Non consumo ma utilizzo
Acquistare in gruppo per salvaguardare l’ambiente e la società. Lo fanno i Gruppi d’Acquisto Solidale, più semplicemente GAS. In Trentino ce ne sono 10, e coinvolgono oltre 500 famiglie. Tra filosofia di vita e risposta alle crisi: economica, ambientale e sociale.
Un’insolita foschia simil-padana avvolge i tornanti della ripida strada che, lasciata la provinciale Chizzola-Brentonico all’altezza della frazione brentegana di Corné, mi conduce all’azienda agricola “Frutti di Bosco”, due ettari di terreno in mezzo ai boschi e una graziosa abitazione dalla facciata in pietra a vista. “La ricerca di questa tranquillità è una delle ragioni che, a 40 anni suonati, mi hanno spinto ad abbandonare il tepore del mio ufficio, e a cambiare vita”. Aiutata dal marito falegname e dai figli universitari, Barbara qui coltiva more, lamponi, ribes, fragole e ciliegie. Lo fa da quattro anni, prima era un’impiegata. “Scelta di vita, la terra è sempre stata il mio sogno nel cassetto: mi è costato sacrifici, ma lo rifarei”.
I frutti di Barbara sono biologici: trattamenti ridotti al minimo, la lotta ai parassiti meglio lasciarla fare alle galline, libere di razzolare per l’appezzamento. “Quando ho deciso di darmi alla coltivazione, non ci ho pensato nemmeno un attimo: ero acquirente di prodotti biologici, ed è stato del tutto naturale diventarne produttrice”.
Barbara ha cominciato a vedere i primi risultati veri solo quest’anno, realizzando un raccolto finalmente completo: 20 quintali di fragole, 11 di more, 8 di lamponi. “In Trentino sono la sola a produrne in tali quantità. Parlo di biologico, naturalmente”. Già, perché in ambito tradizionale c’è chi produce in provincia quantità ben maggiori, pressoché senza concorrenza. Si tratta della cooperativa Sant’Orsola, “gli specialisti dei piccoli frutti”, per dirla col loro slogan. Ma se Barbara conferisse a loro, la sua scelta biologica non verrebbe valorizzata. “Io vendo le more a sette euro al chilo, i lamponi a 10: Sant’Orsola, che non fa biologico, me li pagherebbe molto meno”. Già, ma allora a chi vende Barbara?
Acquisti a tutto GAS
“Noi acquistiamo da lei da un paio d’anni: i suoi prodotti ci piacciono di più, e poi siamo felici di poter sostenere il suo sforzo di rispettare l’ambiente”. A parlare è Francesca, la cui famiglia, insieme ad un’altra quindicina della zona di Arco, si rifornisce da Barbara andando a prendere i frutti direttamente da lei, nella sua azienda agricola. Come il gruppo di Francesca, hanno scelto i prodotti di Barbara anche un gruppo di circa venti famiglie della zona di Rovereto, e due gruppi di circa trentacinque famiglie a testa della zona di Trento.
GasGòs è il nome del gruppo di Francesca, Gas Rovereto, GasTone e GasGazér sono i nomi degli altri tre gruppi che acquistano frutti da Barbara. GAS: Gruppi di Acquisto Solidale. Oltre ai quattro citati, in Trentino ce ne sono almeno altri sei: si tratta di una delle Province italiane con la più alta densità di GAS per abitante (v. box). Già, ma di cosa si tratta?
“Un gruppo d’acquisto solidale è essenzialmente un unione di famiglie che acquistano insieme con lo scopo di utilizzare i prodotti, e non di consumarli”. Giorgio, presidente del GAS La Credenza di Pergine – uno dei più grandi d’Italia, 300 famiglie divise in dieci sotto-gruppi, 150 mila euro di spesa annua – centra subito la questione: GAS significa sostanzialmente un’altra logica di acquisto.
Chi dà vita ad un GAS lo fa per scegliere prodotti dal basso impatto ambientale, ovvero biologici, ecologici e locali; ma anche socialmente sostenibili, perché realizzati in condizioni di lavoro dignitose, magari da piccoli produttori, che altrimenti resterebbero fuori mercato o verrebbero strozzati dai circuiti della distribuzione organizzata. Acquisti solidali, appunto.
