi di consulenza o di ricerca applicata, molti studi umanistici (anche con una sovrabbondanza di docenti) sono nei guai. Ciò che non serve al mercato - quel potenziale umanistico-critico che ha qualificato l'università sin dalla sua nascita - come può sopravivere nell'università-impresa?
In tempi di neoliberalismo rampante, quando tutto ciò che non serve a produrre ricchezza non ha ragione di esistere, perché il contribuente dovrebbe finanziare studi "esoterici" o, peggio, l'allevamento di una nuova leva di rivoltosi (perché eruditi) senza-lavoro? E' un bene che l'ateneo si apra verso la società per spiegare anche a cosa serve - per una società più giusta, più umana - diciamo un istituto di storia, o di archeologia.
Per inserirsi nei dibattiti politico-culturali, il Senato Accademico ha istituito la "Commissione scienza e responsabilità", nell'ambito della quale vanno discussi - pubblicamente, con una serie di conferenze, seminari, dibattiti aperti alla cittadinanza - i grandi temi dello sviluppo sociale.
Altre facoltà, poi, hanno un compito più facile. Economia, ad esempio, ha una nuova identità come "università aperta", come partner delle imprese. La nuova sede, grazie a Dio nel centro della città (al posto di una vecchia caserma costruita dopo il 1848, per meglio domare la ribellione democratica), un gioiello anche dal punto di visto architettonico ed urbanistico, include un management center ed un complesso di uffici da affittare ad imprese del settore avanzato dei servizi (tecnologie della comunicazione, marketing, assistenza legale...) con cui la facoltà vuole costruire sinergie sia per l'insegnamento che per le imprese.
Con il centro "FIN", l'ateneo riesce sempre più a stabilire cooperazioni con l'imprenditoria provinciale che servano sia a migliorare il livello della ricerca e dell'insegnamento che ad aumentare la competitività delle imprese.
In scala molto minore, esiste anche il "laboratorio delle scienze" ("Wissenschaftsladen"), dove anche i semplici cittadini possono commissionare magari un tema per un diplomando o chiedere aiuto, dalla comunità scientifica, per qualche problema quotidiano.
E nonostante tutto ciò, spesso si chiede se Innsbruck è veramente una città universitaria. Ci sono all'incirca 20.000 studenti (su una popolazione di 120.000 persone), e l'università con il suo policlinico è il principale datore di lavoro della provincia. Il numero di posti-cinema, di piccoli teatri, di centri di cultura "alternativi" è molto al di sopra della media nazionale. Ci sono anche quartieri qualificati da una grande presenza di studenti, ma la città intera sembra che ignori la comunità accademica. C'è fisicamente, ma non nell'immagine che la città si fa di se stessa.
La giunta comunale si riunisce, è vero, una volta l'anno in seduta comune con il Senato Accademico: ma poi discute di piccolezze come i parcheggi attorno alla sede di architettura, invece di parlare di decisioni strategiche per lo sviluppo sia della città che del suo ateneo.
L'amministrazione comunale è inoltre molto restia a servirsi delle competenze dell'università, sebbene il sindaco ed un vice-sindaco siano docenti universitari. Per qualche amico degli amici dei baroni, c'è sempre, è vero, qualche lavoretto, uno studio là, un progetto qua, anche al di fuori delle regolari procedure di appaltamento. Ma una sistematica cooperazione, un sistematico utilizzo del potenziale scientifico per aumentare la qualità dell'amministrazione e dei suoi "prodotti", non esistono proprio.