Bando pasticciato, ricorso assicurato
In tema di pasticci la Provincia batte la giustizia amministrativa 2-0
Ugo Rossi ci aveva già provato nel 2014, quando, nel commentare la prima sentenza del Consiglio di Stato sul NOT, aveva cercato di spostare l’attenzione, prendendosela con un “sistema che sugli appalti di opere pubbliche fa lavorare gli avvocati più che i muratori”.
La musica non cambia e a tre anni di distanza: il giorno dopo l’ultima sentenza del Consiglio di Stato sulla vicenda, il Presidente si lamenta “dell’assurdità delle regole che ci sono nel nostro paese”.
Come scriviamo sull’editoriale a pagina 3, non ha tutti i torti: in Italia troppo spesso la burocrazia è esasperata ed esasperante; e chi perde gli appalti, con un ricorso può rallentare fino a paralizzare una pubblica amministrazione.
Ma nel caso specifico le cose ci sembrano essere andate diversamente: non è il “sistema allucinante”, men che meno possono essere le pronunce dei giudici, a provocare l’immobilismo della Provincia; l’appalto del NOT è stato impostato fin dall’inizio in maniera discutibile, con scelte che hanno sfiorato il conflitto di interessi; e tutta la vicenda è stata gestita con modalità tanto arbitrarie quanto approssimative, in cui ad un errore si è cercato di porre rimedio con un altro errore.
Il primo errore la Provincia lo commette nel 2013 quando nella commissione che avrebbe dovuto aggiudicare il più ricco appalto nella storia del Trentino, inserisce il direttore dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari Luciano Flor e la direttrice generale Livia Ferrario. Entrambi avevano partecipato alla stesura del bando di gara e, per le norme sugli appalti, non potevano far parte della commissione aggiudicatrice.
Per non parlare del fatto che della stessa commissione di gara faceva parte, in qualità di responsabile del progetto, anche l’ing. Giuseppe Comoretto, dirigente dal 2011 dell’area tecnica dell’Azienda sanitaria di Trento, ma per più di un decennio dipendente di Impregilo Spa, impresa concorrente nell’appalto. Una mossa, questa, che dal punto di vista legale non ha avuto conseguenze, ma che di certo sul piano della correttezza poteva/doveva essere evitata.
Il secondo errore è nella determina con cui, nel 2016, la Provincia decide di revocare l’appalto con project financing (modalità di cui parliamo più avanti) e di tornare al tradizionale appalto.
A questi due errori diciamo procedurali, se ne affianca un altro (certamente non meno importante) di carattere prettamente politico-economico: ed è proprio la scelta di affidarsi, nel 2011, al bando tramite finanza di progetto. E qui l’errore è proprio (oltre che di Dellai) di Ugo Rossi, che nel 2011, da assessore alla Sanità, glorificava questa scelta, dichiarando (tra le altre cose) che in questo modo si sarebbe risparmiato tempo(!).
Di fatto la finanza di progetto consiste nella realizzazione di opere pubbliche attraverso il finanziamento, totale o parziale, da parte di privati, che poi trovano la loro remunerazione nella gestione delle opere stesse. Sembrava l’uovo di Colombo: i privati (invece del pubblico) ci mettono i soldi, e poi rientrano grazie alla gestione (più efficiente di quella pubblica) dell’opera. Solo che poi la gestione privatistica, inevitabilmente tesa al rientro finanziario, dava servizi pessimi e il project financing, specie dopo l’esito disastroso nella gestione dell’Ospedale di Mestre, è stato abbandonato.
Ed ecco quindi che nel 2016, a due anni dalla prima sentenza del Consiglio di Stato che avrebbe dovuto riportare il procedimento alla fase di presentazione delle offerte, la Provincia ha un ripensamento - più che giusto - sul progetto di finanza. E adotta una delibera con cui revoca il bando del 2011. È un passo indietro legittimo, ma l’errore è in un inciso della determina di revoca, questo: “La pronuncia del Consiglio di Stato consente di rinnovare la procedura di gara oppure di procedere in altro modo per la realizzazione e gestione del Nuovo Polo Ospedaliero del Trentino”.
È poi vero che, nella stessa determina, si fa riferimento a sopravvenuti motivi di interesse pubblico, per lo più di natura finanziaria, che portano a concludere che “non è più conveniente per la Provincia procedere alla realizzazione del Nuovo Polo Ospedaliero del Trentino mediante finanza di progetto, come originariamente stabilito” e dunque diventa necessario “procedere ad una nuova programmazione dell’opera, da realizzare con modalità tradizionali di affidamento tramite appalto”, ma ormai la frittata è fatta: utilizzare come presupposto per la revoca una sentenza del Consiglio di Stato che stabiliva tutt’altro ha inficiato lo stesso provvedimento amministrativo, che a quel punto risulta illegittimo agli occhi dei giudici amministrativi, essendo viziato da eccesso di potere.
