Overturismo: inutile lamentarsi se in realtà lo si persegue
I turisti, troppi o maleducati, sono l'inevitabile conseguenza (e il capro espiatorio) di dissennate iniziative di politici e imprenditori.
È stata un’estate travolgente. Si è svolto un chiassoso parlottio mediatico sugli effetti dell’eccesso di turismo. Il centro del dibattito, non poteva essere diversamente, ha un cuore territoriale, le Dolomiti: montagne spettacolari che attirano, valli super-infrastrutturate, località capaci di offrire ospitalità, dai mille ai tremila metri di quota, il tutto spacciato come qualità. Un’informazione invasiva è riuscita a cancellare i reali problemi della maggioranza di residenti che in queste valli ci vivono. E le Dolomiti anticipano nel bene e nel male i destini di altre aree.
Ci si è trovati travolti da centinaia di servizi sui media, interviste, approfondimenti che hanno tentato di offrire a noi lettori e osservatori le conseguenze di quanto succede nelle Alpi intere. Gli allarmi sul fenomeno, comunque radicato da anni, sono iniziati con le denunce del Soccorso alpino, in Alto Adige e in Trentino. Il 112 si è trovato trasformato in un servizio di taxi per turisti stanchi, impreparati, impauriti, raffreddati o annoiati. Escursionisti privi di attrezzatura adeguata raccolti su vie ferrate, o perché hanno affrontato l’escursione in ciabatte da spiaggia. Si sono anche contati troppi morti in montagna, certo chi cade da pareti mentre pratica sport rischiosi, frequentatori più che preparati, ma anche troppi che scivolano su sentieri di facile percorrenza come il Viel dal Pan (gruppo di Porta Vescovo-Pordoi).

Si sono aggiunte alcune provocazioni, scossoni anche utili seppur non condivisi. Gli allevatori che impongono i tornelli con pedaggio sull’unico sentiero diretto che porta dall’impianto alle creste di Seceda, da dove si possono ammirare le guglie delle Odle. I caroselli di gare motoristiche su tutti i passi, il lungo sciamare più o meno autorizzato di auto d’epoca, moto capaci di scaricare centinaia di cavalli di potenza ad ogni uscita di tornante, in assenza o nella debolezza dei controlli. Moto truccate hanno cavalcato i passi infuocando le accelerate fino a lacerare i timpani di quanti, con umiltà, stavano scalando le vie storiche dell’alpinismo o camminando i faticosi sentieri.
Non c’è stato solo questo. Si sono documentati escursionisti che su trespoli in spalla (crachesa in dialetto di Fiemme) portavano magnifici, colorati, spaventati pappagalli, biciclette su sentieri impraticabili, perfino portate a spalla da presunti atleti sulle vie ferrate. Gli elicotteri, per lo più di società bolzanine, che per evitare i divieti della legge provinciale, pochi metri più in là, nel bellunese o nel bresciano, accoglievano influencer, base jumper, modelle in bikini da portare sulla Torre Trieste del Civetta, o su altre cime per lanci in parapendio o voli spettacolari, o solo per immortalare in un selfie l’evidente cafonaggine. Impossibile illustrare tutto l’universo di protagonismo, esibizionismo, fragilità culturale alla quale si è dovuto assistere.
Del resto trenta minuti di volo in eliturismo nemmeno costano tanto: 250 euro un semplice volo, mentre un tour completo in Val Gardena o sulle Dolomiti del Brenta o in Adamello può arrivare a 2.500. Per qualcuno, pur di sbalordire, sono spese che si possono affrontare.
Le provocazioni di politici e operatori economici
Andiamo invece a vedere le reazioni. Partendo dalle dichiarazioni dell’assessore al turismo provinciale del Trentino, l’amico stretto di Matteo Salvini, l’albergatore di Pinzolo Roberto Failoni, che con il suo sorriso definito a cento denti (definizione rubata dai social) nega il fenomeno dell’eccesso di turismo: da puro contabile si sofferma sulle entrate economiche del settore turistico, privando ogni ragionamento di analisi sociali e delle ricadute ambientali.
Oppure il presidente del Veneto Luca Zaia, che invoca il Daspo per quanti si accontentano di mangiare un panino su un prato, su una coperta o una panchina. Ma non portano soldi.
