Welfare leghista: per soli trentini
I provvedimenti di Fugatti escludono gli extracomunitari. Però la Costituzione...
Adeguandosi al motto “Prima gli italiani”, anche il Trentino ha adottato una politica di limitazione dell’accesso ai servizi sociali per le fasce più deboli della popolazione; ci si riferisce in particolare all’assegno unico provinciale e all’edilizia abitativa pubblica, secondo il criterio degli anni di residenza in Italia e nella provincia di Trento.
L’obiettivo esplicito del legislatore provinciale è quello di escludere dalle misure assistenziali i cittadini stranieri, così sul giornale L’Adige del 9 settembre scorso il Presidente della Provincia alla domanda: “Il requisito dei dieci anni vale solo per i cittadini extracomunitari o anche per i comunitari?”, rispondeva: “Per le graduatorie degli extracomunitari non c’è dubbio. Ma alla fine gli extracomunitari hanno solo il 10% degli alloggi Itea. Invece è soprattutto nelle liste dei comunitari che serve. Scorrendo le graduatorie dei comunitari e guardando i cognomi, viene fuori che il 50-60% non è trentino. Chi è residente da dieci anni dovrebbe avere la cittadinanza italiana o essere in itinere per averla. Con la norma che abbiamo introdotto, sono più favoriti i trentini”.
Ma l’interrogativo è se una normativa che persegue i menzionati scopi sia o meno compatibile con la Carta Costituzionale. Ora, l’assegno unico provinciale è uno strumento di natura economica previsto dall’art. 28 della Legge di stabilità provinciale del 2016, di contrasto alla povertà.
Fugatti è intervenuto con la Legge Provinciale del febbraio 2019: oltre ai requisiti dell’indicatore della condizione economica del nucleo familiare (ICEF) inferiore a 0,16 e della residenza in Provincia di Trento da almeno tre anni, ha introdotto l’ulteriore requisito della residenza decennale in Italia (quindi è necessario ora essere residenti da almeno dieci anni in Italia, dei quali gli ultimi tre in provincia di Trento), nonché, solo per gli stranieri extra comunitari, il possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo, che è un titolo di soggiorno “di secondo livello” a tempo indeterminato e che è subordinato, fra l’altro, al possesso di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.
Il legislatore provinciale introduce questi requisiti facendo rinvio alla disciplina statale sul reddito di cittadinanza.
Passiamo al diritto alla casa: a livello provinciale esistono due misure, l’edilizia abitativa pubblica (case Itea) e il contributo integrativo provinciale al pagamento dell’affitto di alloggi locati sul libero mercato.
Ebbene, è negli anni Novanta che il legislatore provinciale affronta per la prima volta il problema della condivisione degli alloggi con i cittadini stranieri. La vecchia (del 1990) legge sull’immigrazione riconosce ai cittadini stranieri il diritto di “accedere ai benefici previsti dalla normativa provinciale in materia di edilizia abitativa”, ma prevede per gli stranieri non comunitari la predisposizione di una graduatoria separata.
Quindici anni dopo, nel 2005, si registrano le prime restrizioni fondate sul criterio della residenza; la legge provinciale sulle politiche abitative di quell’anno introduce il requisito della residenza triennale consecutiva in provincia per accedere all’alloggio ITEA o per beneficiare del contributo integrativo al canone per chi è in graduatoria ITEA ma non ha ricevuto l’alloggio, mentre viene confermata la graduatoria separata per i non comunitari.
E su quale quota di alloggi ITEA ha potuto fare conto questa graduatoria separata? In proposito non esistono disposizioni legislative, ma documenti politico-amministrativi. In linea di massima si è seguito il criterio di assegnare una quota corrispondente all’incidenza percentuale degli stranieri sulla popolazione totale (circa il 10%), trascurando le assolutamente diseguali condizioni di bisogno, dato che quasi l’80% degli autoctoni è proprietario di casa.
