Rialzati, Sociologia!
La lacerante elezione del Preside a Sociologia: i contrasti personali, i gruppi di potere; ma soprattutto i problemi di una Facoltà che perde iscritti e docenti; e di una disciplina che annaspa nel suo compito, interpretare la società. Eppure all’estero la sociologia è molto quotata, e Trento è pur sempre la numero uno in Italia. Se ne può uscire in avanti?
Che un preside di Facoltà, dopo un primo mandato, si ripresenti per il secondo e venga sconfitto, è una cosa non comune; che questo avvenga attraverso uno scontro molto aspro, con scambi di e-mail durissime, fatte filtrare sulla stampa (alcune, non tutte per carità di patria) è ancora più anomalo. Se poi la cosa riguarda la prima Facoltà di Trento, la mitica Sociologia, che nel settore è anche da sempre la prima in Italia, bene, allora è il caso di interessarsene. Perché dietro le asprezze di un’elezione, come vedremo, c’è dell’altro. Che vale la pena di un approfondimento.
Dunque, i fatti. Mario Diani, docente ad Edimburgo di Scienze politiche e sociali, arriva a Trento con la legge sul rientro dei cervelli; qui fa una carriera rapidissima, diventa prima direttore di dipartimento e poi preside. Alla Facoltà cerca di dare uno scrollone, con piglio efficientista e decisionista. La cosa non piace a molti, e le accuse e contro-accuse, di promuovere gli amici o i parenti invece dei meritevoli, si sprecano. Comunque, quando si presenta per il secondo mandato, gli viene contrapposto Davide La Valle, docente anch’egli di Scienze politiche e sociali, che per sette voti lo sconfigge.
Lasciamo stare le miserie dei giochetti di potere, che pure sono importanti, e veniamo ai discorsi di fondo, che riguardano la Facoltà. La storica Sociologia di Trento risulta un po’ appannata, anche perché da tempo ha nuove concorrenti, a Bologna, a Milano, a Torino, e registra ogni anno una lenta, progressiva erosione di iscritti. E il dato non è solo quantitativo, ma anche qualitativo: si iscrivono sempre meno studenti dei licei, e meno studenti con voti di maturità elevati. Il fatto è in parte controbilanciato dalle contemporanee iscrizioni di giovani (e meno giovani) non freschi di diploma, che scelgono Sociologia (e spesso anche frequentano) dopo o in contemporanea con un’esperienza lavorativa; ma il dato globale non può non essere un vigoroso campanello d’allarme. La prospettiva di diventare una Facoltà di serie B, frequentata da chi non ha grandi aspirazioni, non può non impensierire.
E’ in questo contesto che si situa il rinnovamento proposto da Diani. Che propugna una maggior internazionalizzazione, e un’apertura a nuovi ambiti di studio attraverso la centralità di materie complementari: storia, scienze politiche, relazioni internazionali. Dietro Diani viene vista l’ingombrante presenza di Sergio Fabbrini, docente dai vasti riconoscimenti sovranazionali, anch’egli di Scienze politiche, direttore della nuova e già prestigiosa Scuola di Studi Internazionali.
Da qui la reazione dei sociologi puri. Non è che stiamo abbandonando la Sociologia intesa come disciplina? Che Trento stia per perdere la sua specificità? Che si risponda a un momento di difficoltà con un’operazione diversiva, abbandonando il campo e spostandosi su altre discipline, solo perché più alla moda?
Partiamo da un interrogativo di fondo: non è che, prima ancora della Facoltà trentina, sia in crisi la Sociologia intesa come disciplina? In crisi perché non riesce a interpretare la società? Non è che i suoi strumenti siano inadeguati o comunque ritenuti tali?
E’ chiaro: una disciplina che si propone di studiare la società, se ha strumenti spuntati, se fornisce risultati discutibili, viene presto relegata nell’aereo campo delle teorie inutili. Gli studi rimangono nei cassetti, i politici ne fanno a meno; e gli studenti vanno altrove. E in effetti, oggi, uno studente brillante, che vuole impegnarsi, a meno che non sia proprio un patito della sociologia, è più attirato da altre discipline che sembrano in grado di cambiare il mondo – facciamo un esempio: biotecnologia – che non quelle che paiono vuote chiacchiere con poco costrutto. "Il calo delle iscrizioni a Sociologia è un dato nazionale, dovuto alla minor rilevanza dei nostri argomenti di ricerca" ammette, impietosamente, il prof. Giorgio Chiari, ordinario di Scienze politiche e sociali.
