Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 6, giugno 2024 Servizi

Cosa fareste in Europa?

Rispondono alle nostre domande quattro candidati alle elezioni europee: Sara Ferrari (PD), Sabrina Pignedoli (M5S), Alessia Ambrosi (FdI) e Herbert Dorfmann (SVP).

Esiste una politica europea? A livello internazionale (rispetto al resto del mondo) e interno (di omogeneizzazione tra gli stati membri)? Dovrebbe essere resa più incisiva? E come?

Ferrari. Negli ultimi anni l'Europa ha lavorato su temi rilevanti come la transizione ecologica, i diritti sociali, il contrasto alla pandemia e ha attivato debito comune per sostenere gli Stati più in

difficoltà nella ripresa post-CoViD. Resta molto da fare sia sul fronte di una politica estera e di difesa comune, sia rispetto a regole fiscali e del mercato del lavoro condivise, che per investimenti comuni a sostegno della conversione ecologica, del diritto alla casa e alla salute. È necessario che le decisioni siano sì condivise, ma che possano essere prese in tempi adeguati alla velocità dei cambiamenti in atto, superando l'unanimità nel Consiglio.

Sara Ferrari (PD)

Pignedoli. Purtroppo non possiamo dire che esista una politica internazionale dell'Unione Europea. Al suo interno l'Unione continua a plasmare molti aspetti delle normative nazionali dei 27 Stati membri e fuori dai suoi confini stipula rapporti commerciali con una serie di accordi. Ma non esiste una politica diplomatica europea. Lo abbiamo visto con la guerra a Gaza. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha seguito una sua strada, con un appoggio incondizionato a Israele smentita da oltre 750 dirigenti della Commissione europea). Il capo della diplomazia UE, Josep Borrel, di cui apprezzo le posizioni, si è pronunciato molto diversamente dalla von der Leyen, ma sembra parlare più a titolo personale. In Europa abbiamo 27 politiche diplomatiche ancora diverse.

Ambrosi. Ancora non sappiamo se realmente esista una politica europea, è un discorso lungo, complesso, vero per alcuni aspetti non vero per altri. Esiste però una burocrazia europea che è il nostro vero problema, anche in terminidi reale peso dell’Italia in questi gangli in quanto sistema Paese. Sulla politica europea diciamo che ce n’è troppa dove non serve, come l’equiparazione della lunghezza delle barbabietole e troppo poco dove invece servirebbe e penso, ad esempio, alla necessità di una Difesa comune.

Dorfmann. Certamente esiste una politica europea, sebbene l’Ue non sia uno stato, ma una cooperazione tra stati e regioni, che ha permesso progressi cruciali, come il mercato e la moneta unica, o la politica agricola comune. Ultimamente, poi, l’Ue ha fatto sentire il suo peso nella lotta al cambiamento climatico, nell’acquisto centralizzato di vaccini anti-Covid, nel finanziamento con debito comune della ripresa post-pandemia e nella guerra in Ucraina, che segna una svolta nella cooperazione in materia di difesa. La promessa europea di pace e prosperità va adattata al mondo che cambia: questa è la vera sfida.

Quanto conta oggi, il Parlamento europeo? Dovrebbe contare di più? Quanto sono preparati i parlamentari italiani?

Ferrari. Il Parlamento europeo conta più di quanto si pensi: concorre alla formazione delle leggi che sono vincolanti per gli Stati membri - direttamente o dopo averle recepite - e quindi determina molti aspetti delle nostre vite. In ottica democratica dovrebbe avere anche l'iniziativa legislativa, che oggi ancora non ha. Per l’importanza delle decisione che prende sarà determinante non solo l’orientamento politico della maggioranza che si formerà (se sarà sovranista avremo meno Europa e meno solidarietà), ma anche la qualità degli eurodeputati, la cui selezione, però, è in capo alle singole forze politiche: Vannacci non lo candidiamo noi.

Alessia Ambrosi (FdI)

Pignedoli. Certo, dovrebbe contare molto di più, in quanto è l'unica istituzione votata direttamente dai cittadini. Abbiamo fatto lenti progressi, ma il Parlamento europeo ancora non ha potere di iniziativa legislativa, che allo stato attuale compete esclusivamente alla Commissione. A parte qualche caso, mediamente gli europarlamentari italiani hanno una discreta base di competenze. Molti hanno già dei temi in cui sono più preparati e che seguiranno nelle diverse commissioni. Ma il Parlamento europeo per la politica italiana è troppo spesso considerato un parcheggio o un cimitero degli elefanti. Sono troppi ancora gli eurodeputati che dopo uno-due anni tornano in Italia per ricoprire altre cariche o per ricandidarsi al Parlamento italiano. Tutto questo desta molto sconcerto tra i colleghi di altri Paesi. Significa che molte forze politiche non considerano ancora adeguatamente l'importanza di lavorare in Europa e di portare avanti collettivamente un lavoro per il nostro Paese.

