I tintinnabula del campanile “Curon/Graun, storia di un villaggio affogato”
Un video ci racconta con la sola musica di Arvo Pärt e le immagini del campanile la sofferenza, il silenzio, la storia di Curon.
Nel 1950 il paesino di Graun-Curon, in Val Venosta, fu sommerso dall’acqua, che prese il suo posto per creare il lago artificiale di Resia, ultimo capitolo di un progetto che fin dal 1920 spingeva per innalzare il livello dell’acqua dei tre laghi contigui di Resia, Curon e San Valentino, con lo scopo di creare un grande bacino di servizio per le centrali idroelettriche volute dal regime. A nulla valsero le proteste degli abitanti: case, campi, vite intere furono ricoperti dall’acqua. Solitario sopravvissuto, a ricordo di questo episodio, svetta oggi in mezzo al lago il campanile romanico della chiesetta dell’antico abitato.
OHT, studio di ricerca fondato nel 2008 dal regista Filippo Andreatta e la Fondazione Haydn di Bolzano, hanno creato un progetto di teatro musicale legato a questa vicenda, “Curon/Graun - storia di un villaggio affogato”, dove le immagini dialogano con l’Orchestra sinfonica di Milano (il video è visionabile integralmente in https://vimeo.com/404641968).
Il filo rosso è la musica ipnotica e straniante del compositore lettone Arvo Pärt: quattro brani che scandiscono gli altrettanti momenti in cui è strutturato quello che potremmo definire un percorso conoscitivo e visivo della vicenda.
A una prima introduzione che con brevi didascalie ricostruisce i punti principali che hanno portato alla scomparsa dell’abitato segue un video dove il campanile è posto in un scatola trasparente che pian piano e via via sempre più velocemente si riempie d’acqua, fino a sommergerlo. La narrazione per immagini si muove inesorabile ma impercettibile e le fa da specchio “Fratres”, nella duplice versione per quartetto d’archi e poi per archi e percussione; l’orchestra è sembrata un po’ legnosa nei momenti più scoperti, soprattutto nel quartetto iniziale, con alcune sbavature discorsive, un suono poco omogeneo e una generale mancanza, riscontrata poi un po’ in tutta la performance, di un’idea lirica condivisa, di un sentire comune che esprimesse la sacralità dolente di questa musica, e che è invece forse la componente di maggiore complessità nell’esecuzione dei brani di Pärt.
Nella seconda parte la versione di “Fratres” per violino, archi e percussione accompagna il video di un livido viaggio in macchina d’inverno sulla strada gelata che porta fino allo squallido parcheggio davanti al campanile sommerso della vecchia Curon.
I tintinnabula, la particolare cifra stilistica compositiva del compositore lettone ricorrono continuamente nel “Cantus in memoria di Benjamin Britten” che accompagna l’ultima parte: risuonano a guisa di campane, a ricordare quelle tolte al campanile poco prima che il paese venisse sommerso; nelle immagini fasci di luce illuminano alternativamente i paesi sul fondo del lago, mentre resta in penombra, ma via via sempre più riconoscibile, il sempiterno campanile, anch’esso “in memoria”, amara e sconosolata, di ciò che non è più.
Tutto sommato, 45 minuti di malinconica immobilità che scivolano via veloci e sospesi.