"Sul piano internazionale la sociologia non è in crisi, anzi sta dando i parametri per interpretare i nuovi cambiamenti. Certo, altre discipline, come Scienze politiche o Economia sono andate più avanti, perché hanno seguito le attuali, decisive trasformazioni internazionali (la mitica globalizzazione). Ma i sociologi americani, o gli europei come Zygmunt Bauman o Anthony Higgins forniscono studi decisivi" sostengono i nostri interlocutori. Il problema è la sociologia italiana.
La quale non riesce a interpretare la società. Ci sono i singoli che producono lavori apprezzati sui loro argomenti (Chiara Saraceno a Torino sulla famiglia, o Marzio Barbagli a Bologna sulla criminalità, e altri a Trento, come vedremo), ma l’insieme della disciplina arranca. Non è un caso che sui giornali gli editorialisti siano tutti docenti di Scienze politiche, e l’unico sociologo, Francesco Alberoni, componga delicati elzeviri sull’aria fritta. "Non si studiano i temi oggi centrali: la comunicazione ad esempio – ci dice Piergiorgio Rauzi, anch’egli docente a Trento – E proprio qui da noi, con l’apertura di un innovativo corso di laurea su una disciplina tanto importante quanto delicata come le Biotecnologie, dalle grandiose e potenzialmente anche devastanti implicazioni sociali, noi sociologi cosa abbiamo da dire? Niente".
"Il nostro studio si è molto specializzato, frammentandosi – aggiunge Chiari – Basta guardare i titoli delle tesi, dei dottorati: sono temi ipertecnici, titoli ermetici, rigorosamente per addetti ai lavori. Ma l’ipertecnicismo è una risposta tutta difensiva, quando non si sa rapportarsi alla società".
"A questo punto ho dei dubbi su tante nostre metodologie che come risultato danno il festival dell’ovvio" conclude Rauzi.
Come mai questa deriva? Una delle interpretazioni più frequenti fa risalire l’isterilimento della sociologia italiana alla sua frattura in due correnti, laica e cattolica, l’una contro l’altra armata; e poi divenute centri di potere, con il reclutamento su rigide basi di appartenenza: io promuovo il mio, tu promuovi il tuo; dove il promosso non è il più bravo, ma il più fidato.
Degli effetti di questa situazione ce ne eravamo accorti, nel nostro piccolo, pure noi. Ogni volta che abbiamo svolto un’inchiesta su qualche aspetto della società trentina, dagli immigrati ai gay, dai poveri ai divorziati, abbiamo cercato in Università dati, studi, interpretazioni, trovandovi però poco o niente. In un’intervista del lontanissimo 1985, l’allora preside Guido Romagnoli ci diceva che si aspettava che qualche politico gli chiedesse di simulare gli effetti di una legge, per esempio "di simulare gli effetti di una legge sulla formazione professionale in un mercato del lavoro come quello trentino; io questa simulazione gliela posso fare". Il che avrebbe permesso non solo di calibrare la legge, ma anche di verificare poi, nella realtà, la giustezza della metodologia sociologica: "Un modo concreto di fare una verifica. Ma nessun politico mi fa questa richiesta". Ecco, dopo 23 anni ci sembra si sia rimasti fermi: i politici non chiedono e i sociologi non verificano (né ricercano e verificano per conto loro). E la disciplina arretra.
Non condividono questi rilievi il nuovo preside Davide La Valle, né Carlo Buzzi (per alcuni giorni proposto dal rettore Bassi come possibile terzo candidato, per evitare lacerazioni nella contrapposizione tra Diani e La Valle), e riportano tutta una serie di studi sulla realtà trentina: di Bruno Bertelli sulle devianze (tossicodipendenti e alcolisti), di Giuseppe Sciortino sull’immigrazione, o le ricerche sulle culture giovanili, sull’impatto sociale (cioè le reazioni dell’elettorato) di fronte al voto elettronico, o l’Osservatorio, diretto da Antonio Schizzerotto, per la Valutazione delle politiche pubbliche, o l’ufficio congiunto Scuola-Università per l’orientamento degli studenti delle superiori, il Centro sulle Differenze di Genere... "...e stiamo lavorando a una convenzione con l’Ufficio Statistica della Provincia per pubblicare rapporti periodici sulla realtà sociale del Trentino".
