La compassione apre la mente al dubbio
Le dodici vittime dell’atto terroristico di Berlino, tra le quali la giovane friulana Fabrizia Di Lorenzo, hanno destato giustamente in ognuno di noi sgomento, rabbia e profondo dolore, in quanto sono state colpite persone ignare e innocenti.
Successivamente ha fatto da contraltare a questi sentimenti il sollievo e la soddisfazione per l’uccisione di uno dei responsabili di tale gesto criminale, con tanto di encomi per i due poliziotti che ne sono stati protagonisti.
Senza nulla togliere a questi ultimi, sono però dell’avviso che anche la vita spezzata di quel giovane dovrebbe suscitare in noi almeno compassione. Se è vero che questo ragazzo di 24 anni è uscito dalle carceri italiane il 28 ottobre scorso, dopo 4 anni di detenzione, per essere stato uno dei protagonisti di una azione di protesta, sia pure violenta, in uno dei centri di accoglienza per migranti, mi sembra lecito avere verso di lui quella compassione che consente di aprire la nostra mente al dubbio; forse l’unico argine reale ad ogni fanatismo.
A questo proposito prendo spunto dalla recente riflessione degli studenti del Liceo “Antonio Rosmini” presso la Casa circondariale di Trento (pubblicato sull’Adige del 21 dicembre scorso), significativamente titolato: “Il carcere non riabilita – bollati per sempre”, per porre alcuni interrogativi.
Innanzitutto mi chiedo come mai Anis Amri abbia scontato 4 anni di carcere per fatti dovuti ad effettive condizioni disumane più volte mostrate anche in servizi televisivi. Forse se si fosse trattato di un italiano che si poteva permettere un’adeguata assistenza legale, ricorrendo in tutti i gradi di giudizio, non sarebbe mai finito in carcere e magari per reati ben più gravi. In secondo luogo, ed è una delle questioni esplicitamente poste anche dagli studenti del carcere di Trento, dove sta la proporzionalità della pena rispetto al reato che, secondo Cesare Beccaria, dovrebbe stare in equilibrio tra “la massima efficacia e la minima sofferenza”? Infine, dove sta la funzione di recupero che il carcere dovrebbe avere come missione centrale se un ragazzo di 24 anni ne esce così frustrato, arrabbiato e colmo d’odio da abbracciare idee di vendetta e di morte quali quelle sbandierate dall’Isis ?
Se, come affermano le voci di coloro che vivono il carcere, spesso il detenuto viene sottoposto a condizioni disumane e di degradazione morale, anche per la carenza di strutture e servizi (a cui va aggiunto il sovraffollamento delle nostre strutture carcerarie), non ci si può certo meravigliare di ciò. Per questo penso valga la pena fare proprio l’interrogativo posto dagli studenti del Carcere di Trento quando si chiedono: “Quanto è rimasto nella moderna realtà giudiziaria di quest’arte della proporzione che è condizione stessa dell’efficacia della pena?”.
Per quanto riguarda poi la questione del terrorismo cosiddetto “islamico”, penso che dobbiamo fare un esame di coscienza sulle nostre responsabilità rispetto a quello che è successo e sta succedendo dall’Afghanistan alla Libia.