I quali, a ben guardare, finiscono con l’impattare meno anche sul portafoglio: more e lamponi, sullo scaffale del supermercato, costerebbero dai 18 ai 23 euro al chilo, da Barbara i GAS li pagano un terzo. “E questo – spiega Giorgio – in genere è vero per quasi tutti i prodotti che acquistiamo, arrivando anche a risparmi del 50%. Ma non è certo per questo che un GAS si forma”. Una puntualizzazione, quest’ultima, che mi è stata fatta, con insistenza, da tutti i “gasisti” coi quali ho parlato. “L’acquisto – mi precisa Mario del GasGazér – non è altro che uno strumento per raggiungere altri obiettivi, primo fra i quali socializzare. Tra noi acquirenti e coi produttori”. Socializzare fino al punto di andare in azienda non solo per acquistare, ma anche per dare una mano: “Quest’anno – ci informa Barbara – alcune famiglie sono venute da me a fare l’auto-raccolta dei lamponi, e il valore dell’esperienza non s’è certo esaurito nel reciproco vantaggio economico che ne abbiamo tratto”.
Un rapporto molto speciale
In fondo, il rapporto che si crea col produttore è forse l’elemento che maggiormente distingue gli acquisti dei GAS da quelli fatti guardando dentro lo scaffale di un negozio. Conoscere il produttore diventa fondamentale per sapere come lavora, vedere coi propri occhi la genesi sostenibile di ciò che s’acquista, conoscere la persona cui appartengono le mani e le braccia che lo hanno realizzato.
“Quando acquisti, acquisti biologico anche tu, vero?”. E’ questa una delle prime domande che Antonio e gli altri membri del GasTone hanno posto a Massimo, quando siamo andati a trovarlo nell’azienda in cui alleva una cinquantina di vacche di razza Pezzata Rossa. Una domanda che può apparire inconsueta, ma non per un “gasista”.
“Sappiamo che ci sono già altri GAS che acquistano da lui, ma vogliamo conoscerlo di persona prima di comprare la sua carne”, mi spiega Antonio mentre ci inerpichiamo sullo stretto sentiero che conduce in località Coste, nel Comune di Cimone, fin dentro all’azienda di Massimo, alle cui spalle si innalza spettacolare il muro del Monte Cornetto.
Dopo un’esperienza finita male con la vendita di latte, dal 2000 Massimo alleva secondo i parametri del biologico. Il fieno per le vacche arriva dai suoi 50 ettari di pascolo, l’orzo lo acquista certificato biologico, d’estate gli animali si fanno sei mesi in malga: l’allevamento intensivo non abita qui. Massimo fa macellare non più di 20-30 vacche l’anno, che non superano mai i due quintali, contro i tre e mezzo cui arrivano quelle allevate in modo tradizionale.
Alla fine, dopo una visita di due ore, Antonio e gli altri del GAS decidono che Massimo diventerà loro fornitore. Non è solo (forse affatto) per via del prezzo stracciato che farà loro: 11 euro al chilo di carne mista, contro i 25-30 che costerebbe acquistarla in negozio. “Venite su voi a prender la carne – è l’allettante invito rivolto a fine visita da Massimo a quelli del GasTone – così potete scegliere pezzi e quantità; e se passate di sera, vi faccio fare un giro in càneva: ho del buon rosso da offrirvi”. Eccolo, il vero motivo della scelta di Antonio e dei suoi amici: il tanto ricercato rapporto umano, aggiunto alla consapevolezza di dare un contributo alla salvaguardia dell’ambiente.
“E’ proprio in virtù di questo rapporto che è falso dire che i GAS non danno garanzie ai produttori”. Andrea del GAS Rovereto risponde indirettamente alle argomentazioni di chi cerca di giustificare i bassi prezzi pagati dalla distribuzione organizzata ai produttori, in cambio di garanzie d’acquisti certi e duraturi che i GAS non darebbero (v. box). “Ci definiamo solidali proprio per questo – prosegue Andrea – vogliamo aiutare lo sforzo di chi s’impegna a produrre senza impatto sull’ambiente”. E non è un caso se produttori come Barbara e Massimo vendono soprattutto ai GAS.
