Libri come finestre sul mondo
È la filosofia di Roberto Keller, piccolo editore roveretano che dal 2005 pubblica romanzi stranieri di qualità. Nonostante le difficoltà di un mondo editoriale che premia solo i grandi editori
La sede della casa editrice si trova nella mansarda del titolare, Roberto Keller, che lì dentro ci vive anche. Siamo nella zona sud di Rovereto, la statale non corre molto distante in linea d’aria, e il binario del treno è poco oltre, ma l’ambiente non appare affatto urbano, perché tutt’intorno ci sono i vigneti, e sembra di essere in campagna. Uno non se la immagina così, la sede di una casa editrice. Ma il contesto anomalo è perfetto, perché ospita quanto di più anomalo potrebbe esserci, al giorno d’oggi, dentro il panorama editoriale nazionale: ovvero un piccolo editore di provincia che pubblica autori di tutto il mondo e li diffonde in tutta Italia. Keller editore, appunto.
Dunque, Roberto, come ti è venuta l’idea?
Io immagino la narrativa come una finestra sul mondo. Ogni autore di qualità è in grado di farci conoscere qualcosa del mondo da cui proviene. Questo è dunque il cardine della nostra esperienza editoriale: permettere ai lettori di affacciarsi a quella finestra, per conoscere mondi nuovi e diversi dai loro. Non a caso, le nostre due collane si chiamano “Vie” e “Passi”, a richiamare il movimento verso altri territori.
Nessun limite geografico, quindi?
Nessuno, tranne quelli imposti dalle difficoltà di traduzione: ci sono alcune lingue, come l’ungherese, il finlandese o il basco, per le quali è difficile trovare dei bravi traduttori. E la traduzione di qualità è uno dei nostri cavalli di battaglia. Per ora, abbiamo trovato ottimi traduttori dallo spagnolo, dal catalano, dal polacco, dal tedesco, dal francese e dall’americano. Ma contiamo di allargare la cerchia delle lingue.
Lasciando però fuori proprio la nostra, l’italiano...
Di autori italiani che si propongono ne abbiamo diversi, ma noi li cerchiamo poco, e finora ne abbiamo pubblicati solo due. Questo perché di italiani che scrivono, anche di qualità, oggi ce ne sono molti, e molti sono gli editori che li pubblicano. Puntare sugli stranieri, oltre che una scelta valoriale, è anche un modo per crearsi un proprio spazio.
Che genere di libri pubblicate?
Narrativa. Ci interessano le storie “forti”, quelle capaci di fare presa sul pubblico. Però non prediligiamo un genere particolare, e nemmeno certi contenuti piuttosto che altri. Come dicevo, l’importante è che siano lavori di qualità, capaci di far conoscere il mondo da cui provengono. Questo semplice criterio di scelta ci ha permesso finora di spaziare, pubblicando romanzi d’avventura, d’amore, noir, autobiografie, thriller, o anche tutte queste cose insieme.
Spiegaci un po’ come lavora la “Keller editore”: quali passaggi fate per arrivare a pubblicare un libro?
La fase più importante, per un editore di autori stranieri, è quella di “scouting”: il vero colpo è scovare prima degli altri l’autore pubblicato all’estero che, per qualche ragione, pur avendo scritto un libro di qualità, in Italia nessuno ha ancora deciso di tradurre e pubblicare. Il lavoro di “scouting” si può svolgere con l’ausilio delle agenzie letterarie, che sono un po’ come le agenzie di stampa per i giornali. Ma noi preferiamo muoverci in altri modi: usando il web, i contatti personali, oppure, semplicemente, guardando cosa pubblicano le case editrici oltre confine. Una volta trovato il romanzo, segue un lavoro di traduzione accurata e poi di redazione del testo tradotto. Chiude il cerchio l’attività di impaginazione e grafica, che, per un piccolo editore, può fare la differenza: la copertina e il layout per il libro sono come un vestito, utile a distinguersi nel mucchio e farsi riconoscere a colpo d’occhio.
Qual è stato il miglior libro che avete pubblicato?
Senz’altro “Il paese delle prugne verdi” di Herta Muller, autrice rumena ma di lingua tedesca, considerata la maggiore scrittrice tedesca vivente: quando noi l’abbiamo pubblicata, in Italia l’aveva tradotta solo Marsilio, diversi anni fa, poi più nessuno, perché i suoi scritti, più che romanzi, sono poemi in prosa, molto ostici da tradurre.
