Giacomo Sartori, Autismi
Grigia, amata Trento. Broni, Sottovoce, 2010, pp. 220, euro 13,50.
Leggendo i primi capitoli, Sartori appare al lettore come un insofferente e cinico osservatore del mondo: nella sezione intitolata “La mia città” raggiunge l’apice descrivendo Trento come una città grigia, accerchiata da montagne grigie ed attraversata da acque grigie; i suoi abitanti sono tra i più inclini al suicidio, all’ipocrisia e al culto fanatico della montagna. Ammorbato da tanta negatività, il lettore per un attimo ha la tentazione di chiudere il libro e abbandonare, ma è proprio alla fine del capitolo che l’intero testo si apre. Difatti, per quanto odi la sua città natale, nel momento in cui se ne sta allontanando per l’ennesima volta, prova “quasi un malinconico struggimento”: uno spiraglio di umanità che tocca il cuore e che spinge a continuare nella lettura degli altri autismi.
Secondo la terminologia medica, l’autismo è una patologia che provoca una marcata diminuzione dell’integrazione sociale e della comunicazione, senza una causa evidente. Questa definizione rispecchia il modus vivendi di Sartori, che spesso sembra sentirsi diverso dal resto del mondo, l’unico che riesce a vedere la falsità dei dépliant turistici o che si pone domande esistenziali sulle proprie feci. In alcuni tratti il linguaggio un po’ troppo ampolloso sembra utilizzato proprio come arma di difesa, per elevare le proprie idee e contemporaneamente creare un distacco comunicativo con il lettore. Allo stesso tempo, però, riesce a commuovere nel racconto degli affetti più cari, dimostrando una sensibilità raffinata e sottile che non cade mai nello stucchevole; i capitoli “Mio figlio” e “Terapia di copulazione” dimostrano al meglio come anche l’ironia tagliente possa legarsi ad un tono accorato. Inconsapevolmente, Sartori si trova ad amare ed incarnare tutto quello che rifiuta (seppur profondamente odiata, la montagna rimane il tema costante dei suoi studi), diventando una contraddizione vivente; con la famiglia che gli rinfaccia di avere tutti i difetti da lui stesso stigmatizzati, non riesce ad essere sincero, nemmeno con se stesso, rifugiandosi invece in un “non rispondo neanche, perché so che il loro unico fine è provocarmi”.
In conclusione, l’indubbia bravura di Sartori risiede soprattutto nell’ equilibrio tra i momenti di tenerezza e le descrizioni forti che richiamano lo stile di Aldo Nove. Ma per quanto l’affinità con lo scrittore “cannibale” sia evidente, Sartori non utilizza il pulp per suggestionare e colpire violentemente, ma come mezzo per esprimere un punto di vista personale, riuscendo così a voce far vivere pensieri e congetture in realtà comuni, ma che solitamente ognuno di noi tiene ben nascoste nel profondo.