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Così si perde il patrimonio storico del Trentino

Arch. Fulvio Osti

Purtroppo si continuano a registrare delle perdite significative in tutto il Trentino relative al suo patrimonio storico; e quello che più preoccupa è che ciò avviene senza che si levi una sola voce contraria. Qui mi limiterò a scrivere delle sole demolizioni integrali, fatti eclatanti e macroscopici, evitando di parlare di episodi minori. Oggi stiamo navigando a vista e lo stiamo facendo senza nemmeno scandalizzare nessuno e senza la reazione di un certo associazionismo culturale che in altri tempi mi sembrò più vigile e attento.

Questa volta è toccato a una unità edilizia sita all’imboccatura del centro storico di Spormaggiore, in località Spiazola, già proprietà dell’estinta famiglia Gasperetti. Disabitata da decenni, essa aspettava da un momento all’altro il colpo di grazia, complice una catena di anelli deboli che hanno permesso tanto: dal proprietario al professionista, che assieme hanno promosso tale procedura, alla Commissione edilizia comunale, che ha avallato la fine di una delle rare edificazioni di un certo carattere locale ancora integre, sostituendola con un qualcosa di assolutamente estraneo.

Certamente quell’unità edilizia demolita non era il Colosseo, però rappresentava, assieme a tante altre, la struttura insediativa dell’abitato storico del paese e la sua anima che proveniva dal passato, la sola che potrebbe ancora garantire l’identità del presente e del futuro a questo aggregato urbano, non certo le aree di nuova edificazione, abbandonate come tutte le nostre periferie a un’orgia disordinata di improvvisazioni di ogni tipo.

Pur non conoscendo le sue condizioni, mi pare di aver capito che esisteva un dissesto statico in un punto delicato. Ma ciò non giustificava la sua completa eliminazione. Sappiamo di tecniche d’intervento anche sofisticate che permettono di risolvere ogni problema, purché a intervenire siano persone competenti. Conservarla, recuperarla e rilanciarla a nuova vita non sarebbe venuto a costare più di tanto, con un risultato impensabile in relazione alle condizioni in cui giaceva e a quel vuoto della memoria che toglie il fiato, che ora si può vedere. Assieme a ciò si sarebbe potuto contrastare anche l’intento speculativo.

Spormaggiore: prima

Il problema viene dal lontano 1995, da quando la Provincia di Trento decise di abolire il proprio servizio di tutela paesaggistica, venendo meno alle proprie prerogative e capacità autonomistiche, smantellando un servizio che andava rivisto, ma non rimosso, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di chi le cose le vuole vedere. Ciò avvenne affidando alle sole commissioni edilizie comunali compiti al di sopra delle loro competenze.

Tutto ciò è avvenuto anche sotto la spinta delle amministrazioni comunali che rivendicavano maggiori competenze, al pari della gestione del territorio e della pianificazione urbanistica. Questi ultimi due temi, delicatissimi, appartengono anch’essi alla stessa sorte dei centri storici, e andrebbero accomunati nella stessa critica.

Quanto ai componenti delle commissioni, la loro partecipazione è assolutamente non retribuita, eppure non pochi di essi “fanno a sportellate” pur di parteciparvi, per ovvie ragioni di visibilità personale e millantato credito professionale, dimostrando con ciò la propria dipendenza da interessi personali.

Quanto agli amministratori, la loro ottica non può essere che quella della gente comune, perché essi provengono dalla gente comune e sanno assorbirne ansie, aspirazioni e forma mentis oltre che ricevere il mandato elettorale. Talvolta, messi alle strette durante una scelta cruciale, essi preferiscono attingere allo strumento del referendum cittadino anziché affidarsi a chi se ne intende: restituiscono la delega, sia la gente a decidere per smorzare le polemiche sul nascere e uscirne non compromessi elettoralmente. Questo la dice tutta riguardo alla capacità di governare e amministrare, e così si perdono opportunità spesso irripetibili.

