Trento non sarà capitale
Superata come capitale della cultura 2018 dalla più nobile Palermo. Aveva senso la sua candidatura? Una ricognizione su identità e cultura della città.
È Palermo, non Trento la capitale della cultura per il 2018. Ce ne faremo una ragione: quella del capoluogo siciliano, con la sua storia da capitale vera, i suoi tesori artistici, la sua bellezza talora decaduta, le sue contraddizioni, era una candidatura di assoluto rispetto. Dedichiamo ugualmente al tema il nostro servizio d’apertura, per vedere se le ambizioni del nostro capoluogo erano legittime, ed effettuare una ricognizione sullo stato della cultura nella città, sulle propensioni dei cittadini, sul lavoro delle istituzioni.
“Certo, avevate una città scassata – e un mezzo sorriso gli balenava sul faccione – una città grigia, triste”. Era Romano Prodi che parlava, riferendosi a quando, negli anni ‘60, era a Trento, giovane docente all’università. “Adesso invece...” si era nel 2006, in campagna elettorale, e l’uditorio andava blandito; ma era chiaro che gli elogi per l’oggi erano sinceri, anzi ne uscivano rafforzati dallo sberleffo per la pregressa decadenza.
Che la città oggi sia bella, lo dicono tutti: gli studenti ospiti, i turisti sempre più numerosi e anche gli stessi trentini, finalmente un po’ orgogliosi. I soldi spesi a partire dagli anni ‘80 nel restauro del centro storico sono stati ben investiti. Oggi qualsiasi evento – dai mercatini di Natale al Festival dell’Economia, all’adunata degli Alpini – può contare sulla città come scenario di grande impatto, dai monumenti medioevali ai palazzi rinascimentali, alla corona montuosa circostante.
Non è cosa di poco conto. Eppure, se ci si vuole fregiare del sontuoso titolo di “capitale”, e più in generale, se si vuole essere un centro di attrazione non effimero, per i turisti come per gli studiosi, bisogna andare oltre. Bisogna trasmettere agli ospiti e ai cittadini un’identità che sappia dare un senso complessivo ai luoghi come ai tanti eventi. Una città – intesa come edifici, storia, cultura diffusa – che non sia mero scenario, sfondo inanimato, ma sappia interagire.
“Non è facile dare un filo conduttore a tutti gli eventi – ci risponde l’assessore comunale alla Cultura Andrea Robol – Comunque nel dossier di presentazione di Trento capitale della cultura, spieghiamo a quale identità ci riferiamo”.
Districandosi nell’orgia di parole di tale presentazione, secondo la quale Trento sarebbe capitale per l’intero scibile umano o quasi, e quindi operando una decisa azione di sfrondamento, due soprattutto sono le identità caratterizzanti: la città del confronto, e quella della conoscenza.
Città dell’incontro di culture
La prima – città dell’incontro di genti e culture – fa riferimento a una robusta eredità storica. Trento prima città italiana per chi (come Goethe ad esempio, che ne fu rapito) viene da nord; ed ultima per chi va a nord. Che per un verso apre la porta del Rinascimento, con i suoi originali palazzi dipinti; e per l’altro verso anticipa il mondo germanico e alpino, con le sue architetture austriache e tedesche, o i fiori alle finestre di bifore altrimenti leggiadre ma austere: sono due mondi che si incontrano.
E questa caratteristica non casuale, di punto di contatto tra civiltà, fu anche il motivo della travagliata scelta di Trento (in alternativa a Ferrara, tutta interna allo Stato Pontificio) come Città del Concilio “che avrebbe dovuto avvicinare cattolici e protestanti – spiega il dossier – e che invece è stata emblema della divisione e del mancato dialogo”. È la prima volta che vediamo scritta in un documento semi-ufficiale l’amara verità storica: il Concilio tridentino, nato con le migliori intenzioni, finì in un disastro epocale, in decenni di guerre di religione, nell’oscurantismo, nell’Inquisizione.
Certo, Trento, scelta dagli innovatori in quanto città-ponte, non fu in alcun modo responsabile della loro disfatta. Eppure, subito si affaccia la domanda: la città, in seguito, come giocò questo suo antico ruolo? Per secoli non lo giocò proprio, anzi non giocò a nulla: rinchiusasi in se stessa, succube di principi-vescovi men che mediocri, si limitava a sopravvivere, sorpassata e di molto, nell’economia e nella cultura, dalla più piccola ma veneziana, industriale, colta Rovereto.