Ambrosi. Non essendoci mai stata personalmente, sulla preparazione dei colleghi spero di potermi fare un’impressione adesso, se mi eleggerete. Il Parlamento europeo conta già moltissimo ed è un luogo vitale, ad esempio sul tema dei diritti dei popoli, come acutamente aveva già notato ad esempio David Sassoli, per citare un esponente non della mia parte politica che pure oggi tutti unanimemente rimpiangiamo”.

Dorfmann. Come membro del Parlamento europeo, sono ovviamente convinto che esso dovrebbe avere un peso ancora più forte. Da co-legislatore, il Parlamento europeo svolge già ora un ruolo decisivo nell’elaborazione delle norme europee. Conterebbe ancora di più se gli venisse attribuito un diritto formale d’iniziativa legislativa, per il quale continuiamo a batterci.

Va invece sfatato il mito del politico parcheggiato a Bruxelles. Ci sono molti europarlamentari italiani preparati: lo dimostrano i ruoli di primo piano che molti di noi occupano nei rispettivi gruppi e commissioni e su importanti dossier.

La crescita delle disuguaglianze nelle nostre società, in parallelo alla contrazione/smantellamento del welfare, è un problema decisivo? Come mai non emerge una politica di contrasto alle disuguaglianze? Forse perché le tasse sono un tabù, e non si ha né l’intenzione né il coraggio di attuare una perequazione attraverso la leva fiscale?

Ferrari. Serve un'Europa più sociale che sostenga gli Stati membri nel contrasto alle disuguaglianze. Con il Partito Democratico ci candidiamo in primis per questo. Serve rafforzare il Pilastro

europeo dei diritti sociali destinando più risorse al Fondo Sociale Europeo (FSE+), per un Next Housing EU per il diritto alla casa, per una sanità pubblica più accessibile e per politiche di sostegno alla non autosuffienza in Europa (serve che gli Stati cedano sovranità sugli indirizzi generali). Per rendere sostenibili politiche sociali europee serve una politica fiscale comune più equa e progressiva, che contrasti i paradisi fiscali e faccia pagare quanto dovuto laddove si produce.

Pignedoli. La normativa sul salario minimo europeo, ancora non approvato in Italia, è un primo passo per garantire una barriera minima di diritti. Come Movimento 5 Stelle insistiamo anche sul reddito di cittadinanza europeo, una misura che servirà ad attutire eventuali crisi economiche e la perdita di posti di lavoro derivanti dalla transizione digitale, in particolare a causa del sempre più massiccio impiego dell'Intelligenza artificiale. Nasceranno nuovi lavori e altri spariranno, ma dobbiamo gestire questa metamorfosi. Ovviamente è necessario anche un sostegno adeguato a sanità e istruzione. Purtroppo lo sciagurato via libera al patto di stabilità da parte del governo Meloni porterà a 13 miliardi di euro ogni anno di tagli e nuove tasse.

Un discorso a parte va fatto sulla fiscalità, che è di competenza dei singoli Stati membri. È auspicabile una maggiore armonizzazione tra i diversi sistemi, anche perché attualmente c'è una competizione interna tra Paesi che applicano un dumping fiscale per attirare capitali. Ci sono anche Stati membri che sono considerati paradisi fiscali e che sottraggono risorse agli altri. Su questo l'Unione Europea deve lavorare ancora molto.

Ambrosi. Mi rifiuto di dire che le tasse sono bellissime, non la penso così. Bellissimo è il lavoro e l’ingegno delle persone, dai giornalisti, agli intellettuali, ai fruttivendoli del mercato che sì svegliano alle 5 la mattina, a chi lavora in fabbrica, a chi fa il portantino o l’infermiere che assiste gli anziani, all’idraulico a partita Iva. Ogni soldo, ogni euro che lo Stato preleva dalle tasche degli italiani dovrebbe essere usato in maniera oculata, seria e corretta. Non può passare il concetto della spesa allegra e senza limite. Cito qui una frase di una grande donna al riguardo: “Lo Stato non ha altra fonte di reddito se non i soldi che i cittadini guadagnano. Se lo Stato vuole spendere di più può farlo solo intaccando i vostri risparmi o tassandovi di più. Ed è inutile illudersi che qualcun altro pagherà il conto, perché quel “qualcun altro” siete voi. Non esistono i soldi pubblici, esistono solo i soldi che i contribuenti danno al settore pubblico”. Lei era Margaret Thatcher e in queste belle e schiette parole mi ci ritrovo in pieno”

