CasaPound: politica o violenza?
Malgrado i ripetuti atti di aggressione, in attesa che la magistratura dia il suo responso, le autorità cittadine restano inerti. Si aspetta il fattaccio?
Un po’ di storia nazionale: nel 2003 un gruppo di attivisti di destra occupa uno stabile del centro di Roma, via Napoleone III. Usando una strategia tipica della sinistra extra-istituzionale, il gruppo dichiara di voler combattere l’emergenza abitativa della capitale, però a vantaggio delle sole famiglie italiane. È il primo momento in cui si sente il nome CasaPound. Nel 2007 è la giunta Veltroni ad ufficializzare la tolleranza delle istituzioni verso questa organizzazione, inserendo lo stabile occupato in una delibera che elenca le occupazioni “storiche” che il Comune si impegna a non sgomberare. CasaPound, nel frattempo, si rende protagonista di varie campagne a carattere sociale, con il dichiarato intento di rimettere in agenda quelle politiche del ventennio fascista che furono efficaci per il benessere della popolazione. Presentando un’immagine di gruppo politico che vuole riportare in auge solo gli aspetti popolari, socialisti, del fascismo, modernizzandone il pensiero tramite la partecipazione al processo democratico e l’eliminazione dell’esaltazione retorica e della pratica della violenza che era stata alla base del Ventennio di Mussolini. Con uno slogan sempre in vista: “Prima gli italiani”.
Il 13 dicembre 2011 si registra il più clamoroso degli eventi di cronaca che rivela il lato oscuro di questo slogan: Gianluca Casseri, militante del movimento, uccide a colpi di pistola, in pieno giorno, i due ambulanti senegalesi Samb Modou e Diop Mor, nel centro di Firenze.
Il movimento (senza dubbio estraneo alla decisione del suo militante) s’impegna a fondo a sminuire il documentato coinvolgimento di Casseri nelle proprie attività. CasaPound regge il colpo, anche perché la politica istituzionale non si attiva in campagne per collegare la violenza omicida con le sue attività politiche, e prosegue il suo percorso. Che porta al dialogo con la Lega non più nordista di Salvini, fino a che, nel 2014, il sostegno di CasaPound e della sua lista “Sovranità” è cruciale per permettere a Mario Borghezio di conquistare un seggio in europarlamento nell’Italia Centrale.
Un po’ di storia locale: in Trentino-Alto Adige CasaPound, come ogni organizzazione di stampo fascista, trova radici più solide a Bolzano che a Trento. Nel capoluogo altoatesino il movimento è addirittura riuscito a far eleggere, per la prima volta in Italia, un suo esponente in Consiglio comunale. Si tratta di Andrea Bonazza, coinvolto, tra le altre cose, nell’accusa per l’omicidio di Fabio Tommaselli, ammazzato di botte nel 2003 dopo un diverbio con quattro militanti di estrema destra. Tre sono stati condannati, il quarto è proprio Bonazza, assolto per aver partecipato al diverbio ma non al pestaggio.
È proprio con il sostegno dei militanti bolzanini che CasaPound apre una sede anche a Trento. All’interno di un locale in affitto da un privato, a Trento Sud, in una via dedicata alla martire della resistenza partigiana Ora Marighetto. È lì che il 9 novembre 2013 viene inaugurato “Il Baluardo”, punto di riferimento fisico dei militanti di CasaPound e della sua organizzazione studentesca, il Blocco Studentesco, a Trento. In aperta contrapposizione alle attività del Centro Sociale Bruno, da tre anni il Baluardo organizza eventi culturali e ricreativi per i simpatizzanti dell’organizzazione. Così come iniziative a carattere sociale, ultima la raccolta di generi di prima necessità per gli sfollati del terremoto di Amatrice.