“Se il produttore lo giustifica, si può arrivare anche a concordare insieme un aumento di prezzo”, ci fa sapere Giorgio del GAS La Credenza. “Ed accettiamo di acquistare anche prodotti esteticamente non bellissimi, che la distribuzione organizzata di certo scarterebbe”. Ma il rapporto non è sempre così accondiscendente. Ci sono alcuni requisiti su cui un GAS non transige, a costo di apparire rigido. Giorgio ci racconta della grande fatica che La Credenza ha dovuto fare coi dirigenti del casieificio di Fiavé per far sì che il grana biologico che acquistavano da loro non fosse spedito a Milano per essere confezionato, prima di tornare in Trentino per essere venduto. “E ad altri produttori – aggiunge Giorgio – abbiamo chiesto di rinunciare agli imballaggi che usano quando vendono ai negozi del biologico”. Anche questo è GAS: educare i produttori alla sostenibilità più piena.
GAS o GDO?
Alla fine della nostra inchiesta, il mondo dei GAS ci convince e ci affascina. Sorge però un dubbio. Fino a che punto è possibile sostituire la grande distribuzione organizzata (GDO) con un gruppo d’acquisto solidale? In altre parole, fino a che punto posso soddisfare i miei bisogni dentro un GAS, senza che mi sia necessario varcare la soglia di un supermercato o di un negozio?
“La domanda è mal posta”, mi stoppa Giorgio. “I GAS non possono sostituirsi alla distribuzione organizzata, perché sono due realtà che operano con una logica del tutto differente. Se ci si mette nella logica del consumo, allora la distribuzione organizzata è insostituibile, perché per consumare un supermercato va benissimo, è il luogo ideale. Ma se ci si mette nella logica dell’utilizzo, intesa come logica del limite, frutto della consapevolezza che le risorse, sia quelle naturali che quelle sociali, vanno conservate, allora un supermercato risulta decisamente insoddisfacente. Penso che, se ci si pone nella logica dell’utilizzo, un GAS possa soddisfare la gran parte dei bisogni primari del quotidiano”. Lo incalzo: più concretamente, questo cosa significa? “Significa – risponde Giorgio – che un GAS ben organizzato può arrivare a coprire pressoché tutti i bisogni in ambito alimentare. Al di fuori di tale ambito, ci si sta muovendo in modo sempre più incisivo: noi acquistiamo già detersivi e detergenti, adesso abbiamo trovato un produttore anche per il vestiario”.
E dove non arriva l’acquisto, può subentrare proficuamente lo scambio. Lo praticano con grande soddisfazione al GasGos di Arco, come ci fa sapere Francesca: “Ci scambiamo i vestiti per i nostri figli, e tra noi donne: la cosa è anche divertente. E poi gli attrezzi, gli elettrodomestici, i libri”. Non è un caso se proprio il GAS di Arco, la scorsa primavera, ha organizzato una settimana della decrescita: GAS non è solo acquistare, ma anche ridurre.
Per ora questi gruppi sono poco più di una nicchia: chissà se in futuro la nuova logica di cui si fanno portatori, così lontana da quella dell’economia di carta e di debito che sta crollando in questi giorni, non si rivelerà la sola in grado di garantire un futuro non solo alle attività di produzione e consumo, ma più in generale alla società e all’ambiente. Noi ce lo auguriamo.
La risposta della distribuzione organizzata
“Il nostro servizio è insostituibile” Ma c’è anche un’ammissione d’impotenza
Il vantaggio, sia per l’ambiente che per il portafoglio, deriva soprattutto da una cosa: saltiamo la distribuzione organizzata. Parola dei GAS e dei lori fornitori. Cosa rispondono i due attori principali della distribuzione organizzata in Trentino, Sait e Poli?