Va ricordato l’intervento dei 78 operatori economici dei passi dolomitici, quanti hanno contrastato con la ruvidezza ricca di pura cultura egoistica la sperimentazione della limitazione dei transiti sui passi avviata nel 2017: causa la loro aggressività verbale l’esperienza era stata subito chiusa. Il promotore della campagna a favore di auto e moto, del chiasso sui passi era stato Osvald Finazzer, proprietario dell’albergo Gonzaga (Canazei). Il personaggio, che in modo nascosto, privo di coraggio (che non ci vedano assieme, mi raccomandava...), invitava in ritardo, a lavori in corso, le associazioni ambientaliste a chiedere la sospensione del grande bacino di innevamento ai piedi del Pordoi, versante trentino. Perché?
Non perché opera insostenibile, ma perché il nuovo bacino avrebbe distolto i suoi clienti dal laghetto prossimo all’albergo da lui gestito. Ebbene, è stato questo informe insieme di operatori ad aver chiesto a gran voce di rinunciare al riconoscimento delle Dolomiti patrimonio naturale dell’umanità perché, a loro dire, la Fondazione e le montagne che hanno offerto a loro ricchezza a costi pari a zero sono colpevoli di aver alimentato l’eccesso di turismo. Infastidisce questi signori il turista del semplice cappuccino, il turista che non frequenta lussuosi bar, quello dei camper.
A loro dire l’invasione delle Dolomiti è piena responsabilità della Fondazione Dolomiti UNESCO. A seguito della polemica, l’unica associazione intervenuta a difesa di UNESCO è stata Mountain Wilderness. Certo mantenendo i contenuti critici verso la Fondazione (fin dal 2019 è uscita dal ristretto e superfluo circolo dei soci sostenitori), ma ben conscia che se le Dolomiti perdono il patrocinio UNESCO non rimane aperto alcuno spazio istituzionale capace di affrontare in modo ampio la tutela paesaggistica e geologica di questo patrimonio.
Poco distante dal Gonzaga, verso Viel del Pan a quota metri 2370, troviamo il ristorante-chalet-albergo Fredarola, gestito dall’ex sindaco di Canazei Silvano Parmesani. Un imprenditore simpatico, un allegrone schietto. Da sindaco, in piena legalità, si è preparato la variante al piano regolatore comunale che gli ha permesso di ampliare di oltre il 50% la volumetria del ristorante di famiglia inserendovi piscine, saune, offrendo giornalmente ostriche e champagne. Con coraggio, superando l’ipocrisia di tanti suoi colleghi, ha rivendicato il suo impegno nel presentare una montagna a suo dire egualitaria che superi la miseria dell’immagine stantia dell’offerta del minestrone e della fatica nelle salite. Meglio arrivarci in funivia o in elicottero e ritornare a valle alticci e gonfi di prelibatezze.
Il dibattito non poteva rimanere orfano delle interviste a Reinhold Messner, ritenuto il guru dell’ecologismo delle alte quote (quello dei musei sulle vette, affiancati alle grandi aree sciabili come Senales, Plan de Corones e ora Monte Elmo). Il grande alpinista giustamente inveisce contro le auto in quota, ma si scatena sulla presenza dei lupi che a suo dire spopolano la montagna facendo fuggire allevatori e agricoltori dalle alte quote. Si tratta di un insieme di visioni ristrette che portano a difendere le rocce: ma appena sotto la verticalità ognuno è ritenuto libero di fare quello che vuole. Una totale assenza di rispetto che impedisce di comprendere come l’infrastrutturazione dei fondovalle, il potenziamento delle strade e degli impianti di risalita intacchi nel tempo anche la naturalità degli ambiti rocciosi. Un limite culturale e politico che è ben radicato nei politici che amministrano la Fondazione Dolomiti UNESCO.
Intanto sulle montagne si continua a cementificare
Se questa è la sintesi di una rappresentazione caotica di due mesi di affollamento nelle Dolomiti non possiamo tralasciare approfondimenti più realistici.
Si chiede Mountain Wilderness: di cosa si è parlato in questo informe chiacchiericcio quando non si è affrontato il tema forte, l’avanzata, e istituzionalmente sostenuta, urbanizzazione delle alte quote?Anche qui, senza la pretesa di essere esaustivi, vediamo cosa sta accadendo.
Il comune di Cavalese dona alla società Cermis Spa circa 6 ettari di bosco pregiato per costruirvi un campeggio di lusso. Stessa cosa avviene a Lavarone. Si propongono alberghi di lusso in alta quota, Auronzo (famiglia Meister di Bolzano), Monte Rite (Boscolo, BL), San Martino di Castrozza, Brentonico. Si trasformano semplici baite-bar in chalet per feste (Campiglio-San Martino di Castrozza).

