Mafia e Ordine (dei giornalisti)
L'Ordine ci sanziona: per aver rivelato le minacce mafiose a un minorenne
Un ragazzino di quindici anni minacciato dai mafiosi, come avvertimento al padre. Una notizia che fa rabbrividire, tanto più se avviene nel nostro civilissimo Trentino (almeno così ci ostiniamo a pensare), per la precisione ad Arco.
E’ questo il caso, che i lettori probabilmente ricorderanno, del figlio del senatore Mauro Ottobre. Indagato, all’interno del procedimento Perfido per scambio elettorale politico-mafioso, il padre. Minacciato attraverso un’intrusione via chat il figlio “Appena salgo su in quel buco di merda che è Arco, per te è finita”.
Nel numero di febbraio “Perfido”: ci giochiamo il Trentino abbiamo svelato la raccapricciante vicenda, come riportata dai documenti processuali, e illuminata dallo strampalato comportamento del senatore Ottobre a un nostro dibattito.
Noi credevamo - e peraltro così pensano tanti lettori che ci hanno contattato - di aver riportato una notizia importante, allarmante; di aver acceso un faro su una gravissima situazione che rischia di spingere verso un profondo degrado parte della società. Ci sembrava insomma, di aver pienamente svolto il ruolo di giornalisti d’inchiesta.
Invece no. Chi non è d’accordo: la mafia? I collusi? Niente affatto, a non essere d’accordo è l’Ordine dei Giornalisti. L’Ordine infatti ha avviato un’azione disciplinare contro il direttore di QT “per aver pubblicato nome, cognome e l’età di un minore in relazione a una vicenda legata a un’inchiesta che vede indagato il padre e che vedrebbe il ragazzo vittima di una presunta intimidazione di matrice mafiosa”.
Qui c’è stato un pasticcio: il nostro direttore non ha compulsato le mail pec personali, non si è presentato al Collegio disciplinare, il quale gli ha inflitto la sanzione dell’avvertimento per aver violato il Testo unico dei doveri del giornalista, in particolare non aver “garantito l’anonimato di un minore presunta vittima di un’intimidazione di stampo mafioso”.
Ricevutane notizia, Paris ha contattato l’Ordine, si è scusato oralmente e per scritto per la mancata comparizione, e ha chiesto di poter discutere il provvedimento, che gli sembrava sbagliato. L’Ordine rispondeva seccamente che “il procedimento disciplinare è ormai concluso”.
Diciamolo francamente: tali “avvertimenti” dell’Ordine non ci preoccupano. E’ il comportamento dell’Ordine che invece ci ingenera tristezza, e che riteniamo grave.
Infatti l’art. 7 delle Regole deontologiche cui fa riferimento l’Ordine, così recita: “Va garantito l'anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ma lesivi della sua personalita', come autore, vittima o teste”. E prosegue: “Tale garanzia viene meno allorché la pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando”. E nel nostro caso i “fatti di cronaca” non potevano certo essere considerati “lesivi della personalità” del ragazzo; anzi, ne facevano risaltare il carattere, da noi esplicitamente lodato, in quanto il giorno successivo all’intimidazione, il ragazzo andava, accompagnato dalla madre (“il contesto familiare”) a denunciare il fatto ai Carabinieri. Insomma, un esempio positivo, esemplare, di come, in questo caso, la società abbia risposto alla presenza mafiosa.
D’altra parte è pur vero che la vicenda vede figlio e padre molto differenti, nella cultura e nelle azioni: cittadino limpido il primo (con la madre), decisamente ambiguo il secondo. Una situazione delicata per un minore, e quindi da trattare con rispetto, per cui evitare di citare il nome del minore, peraltro comunque facilmente individuabile sarebbe stata una dimostrazione di sensibilità che, lo riconosciamo, non abbiamo avuto.
Se questa preoccupazione - e non ottuse velleità burocratico-censorie - è il senso dell’uscita dell’Ordine ci sentiremmo di accettarla
Altrimenti no. Proprio no. Anche perché sappiamo come le minacce dei malavitosi siano tanto più efficaci quando vengono tenute nascoste: la prima regola del criminale, come dicono tutti i film oltre alle cronache giudiziarie, è promettere sfracelli se la vittima osa disvelare la minaccia. E noi, rivelando nome e cognome del ragazzo, in realtà lo abbiamo tutelato.
Si pongono questi problemi i giornalisti del Collegio dell’Ordine?
Come ragionano? E soprattutto: che idea hanno del loro stesso mestiere? Che giornalismo vorrebbero? Sono tutti problemi su cui sarebbe stato positivo discutere. Ma dopo un primo disguido, il dialogo è stato negato.