Solo nell’800, estinto l’ormai parassitario principato vescovile, si ebbe una certa rinascita (un buon esempio il Teatro Sociale, tenendo presente che a Rovereto c’era già, e dal secolo precedente, l’odierno Zandonai). Ed oggi?
“Puntiamo molto sull’identità di città della conoscenza e ricerca” - ci dice Robol. E in effetti una connessione tra molte delle più significative manifestazioni culturali, e il ruolo di città del confronto, esiste, ed è robusto. Se non più come ponte tra mondo latino e mondo germanico, è indubbio che Trento propone eventi all’insegna dell’incontro tra culture: il Festival dell’Economia, forse un po’ tradizionale (e non a caso – ed anche questo è un segnale – è sorto a lato un Festival dell’AltraEconomia), porta comunque a confronto i massimi studiosi mondiali di un’economia non disattenta rispetto agli squilibri sociali e planetari; il Festival della Montagna, andato anch’esso oltre l’alpinismo, per parlare talora con profondità di rispetto della montagna, delle etnie, della natura; lo stesso Religion Today, che pure abbiamo su queste pagine criticato, ha un’ispirazione profondamente inter-religiosa; per non parlare dei tanti festival dello spettacolo, anche fuori porta, a Rovereto (Oriente-Occidente, il nome dice tutto) o Dro, o Pergine, che nel Dna hanno radicata l’interculturalità.
Le pagine nere
Poi ci sono state le pagine nere della storia trentina. A iniziare dalla vicenda del Simonino, con gli ebrei di Trento accusati nel 1475 di omicidio rituale e bruciati in piazza e la comunità ebraica sterminata e dispersa: episodio che – rivisitato, chiarito, approfondito proprio dall’interno della Chiesa trentina da mons. Iginio Rogger – ora, nell’ambito della proposta Capitale della cultura, non è stato occultato, ma al contrario fecondamente ripreso: come esempio di dove porti l’intolleranza, attraverso il progetto di una mostra, un itinerario storico sui posti dove si dipanò la storia, e una conferenza sulla “costruzione del mito del nemico religioso”.
Bene, quindi. Meno bene invece se pensiamo alle intolleranze attuali: Trento oggi, pur non essendo certo arcigna con profughi ed immigrati, non riesce a praticare davvero questa sbandierata tolleranza, basti pensare ai niet che le amministrazioni comunali e provinciali hanno costantemente opposto alla costruzione di una moschea, per quanto autofinanziata dalla stessa comunità islamica.
Vogliamo essere ottimisti: e cerchiamo di scorgere degli antidoti a questa latente intolleranza religiosa nelle pur bocciate proposte per Trento Capitale. È dove si parla dell’organizzazione di un concilio laico delle città d’Europa, un raduno di sindaci: “Ci poniamo come luogo in cui si lavori per confrontarsi sul tema della convivenza – ci dice Robol. Un obiettivo ambizioso. Che a noi ricorda il “Civitatum concilium” del ‘95 con Dellai a Palazzo Thun, il raduno di sindaci e rettori di tutta Europa, per discutere di un nuovo protagonismo delle città. Ideato ed organizzato da Andrea Zanotti, docente di Diritto canonico a Bologna, registrò, grazie al dinamismo e ai rapporti del suo ideatore, un buon afflusso di personalità prestigiose, ma pochi risultati, forse perché troppo vaghe erano le premesse. Oggi ci pare di capire che latitino i rapporti (“È tutto da costruire”); in compenso, pur in mezzo a quelle che ci sembrano delle velleità - “in una frantumazione dell’Europa a tutti i livelli, vogliamo creare un momento in cui convocare a Trento i sindaci italiani e europei, come classe dirigente più vicina ai cittadini” – troviamo obiettivi più definiti e credibili, “sul problema della convivenza – afferma sempre Robol – Come siamo messi oggi, non possiamo andare avanti a lungo; per questo ci offriamo come luogo in cui si lavori per confrontarsi”.
