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QT n. 6, giugno 2025 Servizi

“Perfido”: deragliamenti

I patteggiamenti che non convincono


Lo scorso 24 maggio la stampa locale ha riportato la notizia dell’ennesimo patteggiamento, nell’ambito del processo “Perfido”, da parte di Giuseppe Paviglianiti e Mustafa Arafat.
Il primo patteggiamento avvenne nel febbraio del 2022 davanti al Gip dott. Borrelli (fu la prima sentenza relativa alla presenza ‘ndranghetista nel settore del porfido) e fu annullato dalla Cassazione, su richiesta della Procura generale, perché non adeguatamente motivato. I due, infatti, erano imputati per il reato di “associazione mafiosa” (art. 416 bis), ma uscirono di scena mediante il patteggiamento con pene irrisorie grazie alla derubricazione del capo d’imputazione: “assistenza agli associati” (art. 418 c.p.). Tuttavia il patteggiamento venne confermato nel dicembre 2023 davanti al Gip dott. Giua e così anche la pena: 2 anni a Mustafa e 1 anno e 6 mesi a Paviglianiti. La Procura generale ha però impugnato nuovamente e stavolta la Cassazione ha annullato “senza rinvio”, evidenziando come “la qualificazione delle condotte descritte come favoreggiamento posto in essere dall’imputato Mustafà al di fuori del reato associativo, al fine di garantire agli associati l’impunità (pag. 6 della sentenza impugnata), è palesemente eccentrica rispetto alle condotte contestate e risulta con particolare immediatezza dal capo di imputazione”.
La stessa cosa viene evidenziata per il Paviglianiti, con la qualificazione del reato ai sensi dell’art. 418 co. 2 c.p., quindi ritenendo che questi avesse “prestato rifugio o vitto agli associati, senza condividerne il proposito criminoso”, mentre il capo d’imputazione gli contestava “di avere preso parte all’associazione mafiosa, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne del sodalizio, eseguendo le direttive del capo cosca, fornendo supporto agli affiliati”.
Dai resoconti di stampa pare che ora, davanti al Gup del Tribunale di Rovereto dott. Peloso, i capi d’imputazione siano stati formulati in modo corretto (al Mustafa è stato contestato anche quello di “sfruttamento del lavoro”, in origine “riduzione in schiavitù”) e quindi stavolta potrebbe concludersi così la vicenda giudiziaria dei due.
Tuttavia alcune considerazioni vanno fatte, nell’attesa di valutare le motivazioni della sentenza, in relazione all’iniziale parere favorevole della Procura al primo patteggiamento, ripetendo in parte quanto detto allora. La stessa Cassazione evidenzia, infatti, come il Paviglianiti, in qualità di presidente dell’associazione Magna Grecia di Trento presso la quale venivano organizzati “incontri e riunioni tra sodali”, si facesse “promotore per fornire assistenza agli appartenenti di cosche ‘ndranghetiste di Bagaladi (…) destinatari di provvedimenti restrittivi, organizzando raccolte di fondi e un incontro con gli altri sodali”.


