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Nome di battaglia: Lia

Nome di battaglia: Renato Sarti

Una sola recita per Renato Sarti, due per Testori, quattro per Micheli-Solenghi... La programmazione sembra seguire una logica meramente commerciale: “Uffa co’ ‘sta Resistenza”, una recita; cattolicesimo contorto, due recite; star televisive, quattro. Così la funzione educativa-culturale-pedagogica, auspicabile nel teatro “ufficiale”, penalizza il teatro civile di Renato Sarti, riservandogli l’angolino che spetta ai “soliti” discorsi di sinistra, antifascisti, militanti, memorialistici, “tanto giusti, sì, ma che barba”... Inutile dire, inutile contraddire la politica dei fatti compiuti: ormai Sarti e le “sue” attrici, Marta Marangoni e Rossana Mola, sono altrove e un’altra occasione è perduta; ma sembra che importi poco (nei nostri licei - esperienza personale - troppi studenti orgogliosamente quanto puerilmente si autodenominano “fascisti del III millennio”). Dopo tutto, quei discorsi teatrali sono in odore di “comunismo”, c’è il rischio che si capisca (o si rammenti) che l’attuale fragile democrazia è stata fecondata e concepita anche grazie al coraggio e al sacrificio di donne/partigiane come Lia (al secolo Gina Galeotti Bianchi), mitragliata dai nazifascisti con il suo bimbo in grembo il 24 aprile 1945, a Milano. Correttamente in disparte al momento degli applausi, Sarti racconta e fa rievocare alle due bravissime attrici ambienti, atmosfera, sentimenti e speranze, alla vigilia della Liberazione, con una drammaturgia varia e vivace, naturalista e coinvolgente. Qui gli applausi ci stanno tutti, abbondanti e scroscianti, ma non è dato poter rivedere lo spettacolo.

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