Città della conoscenza… e dei giovani
La seconda identità caratterizzante “è la città della conoscenza, della cultura, e della ricerca” prosegue l’assessore. Università, centri di ricerca, musei tra cui ora il rutilante Muse, ma anche il non lontano Mart. “Sì, i visitatori, da quello che ci riferiscono le nostre guide che li accompagnano nelle visite in città, sono molto interessati non solo agli aspetti storici concernenti le varie epoche – romana, medioevale, rinascimentale - che convivono nel centro, ma anche al nuovo, i centri di ricerca, il Muse – ci dice Elda Verones, direttrice dell’Apt cittadina – Giungono qui già informati, vogliono vedere e approfondire, fanno domande”.
In questo ambito si vorrebbe una città laboratorio (espressione inflazionata) di nuove pratiche in campo culturale… connettendo le nuove generazioni, dando loro protagonismo…”.
Passiamo dalle parole ai fatti, alla luce di quanto è accaduto in questi anni. Prendiamo l’ambito teatrale: oltre alla tradizionale attività delle filodrammatiche (più attive, però, nelle valli che in città) e accanto alle stagioni teatrali ufficiali, articolate peraltro in ben tre sedi (Sociale, Auditorium, Cuminetti) c’è stato, grazie anche alla folta presenza universitaria, un fiorire spontaneo di scuole di teatro e teatrini sperimentali spesso localizzati in ex-officine, quando non in scantinati, con spettacoli ospitati od autoprodotti di livello quanto mai variegato, in cui comunque – più che nelle stagioni ufficiali – oltre allo spettacolo conta il clima, il dibattito, la comunità di attori-spettatori che, nel capannone o nella cantina, si viene a creare. Un protagonismo culturale, insomma: con quali rapporti con l’amministrazione?
“Penso che noi queste realtà dobbiamo sostenerle, non dirigerle – risponde Robol – Il Centro Santa Chiara ha avviato una collaborazione con loro, attraverso bandi per produzioni, per residenze. Almeno tre di queste realtà (Aria teatro, Estroteatro, Portland) hanno realizzato calendari coordinati per evitare sovrapposizioni, tra loro e con il Santa Chiara. E a due di essi abbiamo dato in gestione il nuovo Teatro di Meano e ora quello di Villazzano, dove possono portare avanti propri progetti. Penso che abbiamo lavorato in maniera corretta e la crescita complessiva degli spettatori è un risultato significativo”.
Nei rapporti con la cultura giovanile, il punto dolente è un altro: l’antitesi che nel centro si è creata e lasciata crescere tra giovani e residenti, musica e riposo. Con proteste di cittadini, disappunto degli studenti, continue chiusure di locali che ospitavano musica dal vivo.
A parte alcuni casi in cui l’attivismo persecutorio della polizia locale è risultato perlomeno incomprensibile (vedi il Circolino, che si trova affogato nel Parco di piazza Venezia e letteralmente sotto a una strada; o il Bicigrill, addirittura in aperta campagna) e a parte una minoritaria quota di residenti che vorrebbe silenzio assoluto a partire dalle nove di sera, sta di fatto che il Comune ha apertamente osteggiato, anche attraverso regolamenti ridicolmente pretestuosi, la musica nei locali. Ha fatto di peggio: non ha saputo distinguere, anzi ha contribuito a confondere musica e schiamazzi, giovani ed ubriaconi.
In realtà i residenti detestano non la musica alle 23 all’interno di un locale, ma le ronde di gruppetti bercianti e urinanti alle 2 del mattino.
“Come mai non mandate vigili a multarli?” - avevamo a suo tempo chiesto al comandante Lino Giacomoni. “Ma quelli… sono pericolosi!” era stata l’ineffabile risposta.
Forti coi deboli, deboli coi forti: multe salate ai proprietari di bar, coda tra le gambe con gli ubriaconi molesti.
Ma i vigili dipendono dal Comune; ci pare chiara non solo l’inettitudine dell’Amministrazione, ma l’indifferenza verso la cultura giovanile, quella maggioritaria, che non si sbronza, ma sa apprezzare un concertino.
“Abbiamo chiesto alla PAT- ci ha risposto l’assessore - e ottenuto l’aumento di orario di lavoro dei nostri vigili, perché possano controllare a ora tarda”; sperando che non s’imboschino quando sentono schiamazzi - aggiungiamo noi.
Peccato. Tutta questa vicenda ci pare poco edificante, e di sicuro ha incrinato la confidenza dei giovani verso le istituzioni, la fiducia nella città.
In conclusione : Trento è quello che dice di (voler) essere, città-ponte, tollerante, aperta alla cultura, agli altri e ai giovani?
In parte sì, secondo noi. Ma solo in parte.