Sabrina Pignedoli (M5S)

Dorfmann. L’Europa sociale è uno dei miei grandi obiettivi. Benché in questo campo l’Ue abbia solo competenze concorrenti e di sostegno, abbiamo fatto tanto per promuovere salari minimi adeguati, pari opportunità nel mondo del lavoro e per lottare contro ogni discriminazione. In tema di tassazione, ho contribuito alla relazione del Parlamento europeo sullo scandalo dei Pandora Papers, che ha aperto la strada a una migliore cooperazione transfrontaliera tra autorità fiscali, a regole comuni sulla ritenuta alla fonte e a norme vincolanti contro la pianificazione fiscale aggressiva. Per me la lotta ai paradisi fiscali è una delle missioni più importanti che l’Ue deve portare avanti.

Il Green Deal europeo (iniziative per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 ) è in difficoltà: si fanno deroghe perché questa o quella categoria protesta, si dorme sull’innovazione nell’automotive e poi si invocano dazi verso l’import dalla Cina che invece ha saputo innovare, ecc. Cosa c’è che non va?

Ferrari. Il green deal europeo (iniziative per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 ndr) è in difficoltà: si fanno deroghe perchè questa o quella categoria protesta, si dorme sull’innovazione nell’automotive e poi si invocano dazi verso l’import dalla Cina che invece ha saputo innovare, ecc. Cosa c’è che non va? La conversione ecologica è assolutamente necessaria, ma la questione nodale è come renderla economicamente e socialmente sostenibile. Da un lato servono risorse comuni da investire per la transizione e dall'altro è necessario rendere la conversione energetica, agricola e della mobilità una grande opportunità di sviluppo in ottica green. Serve un piano industriale europeo per la transizione ecologica e digitale che riporti in europa le produzioni ad alto valore aggiunto che con la globalizzazione abbiamo delocalizzato e che crei occupazione di qualità. La Cina, invece, in un mondo che ha globalizzato gli scambi, ma non i diritti, di fatto innova facendo concorrenza sleale sulla pelle dei lavoratori e dell'ambiente.

Herbert Dorfmann (SVP)

Pignedoli. Dobbiamo tutelare il Made in Italy e il Made in Europe, cercando di essere più indipendenti, ma è innegabile che, oltre alle auto elettriche, una parte dei prodotti e dei componenti utilizzati nelle industrie UE proviene dalla Cina, anche quelli impiegati nella transizione verde, pensiamo ai pannelli fotovoltaici. Per una vera transizione verde ci vuole tempo, gradualità, investimenti economici e un dispiego di competenze. Molte piccole imprese, che costituiscono una delle punte di diamante della nostra produttività, hanno paura di gettarsi nella digitalizzazione e in investimenti innovativi “verdi” per paura di non farcela. Non è solo una questione di investimenti, ma bisogna accompagnare le imprese con un know-how adeguato, cosa che aziende più grandi fanno già molto bene. Altri fanno finta di innovare e ora ci sono nuove normative UE contro il greenwashing. Dobbiamo evitare che questa enorme occasione costituita dal Green Deal venga perduta.

Ambrosi. Intanto la Cina è una dittatura terribile che ha alle spalle due-tre decenni di sviluppo terribilmente inquinante. Noi sul Green Deal europeo diciamo solo una cosa, ma chiara: non possiamo smettere di vivere per l’ambiente, non possiamo andare a rubare perché siamo costretti a comprare l’auto elettrica o a ristrutturare casa contro la nostra volontà. Non esiste questione ambientale senza questione sociale, ed è paradossale che a dirlo non sia la sinistra ma noi. Se vogliamo che la battaglia ambientale sia popolare, va calata sulle reali possibilità economiche delle persone. Sennò sarà solo la manfrina controproducente delle élites.

Dorfmann. Nella configurazione attuale, il Green Deal è una strategia ambiziosa per promuovere la sostenibilità dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico. Affinché la transizione ecologica sia un successo economico, non possiamo però permetterci di essere ingenui: i sussidi cinesi alla produzione di auto elettriche ostacolano slealmente gli sforzi della nostra industria verde. Noi europei rispettiamo gli obblighi internazionali di libero scambio e non c’è motivo per cui chi vuole esportare i propri prodotti da noi non debba osservare le stesse regole dei nostri produttori.

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.