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1921: la “domenica di sangue” di Bolzano

L’anteprima della “marcia su Roma” avvenuta in Alto Adige

Giorgio Mezzalira

Ventiquattro aprile 1921: a Bolzano riapriva i battenti la fiera cittadina. Per i sudtirolesi, divenuti nel frattempo cittadini del Regno, si trattava di un appuntamento tradizionalmente importante che lo scoppio del primo conflitto mondiale aveva interrotto. Un corteo folcloristico in costume lo accompagnò. Nello stesso giorno, in aperto contrasto con le decisioni prese nei trattati usciti dalla Conferenza di pace di Parigi nel 1919, si teneva al di qua e al di là del Brennero un referendum per l’annessione dell’Austria alla Germania. Vienna e Roma vi guardavano con particolare preoccupazione per i rischi connessi di instabilità politica e rinascente irredentismo.

Agli occhi dello squadrismo fascista erano tutte premesse per agire in nome dell’italianità, contro quelle che andavano considerate come provocazioni politiche pangermaniste ben orchestrate. Col sostegno dei fasci di Milano e alla guida di Achille Starace, che tenne a battesimo il fascio bolzanino e quello trentino, venne organizzata una spedizione punitiva in grande stile, con la partecipazione di circa 300 squadristi provenienti soprattutto da Veneto, Lombardia e Trentino.

Il corteo folcloristico venne preso d’assalto, scoppiò una bomba, furono esplosi colpi d’arma da fuoco. In quella che fu chiamata “Blutsonntag” (domenica di sangue) ci furono una cinquantina di sudtirolesi feriti e si contò una vittima: Franz Innerhofer, maestro di Marlengo.

Una vera e propria escalation della violenza fascista in regione, tra i cui risvolti emergeva l’incapacità dello Stato liberale di farvi fronte e la connivenza con ufficiali dell’esercito e delle forze dell’ordine. I responsabili dell’omicidio di Innerhofer rimasero impuniti.

La risposta delle istituzioni e della società civile ai fatti del 24 aprile fu immediata e si manifestò attraverso uno sciopero generale con una ferma condanna, trasversale rispetto ai partiti e ai gruppi linguistici. Fu l’espressione tanto significativa quanto effimera di un fronte unitario antifascista.

Nel suo primo discorso alla Camera (1° giugno 1921) Benito Mussolini tornò sui fatti di Bolzano e sull’Alto Adige in termini assai eloquenti: “La storia della nostra politica nell’Alto Adige è quanto di più miserando e lacrimevole si possa immaginare. Governatore della Venezia Tridentina è l’on. Credaro, il quale ha appena i numeri per governare con discreta sufficienza un asilo infantile, non una regione popolata da due razze in antico contrasto. Suo superiore diretto è il senatore Salata, uomo perniciosissimo alla causa italiana, la cui politica criminale ha dato il collegio elettorale di Gorizia nelle mani degli Sloveni e quello dell’Alto Adige nella mani del Deutscher Verband. (…) Il 24 aprile avvenne il primo urto dei fascisti con la polizia civica di Bolzano presentatasi munita dell’elmo a chiodo. Scoppia una bomba fascista. Di quell’atto assumo la mia parte di responsabilità morale. (…) Poiché il governo Giolitti è responsabile della miserabile politica seguita da Salata e da Credaro nell’Alto Adige, votiamo contro di lui. Ma dichiariamo ai deputati tedeschi qui presenti che al Brennero ci siamo e resteremo a qualunque costo”.

L’arrivo dei fascisti

La marcia su Bolzano

La pressione del partito fascista sul governo per portare a soluzione la questione dell’Alto Adige si fece crescente e nel settembre 1922 il sindaco di Bolzano Julius Perathoner espresse fondati timori per una possibile invasione fascista in città, allo scopo di imporre il proprio programma di snazionalizzazione.

Il 1° e il 2 ottobre 1922, pochi giorni prima della marcia su Roma, circa 3.000 fascisti marciarono su Bolzano, occupando l’Elisabeth Schule e il municipio. Il sindaco Perathoner fu rimosso.

L’azione fascista si estese nei primi giorni di ottobre anche a Trento con l’occupazione del palazzo dell’amministrazione provinciale e l’assedio della Prefettura. Ne seguirono la destituzione di Luigi Credaro dalla carica di Commissario generale civile per la Venezia Tridentina e la soppressione dell’Ufficio Centrale delle nuove Province di Francesco Salata.

La concomitanza della cosiddetta “marcia su Bolzano” con la pubblicazione del regolamento della Milizia fu letta come l’abdicazione dello Stato e l’agonia del governo Facta, ormai privo di prestigio e potere. Il controllo fascista si estese al Trentino e all’Alto Adige, permettendo al Pnf di presentarsi all’opinione pubblica come il più attivo difensore dell’italianità.

Nella loro dichiarazione alla stampa gli on. Francesco Giunta, Alberto De Stefani e Achille Starace affermarono che l’impresa di Bolzano e Trento non era altro che la prova generale della marcia su Roma («La Stampa», 5 ottobre 1922). Su questa interpretazione la discussione tra gli storici è ancora aperta.

I funerali di Franz Innerhofer

Mentre si stava preparando la marcia su Bolzano, Mussolini tenne un discorso pubblico a Udine (20 settembre 1922), in cui si presentò come futuro uomo di Stato, pronto ad accettare la monarchia e a sostenere che la violenza non doveva diventare un “secondo abito” per i fascisti. Starebbe nel peso di questa dichiarazione la ragione per cui il Duce – secondo lo storico Stefan Lechner – decise di tenere un proprio profilo basso su Bolzano, affidando a Francesco Giunta l’organizzazione di un’azione in grande stile dal forte significato politico. Saranno i fascisti ad appendere nei locali del municipio di Bolzano appena occupato l’effige del re Vittorio Emanuele III, a suggello di una vittoria nazionale e del riconoscimento di quella stessa monarchia, dalle cui mani Mussolini avrebbe ricevuto dopo poco il potere di governare sull’intero Paese.

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