Il romanzo della mucillagine italiana
Giacomo Sartori, Sacrificio, Ancona, peQuod, 2008, pp. 189, 16.
Presentandone l’ultimo romanzo "Sacrificio" - il 22 maggio presso la Biblioteca Comunale di Trento - Giulio Mozzi ha parlato di Giacomo Sartori come di "uno degli scrittori più solidi del panorama italiano contemporaneo". In effetti lo scrittore trentino (che però vive a Parigi, dove fa l’agronomo, ed oltre ai romanzi pubblica pregevoli analisi sulla natura dei suoli agricolo-forestali), presenta ormai un profilo letterario molto precisamente definito, che sicuramente lo caratterizza nel panorama delle patrie lettere. La sua è una scrittura semplice e piana, referente, senza ghiribizzi espressionistici, concentrata potremmo dire quasi "scientificamente" sul suo tema principale, che sono le zone d’ombra patologiche dell’animo umano. I suoi personaggi infatti, a partire dalle "ragazze" dei racconti del suo primo "Di solito mi telefona il giorno prima" (Il Saggiatore, 1996), sono esempi di esistenze ripiegate su se stesse, aggrovigliate fino a perdersi nelle difficoltà del rapporto con gli altri. E per questa via Sartori è arrivato a scrivere compattissimi noir, ispirati a fatti di cronaca nera, come "Tritolo" (Il Saggiatore, 1999), dove ha sperimentato una scrittura "psichiatrica", tesa ad analizzare i continui cambi di personalità di un serial killer border-line, che però - al contempo - diventa anche un racconto attendibile del conflitto etnico che scorre nelle vene profonde del Sudtirolo (e d’altra parte quelli erano gli anni delle guerre etniche nel vicino mondo balcanico, e quindi potremmo dire più generalmente che scorrono nelle vene anche dell’uomo contemporaneo appena le difficoltà esterne fanno da detonatore, fino ai recenti pogrom anti-rom delle vergogne italiche attuali). Insomma la vena intimista/patologica di Sartori è spesso il punto di partenza da cui si perviene a qualcosa che sembra il suo opposto: una analisi sociale. Dall’intimo, seguendo i fili delle difficoltà che legano un’esistenza all’altra, i suoi romanzi si aprono (un po’ reichianamente) in più vasti panorami sociali di devastazione collettiva.
Leggendo "Sacrificio" viene in mente l’ultima analisi del CENSIS sulla società italiana attuale, descritta come una mucillagine sociale. Provate a trovare un altro romanzo italiano dove i protagonisti fanno i gestori (autonomi ma sfigati) di una troticultura, i camionisti, aggiustano macchinette del caffè, assemblano a domicilio ricordini turistici, ecc. Unica eccezione di lavoratore dipendente e con un’etica del proprio lavoro quella di un guardaparchi ... ma è l’agnello sacrificale, quello che verrà fatto ammazzare dalla moglie come in uno dei tanti omicidi maturati in famiglia della cronaca nera contemporanea (e naturalmente i paesani prima penseranno a qualche "marocchino").
E’ come se qualcuno da un satellite puntasse un telescopio su un punto a caso della provincia nordista, e lo vivisezionasse in profondità, cercando di individuare l’essenza del legame sociale. Trovandoci appunto una mucillagine. Un insieme casuale di esistenze inconsapevoli, che tirano avanti senza alcun progetto, di rimessa, con un fondo di infelicità curata con un agitarsi vacuo e insensato (rappresentato esemplarmente dall’addizione chimica dell’impasticcamento), che è l’esatto reciproco della generale immobilità, della incapacità di affrontare collettivamente il proprio malessere.
Covando un lato oscuro di trasgressione patologica, sempre passibile di esplosione. Una valvola di sfogo da cui ogni tanto erompe verso l’esterno un surplus di energia andata a male, funzionale a mantenere in precario equilibrio l’ordine sociale della mucillagine, che non sa far altro che convivere in modo aggressivo con il proprio mal di vivere, avendo interiorizzato un ordine soffocante e violento, l’asservimento ai poteri forti, l’impossibilità del cambiamento.
Insomma un crudo ed efficace affresco dell’Italia che ha da poco incoronato Berlusconi, rassegnata alla decadenza, perché quello che la potrebbe curare potrebbe scaturire solo da uno slancio progettuale collettivo che sembra non sia più nel suo patrimonio cromosomico.