Questo avviene a qualsiasi livello politico-amministrativo, immaginiamoci nei piccoli comuni. Non solo, ma essi sono anche condizionati dal fatto di avere un rapporto troppo stretto con la popolazione alla quale devono dare risposte a ogni costo, non ultimo quello di subirne il ricatto elettorale. Alla fine, cedere su ogni fronte sembra la più scontata delle tentazioni. Che cosa fare prima che se ne vada tutto in fumo?

Anzitutto rivedere le commissioni edilizie

Per primo, si liquidino le commissioni edilizie o almeno si tolga a esse la competenza dei centri storici, organi obsoleti quanto anacronistici, luoghi dell’inefficienza e dell’approssimazione. Fatto salvo chi cerca nonostante tutto di lavorare con impegno e in buona fede, che si trova sempre e ovunque, spessissimo queste commissioni sembrano più il territorio di scontro tra bande armate anziché un consesso di persone preparate, capaci di agire in scienza e coscienza, libere e indipendenti.

Spormaggiore: dopo

Secondo, si istituisca un servizio provinciale con procedure snelle e gestito da personale adeguatamente istruito e formato che intervenga sul territorio, capace di fornire risposte attendibili, adeguate, rapide e univoche per la committenza e i professionisti. Quel personale non è difficile da reperire; e si lascino a casa funzionari generici che in passato finirono pure per contraddirsi a vicenda nelle loro posizioni culturali spesso opinabili.

Terzo, la classe politica trentina faccia un’auto-analisi delle proprie inadempienze partendo almeno da quel fatidico 1995, quando si deliberò di liquidare una delle tante creature volute da Bruno Kessler. Si rilanci la promozione culturale di questa problematica, soffocata sotto la scure degli “sfrugni” quotidiani. Si provveda anche a individuare meccanismi e strumenti incentivanti quali la defiscalizzazione e la detassazione per chi vuole intervenire nei centri storici, compresi oneri urbanistici e quant’altro. Si provveda, per ultimo, a favorire in ogni maniera il ritorno in essi anche con le contribuzioni pubbliche, dove in molti luoghi non tempestati dal turismo di massa molti giacciono mezzi vuoti. Non ultimo, si pressi il mondo della professione, pretendendo che si attrezzi con strumentazioni tecnico-culturali adeguate. Infine si combattano le più volgari speculazioni, come nel nostro caso, che sono foriere di logiche devastanti.

Salvaguardia o business?

Per quanto riguarda l’Autonomia amministrativa, essa è una formidabile opportunità che tutti da fuori ci invidiano, perché con essa potremmo fare un’infinità di cose agli altri impensabili. Invece si rimane a guardare, o forse peggio, perché cedere la competenza della tutela paesaggistica ai comuni è stato un lavarsene le mani.

L’ultima novità sono “I borghi più belli d’Italia”. Tutti vorrebbero entrarci, anche per ovvi motivi promozionali; e pure lì si combatte “a sportellate” per riuscirci, come se essi fossero la panacea delle nostre distrazioni, mentre dimentichiamo un quotidiano fatto di trascuratezze, trasgressioni e deroghe, come nel nostro caso di Spormaggiore.

Ma dimentichiamo anche che, seppure con forme e logiche differenti, questi borghi nascondono l'insidiosa ideologia della speculazione: il loro fine nemmeno troppo nascosto è il numero di visitatori, non la loro conservazione. E di visitatori non ne bastano mai, e allora siamo da capo.

La parola turismo non l’ho mai tirata in ballo, perché esso non deve essere la finalità di questo argomento: la vera ragione di fondo siamo noi, residenti. Perché la responsabilità della conservazione e della fruibilità di questi luoghi appartiene a chi vive questi luoghi, e li vive prima di tutto per se stesso e successivamente per quelli che verranno dopo di lui, e non per business.

* * *

L’arch. Fulvio Osti, è stato in servizio presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento.

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