E il vostro maggior successo come casa editrice?
I libri di tutti quegli autori che abbiamo scoperto noi, quelli che hanno raggiunto il successo dopo, e non prima, che Keller li avesse pubblicati per la prima volta in Italia. Ad esempio, l’americano Richard Aleas, che è stato finalista al The Edgar Allan Poe e al The Shamus Awards dopo che noi ne avevamo pubblicato “Little Girl Lost”. Oppure il polacco Hubert Klimko-Dobrzaniecki, il cui romanzo “La casa di Rosa” è stato selezionato per concorrere al premio Nike come miglior romanzo polacco del 2007 dopo che noi lo avevamo già pubblicato. O “La decisione di Brandes” del catalano Eduard Marquez, che era già uscito con noi quando ha vinto il premio Qwerty come miglior romanzo catalano dell’anno, sempre nel 2007. O ancora “Crescere è un mestiere triste” dello spagnolo Santiago Roncaliolo, che era già a contratto con noi quando ha vinto il premio Alfaguara: ora lo pubblica Garzanti.
Il vostro destino è quello di essere solo un trampolino per i vostri autori?
Non direi. Con molti di loro continuiamo a restare in contatto, e con alcuni stiamo già pensando alla seconda uscita. Chi pubblica con noi sa che siamo piccoli, ma anche che, proprio per questo, potrà avere un rapporto molto personale con un editore che non pubblica più di sei, sette titoli all’anno. Mentirei però se ti negassi che il nostro compito principale è quello di scovare i bravi autori: se poi hanno successo e trovano altri editori più grandi, per noi è solo fonte di soddisfazione.
Parlami del rapporto coi lettori: come li raggiungete?
Abbiamo scelto di servirci di un distributore nazionale, C.D.A., anche se puntiamo di più sulla promozione fatta da noi stessi. Investiamo molto sul nostro sito internet (www.kellereditore.it), che permette di interagire col pubblico in maniera costante, e soprattutto sulla partecipazione alle fiere, che sono il modo migliore per conoscere i propri lettori e farsi conoscere da loro. La cosa più stimolante è rivederli tra un anno e l’altro, osservare come varia il loro parere al variare delle nostre scelte editoriali. È un modo per crescere. La soddisfazione maggiore è accorgersi che il nostro comincia ad essere un progetto editoriale identificato e compreso.
Il numero di lettori è sufficiente a pareggiare i costi che sostenete?
Vieni a un tasto dolente. Fare l’editore è un mestiere difficile, se sei piccolo è ancora più difficile, e se sei piccolo e operi fuori dai circuiti principali, come noi in Trentino, è tre volte difficile. Per ora, non riusciamo a coprire le spese, nonostante l’aiuto di un numero importante di collaborazioni volontarie. Paghiamo lo scotto di una logica editoriale che è quella dell’essere presenti, visibili sempre.
Ossia?
Abbiamo a che fare con un sistema per cui, per un libraio, vedersi arrivare cinque, sei titoli all’anno da una casa editrice non significa nulla. Di fronte a numeri del genere, il libraio, e purtroppo anche il lettore, finiscono col pensare che non esisti, perché il primo è abituato a ricevere ogni settimana il nuovo titolo della Mondadori di turno, e il secondo è abituato a trovarlo ben piazzato sullo scaffale. La dinamica è perversa, e rischia di vanificare anche gli effetti del passaparola, così importanti per un piccolo editore. Perché, se un lettore sente parlare bene di un libro, andrà magari in libreria a chiederlo. Però, se il libraio gli risponde che il libro non c’è e che ci metterà un po’ ad arrivare, è facile che il lettore, che probabilmente vuole uscire dalla libreria con un acquisto, decida di lasciar perdere, e di comprare il nuovo libro della Mondadori.
Terminiamo l’intervista con queste tinte fosche, quindi?
Solo se guardiamo alla nostra esperienza in termini economici. Il fare poco, ma farlo bene certo non porta a grandi incassi. Ma l’incasso non è tutto. Il nostro è un laboratorio prima ancora che un’impresa, e, come tale, più che ai bilanci guarda ai risultati culturali. Che, nel nostro piccolo, sono tanti e ci spingono ad andare avanti.