E infatti il Consiglio di Stato “non mette in discussione l’astratta esistenza del potere di revoca di una gara pubblica” ma - traduciamo dal giuridichese - il fatto che la Provincia abbia posto come fondamento alla revoca, la sentenza del Consiglio di Stato di due anni prima, che invece intendeva dire tutt’altro.
Ma allora, perché questa situazione di stallo? Perché Rossi continua solo a lamentarsi e non procede come probabilmente potrebbe? Infatti, la scelta della finanza di progetto è stata nel frattempo sconfessata; gli studi dimostrano un risparmio di svariati milioni tornando all’appalto tradizionale; la sentenza del Consiglio di Stato si limita a evidenziare un eccesso di potere dovuto ad un errore nelle motivazioni dell’atto di revoca della PAT. A questo punto molto probabilmente basterebbe un nuovo provvedimento di revoca, motivato questa volta in maniera appropriata, spiegando la scelta di abbandonare la finanza di progetto; riconoscendo errata quella scelta, che avrebbe comportato una spesa eccessiva ai danni delle casse pubbliche e a favore dei costruttori; e rinunciando a nascondersi dietro le decisioni dei giudici.
Sulla questione abbiamo sentito Luca Zeni, attuale assessore alla Sanità:
Assessore, cosa succederà ora?
“Nei prossimi giorni dovremo decidere quale linea seguire; la sentenza del Consiglio di Stato, a prescindere da quanto la condividiamo, dobbiamo rispettarla”;
Ma non è peggio il project financing con la sanità nelle mani dell’Impregilo di turno, che decide anche come rinnovare le attrezzature tecniche?
“Vedremo cosa si potrà modificare del bando del 2011”.
Ci sarebbe anche un’altra opzione, quella di esercitare nuovamente il potere di revoca della PAT, con un provvedimento questa volta opportunamente motivato…
“Si stanno vagliando tutte le ipotesi percorribili”.
La stessa domanda l’abbiamo fatta al prof. Fulvio Cortese, ordinario di Diritto amministrativo all’Università di Trento: “Certamente il Consiglio di Stato non mette in discussione l’astratto potere da parte della Pubblica Amministrazione di esercitare il potere di revoca, allo stesso tempo non si tratta di una sentenza tranchant, perché lascia un’apertura, anche se bisogna tener presente che siamo pur sempre in presenza di un giudicato (la sentenza del 2014 ndr) e potrebbe non essere così semplice trovare una strada alternativa”.
Mauro Gilmozzi, assessore all’Edilizia, a cui pure sembra proprio non piacere il project financing, ha ragione nel sostenere che i giudici non hanno scritto una sola parola per smontare gli argomenti portati dalla Provincia per revocare la vecchia gara, ovvero un risparmio di circa 13 milioni che si otterrebbe con l’appalto tradizionale abbandonando la finanza di progetto (questo almeno stando ad uno studio commissionato dalla Provincia a Cassa del Trentino).
Alla finanza di progetto restano invece evidentemente molto affezionate le imprese ricorrenti come la Impregilo S.p.A. che hanno presentato dei contro-studi, con cifre ovviamente diverse.
Quello del nuovo polo ospedaliero del Trentino è insomma un pasticcio costosissimo partito da lontano: negli anni 2000, al tempo dei soldi facili, si pensò di sostituire il Santa Chiara, alla cui ristrutturazione si stava ancora lavorando, con un nuovo ospedale, realizzato con il project financing: uno sperpero che divenne una follia in tempi di crisi.
Con il passare degli anni, e con un netto rallentamento dei lavori di ammodernamento e ristrutturazione del Santa Chiara e una parallela sua delegittimazione (attraverso una vera e propria campagna stampa talora perfino autolesionista verso la sanità trentina) si è riusciti a rendere sempre meno evidente questo sperpero e quasi necessario il nuovo polo ospedaliero. Ma l’approssimazione e l’arroganza nel gestire questo grande appalto, e poi il tentativo di nascondere gli errori fatti hanno portato alla situazione attuale, da cui non sembra si sappia uscire, con la collettività che rischia di pagarne i prezzi. E ancora si cerca di nascondersi dietro l’operato della giustizia amministrativa...