I bitcoin made in Val di Non
La piccola centrale di Borgo d'Anaunia diventa la prima "mining farm" pubblica in Italia.
Qualche tempo fa la notizia è rimbalzata su tutti i siti di settore e anche su qualche importante quotidiano nazionale: in val di Non è stata installata la prima mining farm di proprietà pubblica in Italia.
Nello specifico, la giunta del comune di Borgo d’Anaunia, il 31 dicembre 2021, ha deciso di lanciarsi nel business della produzione di potenza di calcolo che è la benzina che alimenta la produzione di criptovalute (il bitcoin è la più conosciuta, ma ce ne sono altre) e di installare dentro la piccola centrale idroelettrica del Comune un muro di computer che servono allo scopo.
Il mondo delle criptovalute e della loro tecnologia di “produzione”, la cosiddetta blockchain, risulta ancora oscuro ai più (vedi la scheda esplicativa a pag.26). Un aspetto però è stato sottolineato fortemente negli ultimi tempi: per produrre i cosiddetti blocchi della catena (letteralmente: blocks di una chain) serve una grande quantità di energia. Banalmente per produrre/risolvere un blocco ci vogliono potenti computer che lavorano 24 ore al giorno macinando calcoli su calcoli per risolvere gli algoritmi che compongono il blocco. E i computer funzionano con l’energia elettrica. Questo è semplice da capire.
Proprio il fatto di consumare così tanta elettricità sta rischiando di uccidere nella culla questa nuova tecnologia. Per l’orrore dei pionieri del settore e la delizia di chi vede nelle criptovalute un pericoloso strumento di destabilizzazione monetaria.
Il momento del resto non è favorevole a qualunque cosa consumi troppa energia: l’emergenza climatica manda un’ombra scura su tutto quello che non è ecologicamente sostenibile.
Le criptovalute e il loro sistema di produzione così energivoro avevano subito un grave colpo a maggio dell’anno scorso quando uno dei ricconi del pianeta, Elon Musk, aveva deciso di ritirarsi dal settore, proprio per ragioni ambientali. Del resto, quando si sono cominciati a fare i conti di quanta energia mangia il sistema blockchain ci si è accorti che è veramente tanta.
L’economista olandese Alex De Vries ha creato un indice complessivo che tiene traccia dell’impatto delle criptovalute, il Bitcoin Energy Consumption Index. E ha calcolato che lo scorso anno la produzione di criptovalute ha consumato, da sola, altrettanta energia di quella che consumano tutti i data center del mondo. Più o meno l’equivalente di quanto consuma l’intera Argentina in 12 mesi.
A gennaio scorso poi ci sono state le rivolte popolari in Kazakistan causate dall’aumento del prezzo dell’energia. Una contraddizione per un paese che è ricco di petrolio, gas e carbone. Ma che nell’ultimo anno ha puntato molto sul proprio ruolo di produttore di potenza di calcolo per la blockchain e ospita molte mining farms. Proprio le tantissime attività di mining digitale hanno assorbito così tanta energia che in alcune regioni del paese si sono spente le luci.
Quindi questo non sembrerebbe il momento ideale per lanciarsi in questo settore.
Il sindaco di Borgo d’Anaunia, Daniele Graziadei, invece, rimane convinto che la loro sia stata una scelta giusta.
Senza entrare in dettagli tecnici davvero complicati, Graziadei ci ha spiegato che la loro piccola centrale, posizionata sul torrente Novella, era stata redditizia fino al 2018, grazie agli incentivi legati alle energie verdi. Scaduti quelli, i conti cominciavano a non tornare più. Soprattutto nei mesi di magra quando l’acqua è molto poca. In quei mesi quindi gli impianti dovevano essere spenti perché i costi fissi di gestione superavano gli introiti. Di fatto era un impianto un po’ al limite della convenienza economica, per come la capiamo noi.
Per questo la società che cura le manutenzioni degli impianti, la Tecnoenergia di Strigno, ha proposto al Comune un nuovo business: produrre potenza di calcolo.
