La fine dei princìpi?
Il leader di una nazione, se è potente abbastanza, può disattendere un trattato internazionale; può farlo anche se lo ha sottoscritto lui stesso, una settimana prima. Una nazione che ha subìto un crudele attacco terroristico può rispondere eliminando la popolazione da cui provengono i terroristi e impossessarsi del suo territorio; e già che c’è, fare la stessa operazione con un altro territorio, altrimenti governato, ma abitato dalla stessa etnia. Un’altra nazione ancora, se abbastanza forte, può invadere il vicino, annetterne una consistente porzione, e pretendere che il resto sia governato da un suo fantoccio. E’ la legge del più forte.
Un criminale internazionale, colpevole di atrocità seriali, stupri ed assassinii, può essere liberato da un governo straniero (il nostro) e riportato in pompa magna a casa. E’ il realismo politico.
Un politico può raccontare conclamate falsità pazzesche, e a chi gliene chiede conto rispondere: “Questo lo ho detto ieri, ma io invece guardo al domani” (Matteo Salvini), oppure: “Stia attento lei, il suo giornale non naviga un buone acque” (Donald Trump).
Lo stesso Trump può travolgere tutte le regole istituzionali pensate per bilanciare i poteri, basta che abbia messo suoi uomini negli organismi di controllo.
Veniamo al piccolo livello nostrano. I giudici possono comminare pene irrisorie a imputati di mafia scrivendo di aver “ricondotto l’accusa in forma aderente agli atti d’indagine” quando proprio quegli atti (vedi l’inchiesta a pagina 8) provano in maniera chiarissima attraverso decine di intercettazioni, il contrario, cioè l’appartenenza degli imputati all’associazione criminale. Il grave è soprattutto nel pensiero che ci sta dietro; della serie: io sono io, e posso decidere quello che voglio.
Scendiamo a un livello più nazional popolare. Un commentatore sportivo può berciare: “Bravo il pilota ferrarista, ha di proposito danneggiato il compagno di squadra! Così fa un campione! Cinico, feroce, spietato!!”
Insomma, siamo di fronte all’evaporazione dei diritti e del diritto, alla sua integrale sostituzione con la legge del più potente, prontamente osannata da molteplici cantori.
Ne consegue una sempre più incombente crisi della democrazia. Come siamo giunti a tutto questo?
Il motivo di fondo lo accenniamo solo, in quanto ne abbiamo più volte parlato. E’ l’aumento vertiginoso delle disuguaglianze, gli incrementi del Pil che da alcuni decenni vanno solo ai ricchi e ricchissimi, mentre gli altri devono fronteggiare anche lo smantellamento dello stato sociale. Non a caso in Francia si dice che ce n’è troppo, per uscire dalla crisi bisognerà ridurlo: chi mai, tra i ceti medi e bassi, può sostenere una democrazia che ha tali esiti?
Questa deriva ha portato al tracollo della credibilità della politica. Che difatti non consiste nel proporre e praticare un modello (diverso) di società, bensì nella spartizione del potere attraverso le alleanze, dentro i partiti e tra partiti.
Non basta. Alla crisi verticale dei partiti come credibili agenzie culturali, a quella della Chiesa e delle chiese (sempre gravate dalla preminenza di tabù sessuali fuori dai tempi, oltre che dal brusco ridimensionamento dell’importanza del sacro, diventato un oggetto alieno) si è sommato lo sbandamento culturale di fronte alle immense capcità dei nuovi media, mezzi potentissimi che hai difficoltà a maneggiare con saggezza, e per di più sterminata prateria aperta alle scorribande di variegati impostori, tra cui i propagandisti di potenze straniere.
Insomma, l’impressione è che siamo di fronte a un momento di crisi dentro le stesse persone, che stentano a trovare, come pure a crearsi, punti di riferimento. Di qui l’indebolirsi dell’etica laica, dei principi di convivenza. Si può arrivare a mettere in dubbio che il diritto sia indispensabile per contrastare la legge del più forte.
Dobbiamo arrenderci?
Al contrario. Confidiamo che i tanti momenti aggregativi, volontari o meno, comunque positivi nella società, riescano a invertire questa deriva. La mobilitazione per Gaza, i “no kings for America”, i giovani israeliani che rifiutano l’arruolamento, i due campioni del tennis che dopo oltre tre ore di multimilionaria battaglia si abbracciano sorridenti come vecchi amiconi, ci possono far capire una cosa: l’umanità non merita che disuguaglianza, guerra, oppressione siano i nuovi principi che governano il mondo.
Lo sono sempre stati, dirà qualcuno. Non è vero: lo stato sociale, l’Onu, la lotta alla disuguaglianza di genere, quella al razzismo e tanto altro, ci hanno mostrato che un altro mondo è possibile. Non dimentichiamolo.