“Anche noi, 100 anni fa, siamo nati più o meno per le stesse ragioni: andare incontro al bisogno di acquistare a prezzi equi prodotti di qualità”. Faccio notare a Giorgio Fiorini, presidente del Sait, consorzio delle cooperative di consumo trentine, che oggi i GAS sembrano riuscire meglio nell’intento, poiché, a parità di qualità, i prodotti che acquistano costano meno, spesso molto meno. “Ciò si deve alla differenza sostanziale tra un GAS e un punto vendita: quest’ultimo paga personale per fornire il servizio, mentre in un GAS è tutto volontariato. Ma il volontariato non potrebbe mai funzionare nella distribuzione di tanti prodotti quanti ne distribuisce un punto vendita, né per servire lo stesso numero di persone”. Simile è il ragionamento di Mauro Poli, responsabile vendite dell’omonima catena di supermercati: “Ambiente caldo e accogliente in cui fare spesa, controllo rigoroso sulla qualità dei prodotti, il loro trasporto in punti vendita aperti 11 ore al giorno con personale a disposizione: sono tutti elementi di un servizio che ha dei costi, che i GAS non sostengono”.
D’accordo, ma che dire dei produttori? Perché la distribuzione organizzata li paga anche tre volte meno dei GAS? “Si tratta di un dato che può impressionare, ma non ci si arriva per speculazione, come molti pensano”. La risposta di Fiorini e Poli è analoga. “La distribuzione organizzata paga meno l’unità di prodotto, ma dà altre garanzie, che i GAS non possono dare: quelle di acquistare quantità elevate e certe, e per un lungo periodo”.
Resta fuori il discorso ambientale: in fondo, i GAS non nascono per ragioni economiche, ma per realizzare acquisti sostenibili ambientalmente e socialmente. La distribuzione organizzata cosa fa per andare incontro a una simile esigenza? “Intanto, anche noi sosteniamo, fino a che è possibile, la filiera corta” – ci fanno notare sia Fiorini che Poli – “E poi sui nostri scaffali, in misura crescente, sono in vendita prodotti biologici, ecologici e del commercio equo”. Poca roba, però, rispetto ai fatturati complessivi, spesso realizzati vendendo prodotti che vengono da molto lontano, e che non sono per niente verdi né solidali… “D’accordo, ma noi non possiamo rinunciare a venderli, perché la clientela ce li chiede, ed è lei che comanda”. E non si potrebbe fare qualcosa per orientarla, visto che i geni del marketing sono così abili a pilotare gli acquisti in un punto vendita? “Il cliente medio – osserva rassegnato Poli – ha un atteggiamento culturale poco attento all’ambiente, difficilmente contrastabile”. “La cooperazione di consumo trentina – aggiunge Fiorini – edita un mensile che spinge molto sull’acquisto sostenibile, ed è spedito nelle case di tutti i soci. Ma la sfida è impari: cosa possiamo fare contro colossi che investono anche il 10% dei loro fatturati per pubblicizzare prodotti poco o per nulla sostenibili?”.
Intervista a Francesco Gesualdi
"I GAS hanno un ruolo politico"
"I GAS devono concepirsi come una forza politica, non si devono accontentare di far bene il proprio orticello". Il monito è di Francesco Gesualdi, punto di riferimento per il mondo del consumo sostenibile italiano. Allievo di Don Milani e fondatore della Rete Lilliput, Gesualdi ha curato numerose edizioni di una fortunata Guida al consumo critico, ed è autore di diversi altri libri sul tema, tra cui Sobrietà e Manuale per un consumo responsabile, entrambi editi da Feltrinelli.
Francesco, in Trentino ci sono 10 GAS ai quali aderiscono oltre 500 famiglie. Un fenomeno in rapida crescita. Anche nel resto d’Italia c’è la stessa tendenza?
In effetti, in tutto il Paese negli ultimi anni i GAS si sono moltiplicati, in parte anche perché i media hanno cominciato a far luce sul loro mondo, in parte per la crisi economica e l’inflazione cresente. Il rischio è che in molti ci vedano solo un modo per risparmiare denaro. Ma noto che ogni GAS ha sempre al proprio interno uno zoccolo duro, motivato e consapevole, capace di aggirare le possibili derive utilitaristiche. E’ grazie a questa capacità che i GAS possono riuscire a giocare un ruolo politico.