Coincidenza volle che il sindaco abbia, per sua professione, competenze informatiche e che di fronte alle parole bitcoin, blockchain e potenza di calcolo non sia semplicemente svenuto, ma abbia drizzato le orecchie.
In questa storia intervengono qui due giovani imprenditori trentini: Francesca Failoni e Francesco Buffa che nel 2018 hanno fondato Alps Blockchain, con lo scopo dichiarato di far funzionare la giostra della blockchain con energie rinnovabili.
La loro società progetta, installa e gestisce le mining farms. Ne hanno fatte finora 18 in tutto il Nord Italia, molte installate in centraline di proprietà privata o di società parapubbliche. Ma quella di Borgo d’Anaunia è la prima di proprietà diretta di un ente pubblico. E sono di fatto l’unica società in Italia che fa questo con energie rinnovabili.
Tecnoenergia quindi fa da tramite e il progetto di mining farm della centrale di Borgo d’Anaunia viene preso in mano da Alps Blockchain.
I conti dell’operazione sono abbastanza semplici e in parte si trovano nella delibera di giunta, in parte ce li spiega il sindaco.
Il Comune ha comprato direttamente 20 grossi computer per una cifra intorno ai 130mila euro. E ne affitta altrettanti per un canone mensile di circa 2.200 euro. A fronte di queste spese, il sindaco Graziadei ci dice che i costi sostenuti verranno ammortizzati in circa 3 anni e 4 mesi.
Questo perché l’energia usata dai computer verrà pagata più di quanto si ricaverebbe vendendola alla rete elettrica generale. In soldoni, attualmente il Comune ricava dalla centrale circa 110mila euro l’anno. Con la presenza dei computer ricaverà invece circa 160mila euro. I conti di ammortamento della spesa iniziale tornano. In seguito il Comune - sia pur dedotte le spese di manutenzione e gestione software dei computer che vanno ad Alps Blockchain - ci guadagnerà.
Ma, gli chiediamo, oggi - soprattutto proprio in questi giorni di crisi energetica dura - lui rifarebbe questa scelta?
Graziadei ci spiega che solo in questo modo rimane conveniente tenere accesa la centrale anche nei mesi di magra e che si recupera così l’energia che altrimenti non verrebbe nemmeno prodotta. E specifica anche che l’energia dedicata ai computer è circa il 20% di tutta quella che viene prodotta. (Alps Blockchain ci ha detto questo è lo standard dei loro impianti, che prelevano dal 20 al 30% della potenza prodotta).
E poi ci dice che non c’è solo il mondo blockchain come cliente. Due università, Genova e Bolzano, si sono fatte vive con il comune noneso, interessate a comprare potenza di calcolo per le loro ricerche. Infine sfodera un asso: “Provi a pensare quanto consumano i server di Amazon, per fare un esempio”.
Daniele Graziadei ha toccato un tasto importante. Non calcoliamo mai quanta energia consuma Internet. Ed è tanta. E se vi è mai capitato di vedere le immagini dei server europei di Facebook in Norvegia (ché da vicino non ve li faranno mai vedere: è un sito custodito con livelli di sicurezza militare), potete farvi un’idea di quel che intende il sindaco.
Tuttavia c’è un problema di proporzioni. Al momento sono le criptovalute le quasi esclusive beneficiarie della tecnologia blockchain. Quindi bisogna chiedersi quale sia l’utilità sociale ed economica di bitcoin e simili.
Queste nuove monete, quali vantaggi danno realmente alla nostra vita quotidiana? A parte i benefici che ne può ricavare una ristretta cerchia di persone che, letteralmente, “stampano” soldi? Ma, soprattutto, i vantaggi giustificano la quantità di energia che consumano?
O non sarebbe meglio usarla in altro modo?
Domande che hanno certamente un côté moralistico, ma che non vorremmo doverci porre con ben altra urgenza a breve termine, visto quel che sta succedendo nel nostro continente.