Attorno alle aree sciabili, ovviamente in quota, perché l’ospite deve salire sull’impianto e lì deve spendere, si diffondono vie ferrate, perfino illuminate a notte, parchi tematici, acropark, discese spericolate per biciclette, si ospitano dinosauri e fauna selvatica in plastica o dipinta su sagome, con artisti che si trasformano in operatori artigianali a tempo pieno imponendo animali mostruosi (iguane, lupi, aquile, grifoni, cervi) o installazioni definite deperibili (nulla a che fare con la qualità di Arte Sella).
Si diffondono ponti tibetani e imponenti panchine, inaccessibili ma ben colorate. Le strade in quota vengono aperte al transito motoristico; agli impianti di risalita si concedono potenziamenti di capacità di trasporto insostenibili, si diffondono bacini di raccolta acque per l’innevamento fatti passare per vasche antincendio (capaci di contenere fino a 200 mila mc.) ovviamente dotati di spiaggia, deroghe urbanistiche che affondano nell’impudenza, bar e chalet diffusi ovunque. Si trasformano i paesaggi montani; così operando in modo diffuso si cancella la storica cultura della sobrietà e del limite. Si investono denari pubblici per aree sciabili in situazioni già precarie da tempo: si pensi a Bedollo (1000 metri di quota), Bolbeno (550 metri), Panarotta. Si buttano al vento 53 milioni di euro per il collegamento San Martino -passo Rolle. E poi ci si scandalizza dell’overturismo?
Non basta questo. Dalla val Pusteria al bellunese le associazioni imprenditoriali, con voce forte ancora oggi cosa propongono? Più strade, portare le attuali statali di accesso alle valli a tre corsie, ancora varianti e rotonde sempre più ampie, investire nell’Alemagna per raggiungere velocemente Monaco di Baviera. Per alimentare l’overturismo si devono velocizzare gli accessi, mentre la ferrovia della Valsugana rimane chiusa per mesi, come del resto accade da tempo per la ferrovia Belluno-Calalzo che sembra, dopo le Olimpiadi, sia destinata a chiudere definitivamente.

Quali sarebbero le soluzioni di contrasto agli eccessi di presenza proposti da altri operatori economici, quelli che si definiscono sensibili? Nelle Alpi, perfino in alcune aree dolomitiche, molte vallate sono ancora libere da rumori e sovraffollamento. Oltre ad ampliare la stagione da giugno a tutto settembre, ci dicono questi imprenditori, si deve investire nelle zone rimaste naturali, ritenute abbandonate. Perché non portare anche lì il modello del turismo di massa? Per i primi due-cinque anni si offrirà naturalità e silenzio, a vantaggio di pochi, specialmente ricchi. Poi è un peccato mortale lasciare un’area intonsa. E una volta speculato, chi se ne frega delle conseguenze.
Si scriverà ancora per anni, su tutti i media, contro l’overtursimo. E anche laddove si sarà portato su zone dedicate al silenzio, Monte Rite o foreste di Auronzo, il turismo del lusso, questo in poco tempo attirerà la massa. Fuggiranno ancora i benestanti in cerca di un altrove e a quanti si accontentano del panino si lasceranno ulteriori ruderi. Sui comuni, già oggi poveri di risorse, ricadranno ulteriori costi di gestione o ripristino. Certamente per quanti vi abitano, in Vanoi, Comelico, monti Lessini, le aree cimbre, non vi saranno ricadute di servizi e non si sarà attirato lavoro innovativo e giovane.
Il messaggio imperante è quello tradizionale: guadagni riservati a pochi, le ulteriori strutture si devono fare in tempi brevi, chi gestirà poi e con quali costi pubblici interessa poco. Alla fine però interesserà quanti non hanno potuto oggi decidere del destino della montagna.
Eppure sui tavoli delle amministrazioni pubbliche, anche della assente Fondazione Dolomiti UNESCO, vi sono proposte e inviti che non vengono considerati. Riguardano le Tre Cime di Lavaredo, la Marmolada, riguardano le aree protette del gruppo del Sassolungo, riguardano la mobilità pubblica e le ferrovie.
Incuranti del cambiamenti climatici in atto si distrugge il patrimonio paesaggistico montano, si cancellano storia, ambienti, arte, biodiversità. Mentre si scrive di overturismo la montagna continua a essere ricettore di nuove proposte d’assalto. La si priva del tutto della sua intimità, della semplice complessità, di natura e paesaggi. E la si rende sempre più simile a un grande parco ricreativo cittadino. Ovvio che la massa che la frequenta, così attirata, non perda tempo ad approfondire conoscenze, i temi della sicurezza, la storia dei luoghi frequentati. Per un giapponese o un arabo, ma anche per un romano, arrivare alle Tre Cime o a Braies, o al Cristo Pensante in pieno parco naturale non fa differenza. Un, pranzo, uno scatto e poi via.