Anche a Trento, tuttavia, gli episodi di cronaca lasciano forti dubbi sul fatto che la militanza di CasaPound escluda l’esaltazione e la pratica della violenza nel suo recupero dell’agenda politica della destra sociale. Proprio questo giornale ha sostenuto la pubblicazione di un rapporto dell’Osservatorio contro i fascismi del Trentino Alto Adige che, pubblicato nel 2015, elenca 17 aggressioni, raramente imputabili ad una “guerra fra bande” tra fascisti ed antifascisti, per le quali, nel primo anno di attività del Baluardo, è possibile risalire ad attivisti di CasaPound o del Blocco Studentesco. Successivamente, numerose altre aggressioni sono state denunciate alla stampa e, in alcuni casi, alla magistratura. Siamo andati a parlare con alcune delle vittime di queste aggressioni, tra quelle che si sentivano di parlare.
Succede in Trentino
Il primo è Giacomo, impiegato di 28 anni che, nel marzo 2015, è stato preso a calci e pugni da un gruppo di persone in corso Buonarroti a Trento e che non ha mai esitato a denunciare pubblicamente l’accaduto né ad accusare direttamente i militanti legati al Baluardo.
“Io non sono un militante politico, per quanto abbia le mie idee e possa aver partecipato, in alcuni casi, a delle manifestazioni. Di certo se sono stato aggredito non è per aver eseguito io stesso azioni contro CasaPound. - ci dice - Quella sera stavo tornando, come tante, verso casa, quando in corso Buonarroti ho incrociato un gruppo di ragazzi che affiggevano dei manifesti con il logo del Blocco Studentesco. Non mi sentivo a mio agio ma ho proseguito a camminare senza dire niente. Ho iniziato a sentire dei commenti su di me e mi sono reso conto che mi stavano seguendo, per cui ho accelerato. All’altezza del cinema Astra ho attraversato la strada e ho sentito una voce che mi chiedeva: “Ehi, sei un antifascista?”. Mi sono girato e prima che potessi rispondere mi è arrivato un pugno in faccia che mi ha steso a terra. Dopodiché, tre/quattro persone mi hanno preso a calci per alcuni minuti prima di andarsene. Sono finito in ospedale con 9 giorni di prognosi e per lungo tempo ho avuto paura di uscire. Ancora adesso, la sera, mi capita di farmi accompagnare da degli amici perché non mi sento sicuro. Sono anche convinto che, se fossi stato un militante più in vista, sarebbe potuta andarmi peggio”.
Una preoccupazione, quella di Giacomo, che sembra confermarsi nel racconto di F. R., lui sì militante in un’organizzazione politica della città, che si dichiara vittima, nell’aprile 2016, di un’altra, più severa aggressione.
“Stavo tornando da una serata ed avevo appena attraversato il sottopassaggio di corso Buonarroti, quando ho chiaramente riconosciuto un militante di CasaPound che mi ha aggredito con un martello, del quale sono riuscito a schivare il colpo, e subito dopo con un coltello, che mi ha ferito alla pancia, solo per caso senza conseguenze gravi per la salute”.
Un episodio che attende conferme dalle aule di tribunale, ma che sembra costituire un’aggressione di gravità ancora inaudita a Trento. Che allarma anche la politica locale.
“Seguo con attenzione e preoccupazione il moltiplicarsi di episodi di aggressioni sia a Trento che a Bolzano e mi chiedo a cos’altro bisogna arrivare perché ci si ribelli alla permanenza sul nostro territorio di organizzazioni come Casa Pound. - ci dice Antonia Romano, eletta in Consiglio comunale con l’Altra Europa per Tsipras - Da quando sono stata eletta sento spesso parlare di degrado della città, riferendosi di solito a presenza di senza fissa dimora sul territorio, ma mai ho sentito parlare di degrado o invocare l’intervento del sindaco per le aggressioni di CasaPound”.
Sono state fatte azioni concrete, nelle Istituzioni, per evitare questo?
“Ho depositato molti mesi fa una mozione perché sindaco e giunta si impegnassero a mettere in atto misure contro ogni forma di fascismo, comprese azioni legali verso chi si richiami espressamente al ventennio. Ci siamo rifatti a quanto prevedono la nostra Costituzione e le leggi Scelba e Mancino. Contavo sul sostegno dei colleghi del PD e del M5S, perché qui non si parla di semplice espressione di idee politiche, ma di nuova resistenza per contrastare l’avanzata della destra populista che sta conquistando l’Europa. Al momento del voto il 15 settembre, tuttavia, nonostante buona parte dei consiglieri di maggioranza abbiano votato a favore, la mozione non è stata approvata per un solo voto. Senza dubbio il fatto che il sindaco si sia dichiarato contrario ha influenzato la giunta”.
