“Tierkreis-Zodiaco”
Stockhausen fra costellazioni e burattini
Ai più la musica di Karlheinz Stockhausen (1928-2007) suonerà certamente ostica, ai limiti dell’ascoltabile; esponente di spicco di quella corrente definita Nuova Musica che si sviluppò nell’ambito dei corsi di composizione presso l’Istituto Kranischstein a Darmstadt a partire dagli anni Cinquanta, filtrò l’utilizzo della più rigorosa applicazione della tecnica seriale (una modalità compositiva basata sull’applicazione di “giochi matematici” all’uso dei diversi parametri musicali: melodia, ritmo, intensità sonora…) con una attenzione e sperimentazione estrema delle componenti foniche della musica e un approccio mistico e ascetico alla composizione.
Eppure, un’opera come “Tierkreis” (“Zodiaco”, appunto, in tedesco), in un’esecuzione come quella proposta all’Auditorium Melotti, risulta infine davvero fruibile e, in un certo modo, intellegibile al pubblico, se vi si pone in un’ottica percettiva, dove i parametri non sono quelli dell’ascolto standard della musica classica.
Composta nella sua prima versione nel 1974, è costituita da un ciclo di 12 melodie, ciascuna associata ad un segno zodiacale, da eseguire con qualsiasi strumento melodico, a partire dalla melodia relativa al segno del mese in cui ci si trova e ripetendola almeno tre volte con variazioni e improvvisazioni. La rigidità e l’iperformalismo del procedimento seriale sono in quest’opera estremamente allentati e tutto appare percettivamente semplificato: ogni melodia è un breve cammeo a sé stante, ciascuno diverso dall’altro, seppur tutti siano accomunati da un’espressività scarna, siderale, a rappresentare i tratti salienti di ogni segno zodialcale.
Per l’occasione è stata eseguita la versione per flauto (Ornella Gottardi), clarinetto (Roberta Gottardi) e pianoforte (Marianna Bisacchi), con l’accompagnamento di una serie di rielaborazioni elettroniche di Fabio Cifariello Ciardi e Massimo Biasoni (nel tempo l’autore e alcuni gruppi di esecutori ne hanno creato diverse versioni per i più disparati organici).
L’autore e i musicisti sul palco giocano con gli strumenti (a tal punto che talvolta entra in scena anche un piccolo pianoforte giocattolo, dal suono metallico, quasi fosse un clavicembalo un po’stonato), tra colpi percussivi sulle chiavi, getti d’aria e “humming” (suonare e cantare contemporaneamente nello strumento) di flauto e clarinetto; ne risulta una musica estremamente ricca dal punto di vista timbrico ed al tempo stesso rarefatta e suggestiva, come i burattini di Luciano Gottardi che sul palco accompagnano le musiche di Stockhausen e descrivono in maniera evocativa e preziosa ogni costellazione.
È questa una fruizione musicale che chiede di osservare e ascoltare senza scindere il dato visivo da quello uditivo, con un approccio che ci piace suggerire immediato e “sinestesico”; una buona occasione per avvicinarsi senza timore a quella musica contemporanea che in troppi ancora considerano astrusa e incomprensibile.