Il Trentino è terra di accoglienza?
“Qui sono arrivati già tre volte uomini in divisa e ci hanno buttato via le coperte e hanno detto che qui non possiamo dormire. Io ho fatto richiesta di protezione internazionale in Questura e anche per un posto letto, ma sono in strada da 4 mesi e nessuno mi ha mai chiamato”.
“Sono arrivato a Trento 2 mesi fa, ho provato a fare richiesta di asilo ma non ci sono riuscito. La Questura mi ha chiesto un domicilio, ma come faccio se non ho un alloggio? Vivo vicino al parco, sotto un ponte, quando pioveva tanto ho avuto paura. Ho fatto richiesta di posto letto ma mi hanno risposto che il dormitorio è pieno, che mi chiameranno”.
Parole chiare raccolte da volontari, attivisti e operatori che, anziché sentirsi disturbati dalla presenza di persone “stranie re che vagano stranite”, si interrogano sul perché siano costrette a vivere per strada cercando un luogo dove trovare cibo e calore dopo lunghissimi viaggi segnati da violenze e soprusi, il più delle volte, lungo la cosiddetta “rotta balcanica”.
Uomini soprattutto di origine pakistana, che hanno presentato, o stanno cercando di presentare, domanda di asilo senza trovare la giusta accoglienza ma, all’opposto, incontrando rifiuti, rinvii, impossibilità che impediscono loro di esercitare un legittimo diritto previsto dalla normativa italiana che, per loro, non viene applicata.
Dalla conoscenza diretta che di loro abbiamo, sono oltre 300 e vivono per strada perché è loro impedita l’entrata nel sistema di accoglienza che per loro non mostra nulla di accogliente: 300 esseri umani che non possono essere considerati un’emergenza sociale bensì persone titolari di un diritto negato. Mai a Trento si era giunti a tanto! Fino a pochi anni fa i posti nei progetti di accoglienza erano 1700, poi è stata fatta la scelta di ridurli progressivamente a 600.
Abbiamo scritto questa lettera perché non possiamo girarci dall’altra parte, e quando incontriamo gli sguardi di persone costrette a vivere in strada, vorremmo poter rispondere che sono arrivate in un luogo di accoglienza e solidarietà. Crediamo possibile che il nostro territorio, che ha dimostrato di poter accogliere oltre 2.200 sfollati dall’Ucraina, possa fare lo stesso anche con loro che hanno gli stessi diritti “nonostante” un diverso paese di provenienza, colore della pelle, e religione.
Noi li chiamiamo “migranti” come di fatto sono, anziché “clandestini” come li si vuol far diventare. Si tratta infatti di persone che hanno diritto a un posto di accoglienza, persone che, secondo le disposizioni di legge previste dal DL142/2016,dovrebbero avere con immediatezza un posto dignitoso in cui vivere, dal momento che hanno chiesto asilo o stanno tentando di farlo e sono prive di mezzi di sostentamento economico (l’art. 1 del D.Lgs.142/2015 stabilisce che l’accesso alle misure di accoglienza va garantito fin dal momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione e che le misure di accoglienza si applicano anche ai richiedenti asilo sottoposti alla procedura di determinazione dello Stato competente a esaminare la domanda di protezione internazionale).
Questa lettera è rivolta a coloro che, se non intendono restare umani e garantire la giusta dignità a tutti, sono comunque tenuti a non incorrere nuovamente in gravi violazioni delle norme, già sanzionate in passato, ad esempio dal Tribunale di Trento con ordinanza del 6 maggio 2022 RG1397/2015. I livelli di responsabilità non ottemperati (pare strano dover essere noi a ricordarlo), sono più di uno:
1 . da parte del Ministero dell’Interno, che negli scorsi mesi non ha chiesto con la necessaria sollecitudine a Provincia e Commissariato del Governo il rispetto dei loro doveri istituzionali in merito all’aumento delle quote di accoglienza, tanto più che da almeno 4 anni in Trentino non è più stato trasferito neppure un richiedente asilo tra quanti sono stati accolti nei centri del sud Italia dopo gli sbarchi e da parte del Commissariato che rimane silente di fronte alle richieste di accoglienza;
2. da parte della Questura che, per filtrare le domande di asilo, chiede documenti non previsti dalla normativa, come il domicilio (in base all’art. 6 del DL 25/2008 “la dichiarazione di ospitalità non ha fondamento giuridico“) o il passaporto (in base all’art. 6, par. 6 della direttiva 2013/33/UE “gli Stati membri non esigono documenti inutili o sproporzionati né impongono altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti conferiti dalla presente direttiva, per il solo fatto che chiedono protezione internazionale”), di fatto creando ritardi ed enormi problemi nella presentazione delle istanze;
3. da parte della PAT, che non rispetta il principio di collaborazione con le altre istituzioni e non agisce di concerto col Commissariato del Governo per aprire nuovi spazi, anche provvisori, per evitare di abbandonare esseri umani alle intemperie e al freddo. Di fronte a tale situazione crediamo occorra intervenire, pena non solo il mancato rispetto della normativa ma anche la morte di qualche persona come sta già accadendo in altri territori. Per questo chiediamo di ripristinare la corretta procedura di accoglienza delle istanze di asilo da parte delle istituzioni preposte senza addurre una pretestuosa quota prefissata, non prevista dalla legge; individuare una dignitosa situazione abitativa per tutti i richiedenti asilo, che temporaneamente potrebbe essere la Residenza Fersina; e tornare progressivamente a un sistema di accoglienza diffuso su tutto il territorio provinciale, lavorando in sinergia con le comunità locali così come è avvenuto per l’accoglienza degli ucraini. Se il Trentino vuole essere terra di accoglienza e di civile convivenza e riconoscimento del diritto a un’esistenza dignitosa per tutti, non può girarsi dall’altra parte.
Noi non lo facciamo, e chiediamo alle Istituzioni preposte di fare la loro parte, se non in nome del rispetto dell’Umanità, almeno per quello del Sistema giuridico-normativo italiano che rappresentano.
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Per firmare: https://forms.gle/vQvsNZzEsCzWfo5L7
Per la cronaca: la redazione di QT ha firmato al completo