“Non abbiamo poteri...”
Non troppo diversa da un punto di vista valoriale, per la verità, la posizione di Italo Gilmozzi, recentemente eletto segretario del Partito Democratico trentino. “Io non mi accodo a chi dice che si tratta di ragazzate o di guerra fra bande, io sono davvero convinto che questo gruppo sia pericoloso, che sia una minaccia. - ci dice Gilmozzi. - È su queste questioni che la politica dovrebbe iniziare a discutere. Il dramma del PD è che invece siamo sempre a parlare di poltrone, siamo autoreferenziali. Credo che un partito come il nostro dovrebbe far sì che i cittadini possano venire a parlare con noi di questioni sociali come questa. Mi piacerebbe che, come frutto della mia segreteria, il partito si aprisse dedicando giornate aperte alla discussione di questi temi”.
Giusto, ma il partito del sindaco, che ha il compito di governare la città e, in parte, garantire la sicurezza, non dovrebbe andare oltre la discussione, mettendo in campo delle azioni quando si parla di aggressioni effettuate in base all’aspetto fisico?
“Guardate - risponde Gilmozzi - che la politica non ha grandi poteri in questo. Il sindaco può fare appelli, può stimolare una discussione politica, ma è il questore che si occupa della sicurezza. Noi possiamo assicurare che non daremo mai uno spazio pubblico ad un’organizzazione come CasaPound, ma “Il Baluardo” è in uno spazio privato con un contratto regolare. Fino ad ora, poi, la magistratura non ha mai legato le aggressioni all’attività politica dell’organizzazione. Se questo legame fosse dimostrato, forse la politica potrebbe fare qualcosa”.
Ricontattiamo il segretario ed assessore comunale dopo che, sulla mozione per azioni contro i neofascismi, non ha votato, benché presente in aula: “È stata una decisione che non va assolutamente contro lo spirito della mozione. Semplicemente, abbiamo valutato che non fosse opportuno parlare anche di azioni legali, ma che fosse bisognasse invece mettere in campo tutte le azioni politiche necessarie ad affrontare il fenomeno”.
E dopo questa votazione, qualche azione politica è stata messa in campo?
“No”.
Aspettando i tribunali
Anche a Trento quindi, un gruppo dichiaratamente neofascista si muove nell’atmosfera di crisi ed ansia per il degradarsi di ricchezza e relazioni sociali. Ormai senza dubbio diventato una realtà elettorale, le sue campagne riportano, a 70 anni di distanza dalla caduta di Mussolini, alcuni elementi della politica fascista all’interno del dibattito democratico, con una forte attenzione alla dimensione sociale.
I fatti di cronaca, però, sia a livello nazionale che locale, mettono fortemente in dubbio che ci si limiti a questo, facendo temere che l’utilizzo della violenza contro il diverso, lo straniero, l’attivista di sinistra o semplicemente quello vestito in un’altra maniera, sia un tratto fondamentale dell’identità di CasaPound. Tratto che metterebbe il movimento ben oltre i limiti di ciò che in democrazia, e banalmente in uno stato di diritto, è accettabile.
In Italia come in Trentino, però, l’immobilità della politica, quella istituzionale che ha il potere di prendere le decisioni, non aiuta di certo a mettere chiarezza. Non si dice in modo esplicito che si accetta Casa Pound tra i competitors del gioco democratico; ma allo stesso tempo non la si esclude con azioni politiche forti. I decisori, in Trentino come a Roma, alzano le braccia e si dichiarano semplici funzionari, attenti a sottolineare i limiti del proprio operare, demandando alle aule di tribunale la verifica delle responsabilità, senza voler distinguere tra responsabilità prettamente legali ed altre, invece, chiaramente politiche ed anche, più banalmente, alla tutela della sicurezza dei cittadini, anche di quelli vestiti un po’ diversamente. La verità processuale risulterà quindi cruciale ma ha, inevitabilmente, dei tempi diversi. Sperando che il Trentino non debba vivere un’escalation della violenza.