Insomma, di tutto e di più. "Evidentemente c’è un grave problema di comunicazione – aggiunge il nuovo preside – Probabilmente bisognerà agire in un’ottica di sistema: far sì che questi lavori vengano ricondotti all’interno della Facoltà in maniera da potersi presentare complessivamente, come agenzia che lavora sul e con il territorio".
"La ricerca empirica è fondamentale – aggiunge Buzzi – E qui si può operare sfruttando le potenzialità del contesto. Con ricadute sia dal punto di vista accademico (trovare un riscontro empirico alle teorie) sia da quello del territorio (conoscere le proprie dinamiche interne)".
E’ una difesa d’ufficio? Il preside ci tiene a sottolineare come possa essere "profondamente sbagliato diffondere l’idea di una Facoltà in crisi. A Trento siamo i primi in Italia, secondo tutte le statistiche e tutti i centri di valutazione".
Il che è vero. Come è vero che questa posizione non è dovuta solo, come sussurrano i maligni, alla qualità dei servizi per gli studenti, ma anche alla valutazione sulla ricerca e sui docenti. D’altra parte, però, è innegabile una diaspora, nel corso degli anni, di molte delle intelligenze più brillanti, Saraceno emigrata a Torino, Livolsi e Fabris all’ IULM San Raffaele, De Lillo a Milano Bicocca, Barbagli a Bologna... e ancora Renato Mazzolini recentemente trasferitosi, sbattendo la porta, da Sociologia a Lettere.
Un disagio quindi c’è, ed è evidente. Con due cause: la crisi della disciplina ("La sociologia sta attraversando in tutta Italia un periodo di riflessione" ammette La Valle); e le beghe interne dovute al fronteggiarsi dei due gruppi cattolici\laici. Non a caso, oltre al – ricomponibile - dilemma Scienze politiche o Sociologia, il punto di frattura attorno al quale si sono svolti i contrasti sull’elezione del preside è stato uno scontro di potere: se accogliere tra gli accademici trentini Cleto Corposanto, ex lottatore continuo, noto ai nostri lettori di lunga data come direttore di TVA e in quella veste zerbino del potere e pasdaran di Mario Malossini, poi riciclatosi come cattolico e portaborse del cattolicissimo preside Antonio Scaglia, da questi, attraverso arditi equilibrismi, promosso ordinario all’Università di Catanzaro, da questa scaricato, imposto quindi a Trento, e qui respinto dal preside Diani. Al quale viene fatto pagare lo sgarro.
Un brutto ambiente, insomma. Anche perché la divisione laici\cattolici fa ridere (o forse piangere), poiché non rispecchia, se non in seconda istanza, indirizzi culturali, e riflette invece gruppi di potere.
"La Facoltà deve proseguire nel suo percorso di internazionalizzazione, e la cosa non è in alternativa allo studio della realtà locale. Non è questo il problema – afferma il nuovo preside La Valle – In quanto alle divisioni laici/cattolici, si tratta di vecchie etichette riferite a un sistema politico che non c’è più. Se invece si tratta di gruppi di potere, di cui io non faccio parte, spero ardentemente che si lavori assieme senza dividersi; e se ci si dovesse dividere, lo si faccia su discriminanti di pensiero, non di posti da occupare".
"E’ una frattura da superare – concorda Chiari – Anche perché, tutti, abbiamo di fronte un compito: riprendere in mano una disciplina che ora è troppo spezzettata e rischia di essere inadeguata".
Speriamo che si dia corpo ai buoni propositi.
Anche perché di adeguate conoscenze sociologiche avrebbe tanto bisogno tutta la società; e a Trento serve una Facoltà che sia pienamente di serie A, non la prima del campionato di serie B.