Negli atti d’indagine è infatti documentato come “Peppe Pannella” (così è soprannominato appunto Giuseppe Paviglianiti) si sia fatto promotore del sostegno ad un sodale detenuto, proponendo ad altri imputati di versare 100 euro a testa, cosa già fatta in precedenza quando era stato arrestato il cugino dello stesso Pannella a Milano. Si ricorda che ad affiancare Paviglianiti nella conduzione dell’associazione culturale vi erano Domenico Morello (condannato in via definitiva per “associazione mafiosa”) e Giuseppe Fortugno, in qualità di consiglieri, oltre a Demetrio Costantino (a sua volta condannato anche se non ancora in via definitiva), e che la stessa era frequentata da Giulio Carini, Innocenzio Macheda, Pietro Battaglia, Giovanni Alampi, Filippo Gioia e Nicola Paviglianiti, tutti nomi che a vario titolo compaiono nelle carte dell’indagine “Perfido”. Carte nelle quali si legge appunto come l’attività investigativa abbia documentato che gli indagati fossero “strettamente collegati tramite l’appartenenza all’associazione Magna Grecia di Trento”, affermando come si potesse ritenere “che all’attività sociale corrisponda una rete relazionale nell’ambito della quale sono stati favoriti anche interessi di diversa natura”. Conclusioni che trovano conferma nelle parole dell’on. Mauro Ottobre, nell’intervista su QT dello scorso mese, laddove afferma che l’ex presidente della predetta associazione, il prof. Mario Albanese, gli avrebbe detto “di non frequentare più l’associazione, in quanto si erano inseriti soggetti poco raccomandabili”.
Riguardo poi al Mustafa, la succitata sentenza della Cassazione evidenziava come l’eccezione della Procura generale fosse fondata, in quanto erano evidenti “le condotte ascritte all’imputato”, che “consistevano in atti intimidatori, compiuti anche con armi, nei confronti di altri imprenditori”, o finalizzate “a sfruttare i lavoratori, creare un clima di intimidazione e paura”.
Si tratta, è bene ricordarlo, di uno dei tre condannati in via definitiva per il sequestro e pestaggio dell’operaio cinese Hu XuPai, avvenuto a Lases il 2 dicembre 2014, fatti di cui discuteva spesso con Mario Giuseppe Nania, col quale si accompagnava regolarmente, lamentandosi che i Carabinieri di Albiano avessero dichiarato “che il cinese era legato”. Carabinieri della Stazione di Albiano che furono oggetto di un esposto-denuncia da parte dell’avv. Giampiero Mattei già nel maggio 2016 e che per quei fatti solo ora sono chiamati a rispondere nel secondo troncone del processo “Perfido”.
Negli atti di indagine dei Carabinieri del ROS si riporta come “l’effetto intimidatorio” di quell’azione fosse “assicurato non solo dalla violenza del pestaggio ma anche dalla diffusa percezione che le locali forze dell’ordine fossero solidali con i titolari delle ditte di porfido”.
Altro episodio meritevole riguarda la truffa e le successive minacce da parte dello stesso Mustafa nei confronti dell’imprenditore del porfido di Fornace Angelo Lorenzi, costretto con l’intimidazione a ritirare la denuncia-querela sporta nei confronti dello stesso per truffa e tentata estorsione. Nonostante fosse risaputo, come affermava lo stesso Lorenzi (verbale del maggio 2015) che il Mustafa era soggetto “poco affidabile e da cui era meglio stare alla larga”, quest’ultimo venne addirittura nominato rappresentante di lista al seggio nel maggio 2018 da parte della lista (unica) guidata da Roberto Dalmonego (sindaco rinviato a giudizio per “scambio elettorale politico-mafioso” nel secondo troncone di “Perfido”), e questo, solo pochi giorni dopo la conferma della condanna in Appello per i fatti del 2 dicembre 2014.
Dunque se un deragliamento c’è stato, esso è avvenuto già nel febbraio 2022 quando la Procura ha espresso parere favorevole al patteggiamento. Per quali motivi, pur a conoscenza di tutti questi elementi, la pubblica accusa ha acconsentito alla trasformazione del vino in acqua?
Per quanto riguarda il Paviglianiti e l’associazione Magna Grecia, il ridimensionamento del ruolo dello stesso comporta di riflesso anche il ridimensionamento di una serie di rapporti con la politica e le istituzioni alquanto imbarazzanti, come evidenziato anche da Mauro Ottobre nell’intervista citata. Negli atti d’indagine viene infatti menzionata proprio l’associazione Magna Grecia quale elemento di “aderenza sul territorio”, evidenziando i “contatti istituzionali e con la poltica locale (generale Dario Buffa e i politici Dalmonego Roberto, Bruno Groff e Kaswalder Walter)”.
Per quanto riguarda invece il Mustafa (detentore di una Smith & Wesson cal. 357 e una pistola cal. 9 x 21 ancorché regolarmente denunciate) se si tien conto che negli atti d’indagine si legge che “il comandante la Stazione Carabinieri di Albiano (…) ha riferito di essere stato contattato sul proprio cellulare da Bertuzzi Franco, titolare della ditta Avi & Fontana e fratello di Rosario vice sindaco pro tempore di Albiano, che lo informava di aver appreso da Mustafa Arafat che in cantiere avevano preso il verosimile responsabile dei danneggiamenti”. E in effetti, si legge nell’informativa del ROS, “risulta dai tabulati telefonici una serie di contatti (prima messaggi e poi due conversazioni) tra Mustafa Arafat e l’utenza intestata alla ditta Avi & Fontana, la stessa indicata da Dandrea in uso a Bertuzzi Franco”. Ricordiamo, per dovere di cronaca, che in quei contatti e telefonate è sempre il Bertuzzi a chiamare il Mustafa, mentre è in corso il pestaggio dell’operaio cinese, così come ricordiamo che in quei momenti sono pure documentati i ripetuti contatti tra lo stesso Mustafa e Mario GiuseppeNania, condannato in via definitiva per “estorsione nei confronti dei lavoratori” in riferimento a fatti avvenuti nell’estate 2014 e in via non ancora definitiva (quindi da considerarsi ancora non colpevole) per “associazione mafiosa” nel processo “Perfido”. L’alleggerimento della posizione del Mustafa avrà senz’altro ripercussioni favorevoli per i Carabinieri della Stazione di Albiano chiamati assai tardivamente a rispondere dei fatti di allora nel secondo troncone del processo “Perfido”, ma anche sulle pericolose e imbarazzanti relazioni intrattenute da esponenti di spicco dell’imprenditoria locale. Sicuramente imprevisti effetti collaterali.

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