Le parole
Provo molta ammirazione per chi sa esprimersi in modo fluido, appropriato e avvincente, dimostrando chiarezza di pensiero e proprietà di linguaggio. Se poi diventa anche condivisione di opinioni politiche, senza cadere nel trito politichese, provo gran considerazione. Se infine a parlare sono donne, tipo Margherita Hack o Rita Levi Montalcini, mi viene spontaneo inchinarmi alla loro bravura. E se altre donne m’incantano con avvolgenti giri di parole e calibrata autoironia, tipo Franca Valeri, Lella Costa o Luciana Littizzetto, provo qualcosa che, di primo acchito, potrebbe apparire persino invidia. Vizio capitale mai avvertito in passato, anche se mi è accaduto spesso di essere involontario oggetto di gelosie tra colleghe. Delle quali poi non si dimenticano tanto facilmente certe piccinerie dove mi ritrovavo invischiata mio malgrado. Ma questo è un altro discorso...
Discorso con gli altri che a tu per tu mi riesce. È ovvio che io sia capace di parlare perché ho letto tanto e scritto abbastanza da saper maneggiare le parole con sufficiente proprietà e disinvoltura. Ma se c’è “pubblico” - come lo chiamo io - muoio dalla vergogna e divento invisibile. Oppure spiccico concetti talmente banali, oscuri o inopportuni da farmi pensare: sì, sarebbe stato meglio tacere. A quel punto, tentare di spiegarmi meglio è come tappare la falla con un turacciolo. Spesso a voce le parole appropriate mi mancano, come non fossi capace di chiamare le cose col nome giusto. Sono precipitosa e, da impulsiva, prima parlo e dopo penso. Anche se più che pensare ho spesso l’impressione di essere attraversata dai pensieri. Sì, perché pensare è un atto conscio, mentre essere attraversati dai pensieri no, è qualcosa che avviene a nostra insaputa. E poi non sono per niente diplomatica, è vero, e quelle che a me sembrano garbate osservazioni, per tanti sono pungolature. Il rimedio è scrivere! Comodissimo sistema per chiarire e filtrare il pensiero guardando il mondo in filigrana. Ma scrivere non ha nulla a che vedere con il pensare; semmai è rendersi conto di essere attraversati da pensieri e volerli quindi fermare sul foglio con la penna.
Credo sia insicurezza la mia, mascherata dietro la spavalderia dei timidi. Almeno mi preservasse dalle figuracce... Sarà perché avverto terribilmente la mancanza di studi classici; mi sembra di possedere semmai una cultura “da parole crociate”. Ecco, le fondamenta: ho come l’impressione che non siano mai abbastanza solide. Eh sì, perché ho finalmente compreso che non sono gli altri a non capirmi... sono io a spiegarmi male. Ma dopo questa banale scoperta, non è che la mia vita diventi più facile. Ho solo preso coscienza che no, proprio non sono capace di parlare in pubblico. Mi manca il vocabolario, la parola fulminante che nasce e materializza nell’attimo giusto nella forma giusta e con il tono giusto. Sintesi perfetta di ragione e sentimenti. Stessa cosa per spiccicare due parole in croce riguardo alla situazione politica, come sempre accade ad esempio in redazione. Dopo diverse figuracce, rendendomi conto di venire fraintesa, non sapendomi spiegare come pure vorrei, preferisco ascoltare. E imparare.