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QT n. 2, febbraio 2024 L’editoriale

Fare del bene fa bene

Non è un caso che abbiamo dedicato il nostro servizio d’apertura a Trento Capitale Europea del Volontariato. La manifestazione, e l’approccio che le sta dietro, ci sembrano molto interessanti ed utili in questi nostri giorni. Ed anche un po’ controcorrente.

A guardare infatti i manifesti che adornano la città, sembra di essere entrati in una fiera del buonismo, fuori, anzi contro la cultura oggi prevalente. I volontari sono “gente felice”, “fare del bene fa bene”, e via con le immagini di persone sorridenti, che nell’aiutare realizzano se stesse. L’esatto contrario della filosofia della vita come competizione, magari dura, senza esclusione di colpi, della bontà che è una melensaggine, e subito diventa “buonismo”, cioè ipocrisia oppure stupidità, oppure tutti e due.

Se invece vediamo i presupposti su cui è incardinato il progetto europeo dei servizi al volontariato, e a seguire, le Capitali del volontariato, vediamo che in esso c’è una grande visione di fondo e al contempo molta concretezza.

In sintesi (spieghiamo meglio nel servizio) il presupposto è che il volontariato con scopi sociali, dal coro alla squadretta di pallavolo, ai donatori di sangue, non solo fornisce alla società servizi preziosi e spesso indispensabili, ma fa bene anche al volontario stesso, che ne viene gratificato; e fa bene alla società, in quanto così si sedimentano sentimenti e cultura della solidarietà, della partecipazione, dell’inclusività. Per questo un volontariato sviluppato, come accade in Trentino, è un capitale sociale prezioso, che va preservato e valorizzato.

La buona notizia è che l’Unione Europea ha riconosciuto in questo momento sociale un volano che traduce nella pratica, nel fare quotidiano, alcuni propri valori fondanti. Lo sappiamo, i grandi principi vengono spesso traditi, o per lo meno oscurati, nella politica spicciola, spesso giocata all’insegna della più vieta realpolitik. Ma proprio per questo è ancor più importante se, nel contesto sociale, nella vita delle persone, si affermano pratiche improntate a quei principi. E parimenti importante è che a livello politico ci sia la consapevolezza dell’estrema positività di tale dinamica, e ci si dia da fare – come sta avvenendo a livello europeo – per promuoverla, per incentivarla.

Noi vogliamo pensare che la società incominci a rendersi conto degli immensi danni provocati dalla cultura della contrapposizione, dell’egoismo, del cinismo, dell’odio. Vogliamo iscrivere in questo salutare rigetto anche l’attuale entusiasmo per un giovane professionista sportivo. Di Jannik Sinner infatti entusiasmano (lo abbiamo già scritto nel numero di dicembre, ma lo ritroviamo oggi confermato) non solo le capacità agonistiche, ma anche le caratteristiche umane: oltre alla serietà, la gentilezza, la cortesia, la tranquilla simpatia. Non lo sbruffone che va fuori di testa per l’improvvisa popolarità, ma il ragazzo sereno, che rimane rispettoso anche nel momento del successo.

Nel mondo dello sport, in sintonia con la greve cultura di cui sopra, si è diffusa una insopportabile celebrazione della vittoria a qualsiasi costo: per cui viene lodato tutto quanto danneggia il rivale (abbiamo sentito le lodi a Leclerc della Ferrari quando aveva nelle prove danneggiato il compagno di squadra Sainz: “Così fa un campione!”); anche il lessico ne è contaminato: se uno sportivo segna un punto, non è bravo, è “cinico”. La cattiveria è ricercata ed esaltata, anche quando non c’è.

La gentilezza di Sinner spiazza tutto questo. Fino all’anno scorso Mevdevev lo strapazzava; a un cambio campo lo derise, mettendosi a sbadigliargli in faccia (“A giocare con te mi annoio”). Quando a Melbourne Yannick lo ha battuto per la terza volta di seguito, non gli ha detto “Allora, ti sei annoiato?”, bensì, al momento della premiazione, “Ringrazio Danil per la bella partita, e spero che uno dei prossimi Australian Open lo vinca lui, se lo merita”. Una immensa lezione di stile. Ma anche un modo di vedere la vita che è altro.

Ecco, che tutto questo entusiasmi, commuova la gente, è un’ottima cosa.

Forse possiamo non rassegnarci alla cultura della sopraffazione, e coltivare invece quei valori che già sono presenti nella società anche attraverso il nostro robusto volontariato, e che dovremmo riconoscere, valorizzare, difendere, esserne fieri.