I dati riferiti all’anno 2017, dimostrano che ai cittadini extracomunitari è assegnato il 10% degli alloggi totali (12 su 120), pari allo 0,99% delle domande da loro presentate (1.202); per gli altri cittadini (italiani e UE) la quota di accoglimento è di 5 volte più elevata (circa 5,86%, ossia 108 su 1.841 domande).
Comunitari | Non comunitari | |||
---|---|---|---|---|
Numero | % | Numero | % | |
Domande | 1.841 | 60,49% | 1.202 | 39,51% |
Assegnazioni | 108 | 90% | 12 | 10% |
% assegnazioni su domande | 5,86% | 0,99% |
Fonte: Rapporto immigrazione TN 2018
Le statistiche ci dicono anche che la massiccia esclusione dei cittadini extracomunitari dagli alloggi Itea (il 99,1% è escluso) viene in parte mitigata dall’accesso di molti di essi al beneficio dell’integrazione del canone di locazione (ne hanno beneficiato per il 2017 1.292 persone).
Quindi, pur con le criticità indicate, fino al 2019 per accedere alle misure sulla casa (alloggio ITEA o integrazione del canone d’affitto) bastavano 3 anni di residenza effettiva in Trentino unitamente al coefficiente Icef dello 0,23%.
Anno | Comunitari | Non comunitari |
---|---|---|
2017 | 2.825 | 1.292 |
Fonte: Rapporto immigrazione TN 2018
La Giunta leghista, dopo essere intervenuta sull’assegno unico provinciale con la legge del febbraio 2019, cambia il panorama anche sulla casa con la l.p. 6 agosto 2019, che introduce anche per il diritto alla casa le stesse misure previste dalla normativa sul reddito di cittadinanza (quindi 10 anni di residenza in Italia e permesso di lungo periodo per gli stranieri)
In questo modo si abbassa ulteriormente la “quota extracomunitari”, ma soprattutto si incide sulla graduatoria dei cittadini Ue, di fatto escludendo i “non italiani”.
Chiariti i termini della questione, torniamo all’interrogativo di partenza: questi requisiti di lungo-residenza sono compatibili con la Costituzione?
Il Giudice delle Leggi, cioè la Corte Costituzionale, ha da sempre distinto l’accesso alle prestazioni “destinate al soddisfacimento di bisogni primari” (ad esempio, misure contro la povertà) dalle prestazioni esterne al nucleo essenziale (come il trasporto pubblico). Nel primo caso la Corte ha ritenuto sempre incostituzionale il requisito di lungo residenza. Per quanto riguarda le prestazioni esterne al nucleo essenziale, ha senz’altro ritenuto discriminatoria la previsione di requisiti di lungo residenza solo per gli stranieri, per violazione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione). Diversamente, laddove il requisito di lungo residenza ai fini dell’accesso al beneficio fosse previsto indifferentemente per tutti (italiani e stranieri), occorre valutare che non integri una forma di illecita discriminazione “dissimulata”, poiché il requisito può essere più facilmente soddisfatto dai cittadini italiani che non dagli immigrati. Ad esempio, per i motivi anzidetti la Corte Costituzionale nella sentenza n. 168 del 2014, ha dichiarato incostituzionale la legge della Regione Valle d’Aosta che subordinava l’accesso ad alloggi pubblici al requisito di residenza di 8 anni.
Ebbene, nel caso trentino, oltre alla strada indicata dalla Corte costituzionale vi sarebbero ulteriori considerazioni, nel senso della totale illogicità della normativa: che senso avrebbe prevedere l’obbligo di 10 anni di residenza in Italia per una misura che trova il proprio perimetro applicativo all’interno della sola Provincia di Trento?
Ancora, che senso ha limitare una misura di sostegno alla povertà come l’assegno unico agli stranieri titolari di permesso di lungo periodo, che in quanto tali devono già possedere un reddito annuo superiore all’assegno sociale, ed escluderla per tutti gli altri, ossia coloro che sono sotto la soglia di povertà?
L’unica logica pare essere quella dell’esclusione degli ultimi.