Donne (sull’orlo) della crisi
Tempi duri e ruolo della donna. La crisi economica può essere un’opportunità?

L’attuale crisi economica, iniziata nel 2008 e ora diventata recessione, ossia disoccupazione, miete sia tra gli uomini che tra le donne. 3 milioni sono infatti i disoccupati in Italia (39%), al Sud il 50% di essi sono donne e giovani. Per quanto riguarda il Trentino, la disoccupazione maschile dell’ultimo trimestre del 2012 è del 4.7% a fronte di una disoccupazione femminile del 7.2%. Ma, sorprendentemente, sembra che la crisi sia positiva per le lavoratrici, il cui tasso di disoccupazione è diminuito meno di quello maschile. Dati Istat di febbraio, riferiti all’Italia: le occupate salgono dello 0.5%, mentre la componente maschile resta sostanzialmente ferma. Perché? L’abbiamo chiesto a Mariangela Franch,

“Donne fuori posto”
Affrontiamo il tema da un punto di vista più sociologico, riandando ai ricordi dei nostri nonni e genitori. In tempi difficili, in tempi di guerra, erano le donne a mandare avanti le sorti del paese e delle loro famiglie. “Ai tempi, per le donne essere ‘fuori posto’ significava ‘essere’” - si legge in “Donne fuori posto”, di Casimira Grandi, professoressa di Storia sociale presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Trento. È una frase ancora valida nell’attuale contesto di crisi?
“In Trentino, in alcune situazioni è ancora così – ci risponde la prof. Grandi - Ciò è dovuto alla complessa geomorfologia del territorio: dove c’è un territorio piano c’è più movimento, più circolazione soprattutto di idee e dunque sarà più facile per le donne realizzarsi in contesti lavorativi esterni e più soddisfacenti. Ma non tutti i luoghi si sono raccordati con il fondovalle, lì manca l’ossigeno, il Trentino non è omologato tanto quanto si pensa”.
Ancora nel suo libro, leggiamo: “La società dell’epoca tendeva a far permanere la donna nella zona d’ombra, anche quando la sua partecipazione lavorativa aveva assunto un’indiscutibile rilevanza quantitativa”. Oggi, la situazione, secondo lei, è ancora questa?
“Sì, almeno per le famiglie meno acculturate; ed è ovviamente più vero per le famiglie che vivono nei masi che non per quelle che vivono in centro a Trento”.
Le donne sono più impiegate nei settori assistenziali, che sono anche i meno colpiti dalla crisi. Ritiene che questo sia un dato peculiare?
”Non posso parlare di statistiche, ma di stime. L’assistenza, nei momenti di crisi, è quella che serve di più, fin dalla notte dei tempi è utilizzata come ammortizzatore. Ma d’altra parte la gente impiegata in questo settore è costretta in questa situazione: se si guarda alla storia, il posto della donna è sempre stato la casa e la si poteva mandare solo nel posto più vicino alla casa, cioè nei servizi, anzi proprio ‘a servizio’. La donna, dunque, inizia ad essere ‘utilizzata’ nella seconda metà dell’800, quando le istituzioni assistenziali hanno una connotazione ben precisa. Un esempio è la scuola per puericultrici, la prima scuola assistenziale istituita in Trentino. Oggi invece la donna ha lasciato la famiglia, ma è la famiglia a non lasciare la donna”.
Ritiene quindi che la crisi possa essere un’opportunità per le donne?
”Sì, ma solo per le meno acculturate, non invece per quelle che dispongono di una cultura solida. Queste ultime sono bloccate nella società dalla mancanza di meritocrazia, che le fa partire sempre più indietro dei maschi, magari meno capaci. Anzi, la poca meritocrazia è uno svantaggio per le capaci anche nei confronti delle altre donne. Questo è il punto, il resto è ininfluente, anche il fatto che le donne possano perderci molto dalle politiche anticrisi”.
La professoressa Franch ha prospettato, contro gli effetti delle politiche anticrisi, una manovra come la ARRA di Obama. Che ne pensa?
“Obama lavora in un contesto diverso da quello italiano. Gli USA hanno un altro rapporto con il lavoro: sono figli dell’etica protestante. Noi invece siamo figli del cattolicesimo e non ce lo possiamo scrollare di dosso. Dobbiamo cercare una soluzione che sia nostra, che vada bene per l’Italia. Per far questo dovremmo guardare prima ai Paesi a noi più vicini per cultura e mentalità”