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QT n. 1, gennaio 2015 Trentagiorni

Cassa del Trentino, soldi a Roma

Cassa del Trentino è una delle creature dell’era Dellai, quando si creavano Società per Azioni esterne alla Provincia, cui si demandavano compiti prima interni alla struttura provinciale, nella convinzione conclamata di raggiungere maggior snellezza ed efficienza. E anche nella convinzione, aggiungiamo noi, di poter utilizzare uno strumento più controllabile da chi è al potere (una spa non deve assumere per concorso, per esempio) e meno da chi è fuori dalla stanza dei bottoni (una spa non risponde alle interrogazioni degli oppositori). Padre nobile e massimo propugnatore di questo riassetto è stato il prof. di Economia e Management Gianfranco Cerea, infatti presidente, tra le altre cose, di Cassa del Trentino.

La Cassa era nata anche con il compito di centralizzare e quindi razionalizzare la raccolta di fondi. Nell’ottica per cui un Comune che cerca finanziamenti sul mercato finanziario può spuntare certe condizioni, mentre un ente centrale a ciò specializzato, che tratta l’insieme dei finanziamenti pubblici della provincia, può spuntare condizioni più favorevoli.

Questa la teoria. Alla prova dei fatti però i dati raccontano un’altra cosa: nel 2013 Cassa del Trentino ha conseguito un utile di 14 milioni, ne ha pagati 9 di imposte, chiudendo con un utile netto di 5 milioni. E questi non sono bei numeri: perché vuol dire che si sono persi ben 9 milioni che andranno a finire a Roma (e dei quali solo una parte tornerà indietro in base agli accordi Stato-Provincia sempre mutevoli).

Come mai questo meccanismo? E come mai la Cassa fa utili, che poi vengono tassati?

Il fatto è che la Provincia paga a Cassa del Trentino, sugli importi ricevuti, un certo interesse, mentre CdT spunta sul mercato interessi considerevolmente inferiori. Di qui l’utile, poi tassato da Roma. Non solo: parte degli interessi che paga CdT sono indeducibili fiscalmente, cioè non possono essere presentati come spese, mentre gli interessi che incassa dalla Pat sono tutti tassati integralmente. Insomma è scattata una trappola fiscale, anche perché, con il passare degli anni, per tutta una serie di nuove normative, l’incidenza delle imposte è aumentata, e continua ad aumentare, per cui - come apprendiamo da un’interrogazione del Consigliere Filippo Degasperi del Movimento 5 Stelle - se nel 2010 Cassa del Trentino pagava il 38,5% di tasse, nel 2013 ha pagato oltre il 63%, e ancor di più pagherà nel 2014.

Il meccanismo è deleterio.

Anche perché se la Pat cercasse da sola i finanziamenti, senza ricorrere all’intermediazione di CdT, si risparmierebbe tutti questi esborsi. E anche il singolo comune potrebbe probabilmente arrangiarsi più proficuamente da solo: è infatti da notare che CdT contrae i debiti in buona parte con la nazionale Cassa Depositi e Prestiti, che applica i medesimi tassi a tutti i soggetti pubblici, anche appunto al singolo piccolo comune.

Comunque, ammesso che abbia senso CdT, si dovrebbe almeno porre rimedio al differenziale tra i tassi che la Pat paga alla Cassa e quelli che paga quest’ultima. Il fatto è - come spiega anche una mozione del consigliere Luca Zeni del Pd - che i tassi pagati dalla Pat, vengono fissati in base a un report sugli scenari futuri redatto dalla stessa CdT, che dipinge sempre situazioni con tassi decisamente più alti di quanto poi si verifica, soprattutto in questi ultimi anni, in cui i tassi di mercato sono in realtà scesi, ma non quelli pagati dalla Provincia. Così Cassa del Trentino fa utili, i dirigenti intascano i premi (5 dirigenti su 21 dipendenti, e poi c’è il Consiglio di amministrazione) e la Provincia paga le tasse.

Ma in Provincia c’è qualcuno preposto a controllare questi meccanismi? A noi risulta un bel conflitto d’interessi: a sovrintendere il dipartimento affari finanziari, servizio sistema finanziario pubblico, c’è la direttrice Luisa Tretter, che è anche nel cda di Cassa del Trentino; e l’Ufficio per il controllo legale dei conti ha come direttrice Claudia De Gasperi, che è moglie di Lorenzo Bertoli, direttore di CdT, cosa incompatibile per gli articoli 3 e7 della delibera di Giunta sul codice di comportamento. È vero tutto questo? Non si può porre rimedio?

Noi dubitiamo fortemente che il sistema dellaiano delle spa controllate dalla Pat sia funzionale. Anche Itea privatizzata si è rivelata un altro trappolone fiscale, da cui si tenta, per ora invano, di tornare indietro. Ma comunque, se le controllate le si vuol proprio mantenere, si attivino almeno sistemi di monitoraggio e controllo efficienti risolvendo alla base i conflitti di interessi.

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