La lezione dei kiwi
Impressioni dalla Nuova Zelanda di una studentessa trentina
Il primo pensiero nel vedere dall’aereo la Nuova Zelanda è stato un colore: il verde.
Arrivando all’aeroporto di Auckland io e gli altri due ragazzi italiani avevamo i nasi attaccati ai finestrini, guardando i prati sconfinati pieni di pecore che viste da lassù sembravano puntini bianchi. Quella terra così verde e lontana dal resto del mondo sarebbe stata la nostra casa per alcuni mesi. Eravamo tutti e tre pronti per il nostro programma exchange: avremmo vissuto in una famiglia neozelandese, o kiwi, visto che le persone del posto si chiamano così (il kiwi è un uccello, un po’ il simbolo di questo paese, il frutto omonimo non c’entra!), e avremmo frequentato una scuola superiore studiando con kiwi della nostra età. Un’esperienza per imparare l’inglese ma soprattutto per crescere, imparare ad essere indipendenti e a conoscere una nuova cultura.
I primi due giorni saremmo stati insieme ad Auckland per ambientarci al fuso orario di 10 ore e per un ripasso delle regole del programma, poi i miei due amici avrebbero preso un altro aereo per Cristchurch, nell’isola del sud, mentre io ero diretta a Hamilton, non molto distante da Auckland. All’inizio pensavamo che ci avrebbe colpito soprattutto l’ambiente circostante, o il cibo differente da quello al quale eravamo abituati; invece a sorprenderci sono state le persone e le loro usanze.
Ero al supermercato con Marianna, l’altra ragazza italiana, quando ho visto una bambina senza scarpe. Poco dopo un’altra, e un po’ più in là un adulto. Ci siamo guardate sorprese chiedendo spiegazioni alla signora che ci ospitava. Ebbene sì, in Nuova Zelanda non è strano vedere le persone girare scalze. Per la strada, al parco o, appunto, al supermercato. Una settimana dopo ho constatato che persino a scuola alcuni ragazzi non indossano scarpe. Io e la mia amica eravamo allibite, e non mi sarei aspettata che dopo un mese anch’io mi sarei avviata per andare a fare la spesa... dimenticando le scarpe a casa.
Non c’è dubbio però che l’ambiente aiuta. Intendo dire che le strade non sono sporche come quelle delle grandi città europee. Le persone non sputano o buttano immondizia per terra, e ciò rende le strade camminabili anche a piedi nudi. Con altri ragazzi stranieri si scherzava dicendo: “Non puoi capire cosa si intenda per ‘piedi neri’ fino a quando non arrivi in Nuova Zelanda”. Io però ho italianizzato a modo mio questa usanza: una volta entrata in casa, subito mi lavavo i piedi, mentre le mie “sorelline” kiwi alle volte se ne dimenticano proprio, andando a dormire con i piedi sporchi dopo una camminata in città.
Una seconda stranezza era l’amore spassionato per la Mamite, una specie di marmellata al gusto di brodo. La usano con pomodori o formaggio per accompagnare il toast della colazione, oppure anche da sola sul pane. La conservavano come oro, perché la fabbrica era stata distrutta da un terremoto e la produzione era interrotta. La signora che ci ospitava la teneva nascosta in fondo a un mobiletto, in modo che le sue figlie o i nipoti non la trovassero. A noi è bastato provarla una volta per capire che non l’avremmo mangiata mai più.
Può sembrare che sia un paese di matti e da un certo punto di vista forse lo è, ma questi kiwi con usanze così diverse dalle nostre hanno molto da insegnare.
Prima di tutto la calma. In Nuova Zelanda vendono delle magliette per turisti con la scritta: “New Zealand, dove le persone sono rilassate e le pecore stressate”. Per quanto riguarda le pecore non so, ma per le persone posso confermare. Mai e poi mai un kiwi correrebbe contro il tempo facendo mille cose, come la maggior parte di noi in Europa. Loro se la prendono con calma e si gustano quello che gli sta intorno.
Un altro insegnamento importante che ho appreso dai kiwi? Avere sempre un ombrello con sé. Se qualcuno si chiedesse come mai la Nuova Zelanda sia così verde, ecco la risposta: piove sempre. Magari per tutto il giorno o solo per qualche minuto, ma tutti i giorni. Si dice che qui basta aspettare quindici minuti perché il tempo cambi, ed ecco la ragione per cui, dopo due settimane che partivo da casa col sole e tornavo da scuola bagnata, ho imparato a non separarmi mai dal mio ombrello: verde come la Nuova Zelanda.