Welfare trentino: come dovrebbe cambiare
Da qualche settimana si è acceso anche in Trentino un interessante e importante dibattito sulla situazione del nostro welfare; si può dire meglio tardi che mai, nel senso che con i tempi che corrono i dibattiti che evitino l’autoreferenzialità o il disfattismo possono solo fare bene nella difficile situazione economica e culturale che stiamo vivendo.
Le riflessioni che arrivano dal mondo delle cooperative sociali e dal privato sociale in generale hanno giustamente tentato di rilanciare un dibattito che forse in Trentin,o anche per la cura chela Provinciaha sempre avuto verso l’argomento, si era un po’ affievolito.
Come sempre, dove le cose funzionano meglio rispetto all’ infausto panorama nazionale, è più difficile cogliere limiti che comunque esistono.
Come da copione, la levata di scudi del presidente della Provincia rispetto agli spunti critici, lanciati da alcuni operatori del sociale non si è fatta attendere: “Il welfare trentino è più vivo che mai”; della serie: siamo e rimarremo un’ isola felice; certo vanno fatte delle verifiche, delle riflessioni, mala Provincia si è già attivata per passare da un welfare con un taglio universale a uno che sappia muoversi verso i particolari bisogni del singolo soggetto.
La riflessione di Dellai è condivisibile, ma si deve prendere atto che la nostra società è cambiata e che questo cambiamento sta avvenendo in una fase di recessione molto forte. Queste difficoltà stanno colpendo anche i cittadini trentini che - è vero - hanno potuto appoggiarsi su reti di welfare più solide rispetto al resto d’Italia, ma sicuramente ora stanno vivendo un inevitabile calo della qualità della vita.
La risposta che la nostra Provincia ha attuato fino ad ora è sempre stata molto legata a un’erogazione di servizi che partono dal centro, che si è sempre comportato come autosufficiente. Questo modello non è più sostenibile e al tempo stesso, col tempo, potrebbe correre il rischio di allontanare il servizio dalle reali esigenze di chi deve usufruirne.
Ci dobbiamo dotare di nuovi strumenti avviando dinamiche che sappiano valorizzare quanto c è già sul territorio, connettendo esperienze diverse.
I bisogni di chi vive il territorio sono cambiati non solo quantitativamente, ma anche tipologicamente.
Ci sono soggetti nuovi che cercano di dare risposte a questi bisogni, in alcuni casi senza il concorso di pubblici finanziamenti. Questi soggetti possono essere portatori di nuove modalità, che vanno riconsiderate e sostenute nel panorama del welfare complessivo. Le reti di volontariato e il capitale umano dei giovani che vivono nelle valli devono essere più valorizzati, si potrebbero creare percorsi virtuosi magari con costi limitati incentivando l’iniziativa delle molte realtà territoriali, facendole uscire dal localismo. Urge riattivare lo spirito di cooperazione fra chi eroga servizi e chi ne usufruisce.
Per puntare a un livello di welfare integrato e rispondente alla situazione di emergenza che viviamo, si potrebbe sfruttare l’interessante intuizione chela Provinciaha avuto, le Comunità di Valle. Allo stato attuale però queste rischiano di restare virtuali e slegate dal territorio che dovrebbero coinvolgere. Se non si velocizza il trasferimento delle competenze, un presidio sul territorio potenzialmente così importante, rimarrà una bella idea sulla carta, ma nella realtà solo un peso per i contribuenti trentini.
C’è bisogno di sussidiarietà verticale e orizzontale, concetti molto presenti nel testo della legge delle Comunità di Valle, ma poco nella pratica per ora, per migliorare e incentivare l’esistente in Trentino e creare dinamiche nuove che escano dall’idea di un’autosufficienza centralizzata.
Responsabile servizi dell’Assoc. Agape Servizi alla Famiglia