Forse in questo senso può interessarti sapere che uno di quelli trentini è riuscito ad ottenere che un suo fornitore non spedisse il proprio formaggio a Milano per farlo confezionare, ma glielo vendesse per via diretta (v. articolo principale).
Ottimo esempio. Se i GAS hanno chiarezza d’intenti, e sono consapevoli delle loro responsabilità verso l’ambiente e verso la società, possono avere un ruolo attivo nel cambiamento dei modi di produrre.
Quest’influenza può esercitarsi anche sulla distribuzione organizzata? Da quello che ci hanno risposto i due principali attori del settore in Trentino (v. box), non si direbbe…
Il consumatore responsabile può influenzare anche la distribuzione organizzata. Certo, nel caso in cui si tratti di società di capitali, questo è più difficile e può avvenire solo per via indiretta. Nel caso della cooperazione di consumo, invece, il consumatore responsabile, se è anche socio, può cercare di influenzare per via diretta i consigli di amministrazione. Certo è che la cooperazione dovrebbe fare di più per il consumo sostenibile: mettere in vendita prodotti biologici non basta, se poi i fatturati si gonfiano grazie alla vendita di quelli che di sostenibile non hanno nulla.
I GAS non arrivano oggi a soddisfare tutti i bisogni primari del quotidiano, perché per alcune tipologie di prodotto non è semplice trovare l’alternativa sostenibile. Che soluzione vedi al problema?
Prendiamo il caso del tessile. A parte il fatto che oggi i GAS stanno trovando prodotti sostenibili anche in questo settore, non si deve dimenticare che la soluzione migliore è vestirsi con sobrietà. L’abito dovrebbe tornare ad essere concepito come un vero e proprio investimento, e non come un oggetto di cui disfarsi al primo cambio della moda. Questo vale in realtà per tutti i prodotti. La vera sfida per un GAS, a dispetto del nome, è proprio questa: ridurre gli acquisti all’indispensabile, per contribuire alla fuoriuscita dalla catastrofica economia della crescita che oggi domina il mondo.
GAS trentini ai raggi X
In tutto sono 10. Almeno quelli conosciuti. Già, perché quello dei GAS è un mondo spesso così informale da sfuggire ad ogni tentativo di censimento. Alla ReteGas nazionale (www.retegas.org) sono iscritti in 7. Guardando alle iscrizioni delle altre Regioni italiane, il Trentino risulta terzo come numero di GAS per abitante: uno ogni 73 mila. Un dato inferiore solo a quello di Toscana e Valle d’Aosta, a fronte di una media nazionale di uno ogni 257 mila abitanti.
Il territorio è ben coperto. Si va dal GAS di Arco per arrivare al GAS del Primiero, passando per Rovereto, Cadine, Trento (dove ce ne sono 4), Lavis, Levico, Pergine (dove ha sede il più grande, “La Credenza”, che però è divisa in dieci sotto-gruppi, sparpagliati per svariate valli, fino alle Giudicarie).
Il primo è nato nel 1999, a Trento. E’ poi diventato talmente grande da rendere necessaria una scissione in 4 parti. Sì, perché, a detta di tutti i “gasisti”, se un gruppo vuole mantenere forti i legami al proprio interno, è meglio che non superi le 30-40 famiglie. Quelle che aderiscono ai GAS trentini sono in tutto oltre 500, per un valore di spesa stimato in almeno 250 mila euro annui.
Gli acquisti sono concentrati soprattutto nel settore dell’alimentare, dove si compra dalla carne ai formaggi, alle uova, alla farina, alla pasta, al riso, all’olio, passando per frutta e verdura. I produttori coinvolti sono oltre 50. Quasi tutti operano in Trentino, ma il nostro territorio non fornisce tutti i prodotti: così, le arance si comprano in Sicilia, l’olio in Puglia, la farina, la pasta e il riso in Veneto e in Lombardia. Strappo alla regola del prodotto locale, dunque, ma con una clausola: da più lontano viene, meno se ne dovrà consumare. O meglio: utilizzare.