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In giro per l’Europa, che riflette su passato e futuro

In Andalusia la convivenza fra religioni, pur non senza attriti, è stata possibile, finché il fanatismo non prese il sopravvento

Sono andata a Siviglia e ho visto tante cose bellissime. Ma ciò che mi ha più colpito è stata una lapide, con un testo di Elie Wiesel, dal titolo “Per la tolleranza”. Fa parte del monumento alla tolleranza del pittore e scultore basco Eduardo Chillida. È stata messa lì, sul lungofiume del Guadalquivir, in occasione dell’inaugurazione dell’Expo del 1992, cinquecentenario della scoperta dell’America. Quel giorno, il 1° aprile del 1992, era anche il cinquecentenario della cacciata degli ebrei da parte dei re cattolici da Sefarad, la Spagna, in cui erano vissuti per secoli. Di qui viene il nome di sefarditi che presero gli aderenti a quella religione che non si convertirono al cattolicesimo e si dispersero in Africa settentrionale, in Francia, in Belgio, a Genova, Ferrara, Smirne, Salonicco, ecc. Anche gli arabi furono costretti ad andarsene, e per 400 anni l’Inquisizione torturò e uccise chi veniva sospettato di non essere abbastanza cattolico o di essere eretico o ateo. Dalla targa di pietra, le parole di Wiesel invitano i passanti a fermarsi e ascoltare: “Ascoltate la voce di Siviglia, voce ferita e melodiosa. Quella della sua memoria, che è anche la vostra. È ebrea e cristiana, musulmana e laica, giovane e antica... Qui, come in altri luoghi, si amava e si odiava per ragioni oscure e senza ragione alcuna... Si interpretava la vita dando la morte: si credeva di essere forti per perseguitare i deboli, si affermava l’onore di dio, però anche il disonore degli uomini. Qui come in altri luoghi, la tolleranza si impone... Dio è dio: tutti sono suoi figli. Ai suoi occhi tutti gli esseri umani hanno lo stesso valore...”. E si chiude con un: “Certamente tutta la vita si conclude con la notte, però illuminarla è la vostra missione”.

In Andalusia la convivenza fra religioni, pur non senza attriti, è stata possibile, finché il fanatismo non prese il sopravvento. Cacciati gli arabi, gli edifici per secoli hanno continuato a essere costruiti in stile arabo (mudejar), mentre la pulizia religiosa ha impoverito la Spagna, nonostante i tesori della conquista d’oltre Oceano. Straordinariamente interessante da questo punto di vista è l’Archivio Generale delle Indie, in cui la Spagna ha raccolto la documentazione della conquista delle Americhe: 80 milioni di documenti già in parte consultabili nel sito dell’archivio. Un contributo alla caduta di pregiudizi durati secoli e un atto coraggioso da parte di un Paese che in passato ha cancellato con la violenza civiltà millenarie.

Sono poi andata a Berlino e ho visitato il Memoriale della Resistenza tedesca, rinnovato radicalmente l’anno scorso, collocato nel Bendlerblock, quella parte di edifici del Ministero della guerra (oggi della Difesa), che designava il centro di comando militare tedesco. Qui, il 3 febbraio 1933, Hitler comunicò ai generali i suoi obiettivi: “estirpazione del marxismo”, “soppressione della democrazia”, “conquista di nuovo spazio vitale all’Est e sua germanizzazione”. Qui, la notte del 20 luglio 1944, dopo il fallimento dell’Operazione “Valkiria”, i congiurati furono fucilati. La via porta oggi il nome di Claus Schenk von Stauffenberg, autore dell’attentato al Führer.

La Resistenza viene qui declinata nelle sue varie forme, senza nascondere che si tratta di numeri piccoli, perché i tedeschi appoggiarono in grande maggioranza il regime. La resistenza del movimento operaio, quella degli intellettuali, i giovani, l’esilio, la resistenza a favore degli ebrei e degli ebrei stessi, dei Sinti e Rom, la resistenza quotidiana in tempo di guerra, sono tematizzate con esempi di persone singole, famiglie, gruppi e movimenti. Atti di eroismo in una situazione pericolosa, resi possibili dalla fede religiosa personale (mentre i capi delle religioni stavano dalla parte della dittatura) di persone che si sacrificarono per salvarne altre. Un luogo di riflessione, dove sono organizzate visite guidate per scuole e gruppi che vengono da molte parti del mondo e un luogo di ricerca e studio.

A pochi metri di distanza, nella Gemäldegalerie, l’affollamento in un sabato di pioggia a una meravigliosa mostra su Mantegna e Bellini dimostra l’amore dei tedeschi per l’arte (italiana).

In direzione opposta, lungo la Spree, a un paio di centinaia di metri si stende l’enorme edificio che contiene l’Archivio del Bauhaus, la più importante scuola d’arte e design del ‘900, dove allievi e artisti famosi collaboravano, studiavano tecniche artistiche, materiali e modalità di costruzione, progettando oggetti di uso quotidiano. Quest’anno la Germania celebra i cent’anni dalla fondazione aprendo due nuovi musei, uno a Weimar, dove la scuola fu fondata da Walter Gropius nel 1919 e un altro a Dessau dove si spostò nel 1925. Dal 1932 la scuola ebbe sede a Berlino, ma venne chiusa nel 1933 dal governo nazista. Oggi si vuole recuperare la memoria della grande rivoluzione sociale, civile e culturale della Germania di Weimar e nello stesso tempo valorizzare quella scuola che segna ancora oggi lo stile tedesco ed europeo nell’architettura e nelle arti.

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