In cerca di giovani
Servizi sociali per anziani fra meriti storici e nuove difficoltà.
Il signor Nicola ha 94 anni, ogni giorno esce di casa alle due del pomeriggio, prende due autobus e arriva in via Azzogardino, dall’altra parte della città, per raggiungere il centro sociale di quartiere "Giorgio Costa". La signora Franca osa di più: abita a Sasso Marconi e tutti i giorni prende prima un treno e poi un autobus per incontrare i suoi amici del Centro Costa: al suo posto al tavolo della briscola non rinuncerebbe per niente al mondo. Basterebbero queste piccole informazioni sulla vita di due anziani bolognesi per dare un’idea dell’importanza dei centri sociali nella vita di relazione di tante persone di quell’età.
Eppure al Centro Costa succede molto di più, l’agenda è piena ogni giorno della settimana: si parte lunedì con le lezioni dell’università per anziani "Primo Levi", martedì ci sono i corsi di ginnastica, sabato l’ufficio di conciliazione di "CittadinanzAttiva", la domenica mattina il corso di Tai Chi.
In mezzo, riunioni del gruppo archeologico, corsi di italiano per stranieri e di storia sul Novecento, lezioni di tango e balli popolari. E poi ogni pomeriggio l’intoccabile briscola e sabato sera il liscio.
Per capire come si fa a tenere in piedi una baracca tanto ricca di iniziative abbiamo parlato con Franco Barbi e Viviana, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione di promozione sociale, ma soprattutto colonne del Centro Costa.
"Io vengo ad aprire alle 7 - racconta Franco - mi guardo un po’ intorno, se c’è da fare delle pulizie, sistemare il bar, fare rifornimenti. Poi arriva anche Viviana e prepariamo la giornata. Io sono qui da 13 anni, Viviana da 6; siamo in sintonia, è stata questa coesione a permetterci di portare avanti tante iniziative tra mille difficoltà".
L’ottima sinergia tra Franco e Viviana pare non essere più sufficiente a reggere gli impegni di gestione del centro. Al ‘Costa’, come in altre realtà simili, si assiste a una vera e propria crisi di vocazioni: il numero dei volontari va calando, non ne arrivano di nuovi e se qualcuno viene a mancare c’è il rischio che delle attività si fermino.
"Il pomeriggio arrivano quelli che io chiamo i soci passivi, che usano questo spazio senza impegnarsi, ma la funzione del centro è pure quella di creare relazioni, di fare uscire le persone di casa. Per questo creiamo delle opportunità d’incontro anche con altre associazioni per fare in modo che non sia solo un ghetto per i soci del centro".
Il Centro Costa è un bello spazio, su due piani, bar e sala biliardo a piano terra e al piano superiore una sala che quando non ospita altre attività si ricopre di tavolini col panno verde. All’esterno un giardino e una grande cucina ricavata in un prefabbricato. Sono molte le associazioni che bussano alla porta di via Azzogardino per avere uno spazio a disposizione, ma nessuno è pronto a dare una mano nella gestione. Riguardo a questo scarso ricambio di forze, Viviana ha una sua teoria che spiega la ritrosia dei pensionati di oggi a impegnarsi nel volontariato: "Chi è andato in pensione nel 1980 e veniva da un lavoro cominciato nel dopoguerra ha conosciuto una coesione sociale e un modo di stare insieme diversi, per cui queste persone traducevano nei centri sociali gli incontri avuti sui posti di lavoro o in altre attività collettive. In poche parole, si continuavano a fare le cose che si facevano prima della pensione, come l’attività politica o sindacale. Oggi, 27 anni dopo, chi va in pensione ha avuto una vita completamente diversa sia sul lavoro sia per le relazioni. Ad esempio, chi viveva in caseggiati con cortili comuni si incontrava e aveva voglia di fare delle cose insieme, adesso invece stiamo tutti in casa nostra. Diventa difficile pensare di fare qualcosa per l’altro".
Gli iscritti del Costa sono 570 (267 uomini, 303 donne), 333 dei quali sono nati tra il 1921 e il 1940 e solo 20 tra il ’71 e il ’90. E nello schedario minuziosamente tenuto da Franco, alla voce "soci attivi" si legge: 41.
Secondo Viviana per superare questa fase critica bisogna puntare sui giovani. Quasi un’eresia, parlando di centri sociali di quartiere: "Parlavo con una persona di un altro centro, mi diceva che da loro andava benissimo e poi scopro che in quel bar lavorano tre novantenni. Quello non è un centro che va bene, perché tra una settimana rischi che il bar lo chiudi. Bisogna fare il salto, saltare i sessantenni di oggi, coinvolgere direttamente i trentenni che hanno bisogno di luoghi di aggregazione, spiegando loro che qui ci sono spazi a basso costo, ma in cambio c’è bisogno di impegno. Così magari ricostituendo l’abitudine a stare insieme è possibile che queste persone a 60 anni abbiano voglia di fare del volontariato. Questa è una cosa che impari quando sei ragazzo".
Un’altra soluzione ipotizzata è affidare una parte della gestione delle attività del centro ad altre associazioni o cooperative, ma per fare questo bisogna cambiare la convenzione stipulata col Comune. E il "Costa" si è già attivato in questo senso. "L’idea è di lasciare in mano alla nostra associazione di promozione sociale la programmazione delle attività, le politiche del centro, e affidare a una cooperativa o ad un’associazione in convenzione la gestione dei bar o delle pulizie, a patto che sia in linea con le politiche del centro e che non agisca a scopo di lucro".
A sentire Franco e Viviana, quello del centro sociale di quartiere è un modello in crisi, ma a vedere la sala della briscola piena di gente non si direbbe. E’ evidente che luoghi come questo, tra luci e ombre, comunque svolgono una funzione sociale, per lo meno rappresentano una scialuppa di salvataggio per molti anziani.
Filippo ha più di 70 anni, è andato in pensione nel 2000 e dopo qualche mese a casa è stato spinto da sua moglie a frequentare il centro ‘Costa’. "Lo volete? E’ stata mia moglie a parlare col presidente del centro - racconta Filippo - e così sono venuto a dare una mano qua come segretario amministrativo. Raccolgo i soldi dei corsi di ginnastica, mi occupo delle tessere, ecc. E’ un modo per investire un po’ di tempo. Se no a una certa età che si fa? Me ne vengo qua, vedo come giocano a biliardo, che a me piace molto, solo che io giocavo a stecca e qua si gioca solo a boccette, penso anche per una questione di spazio: per la stecca ce ne vuole di più".
Filippo ha conservato intatto il suo accento napoletano, anche se è arrivato a Bologna nel ’66, dopo 18 anni passati nella Marina Militare. Di Napoli rimpiange ancora le amicizie, la socialità. "Amicizie a Bologna? E’ impossibile. Con qualcuno che frequenta il posto c’è un rapporto di cordialità, ma non una vera amicizia. Qua arrivano tutti alle due del pomeriggio e giocano a carte fino alle sei e mezza ed è difficile inserirsi in un tavolo, le coppie sono già tutte formate".
Così come gli altri centri sociali di quartiere, il "Costa" non è un riferimento solo per gli anziani, ma, grazie ai prezzi bassi del bar, è frequentato anche da persone senza dimora o in stato di disagio sociale. I conflitti tra i due tipi di frequentatori del luogo non mancano, tanto che in via Azzogardino hanno pensato di dotarsi di un mediatore sociale. Da questa esigenza è nato un progetto in collaborazione con "Piazza Grande" e il Quartiere Porto che coinvolge il Centro Costa e il Saffi.
"E’ stato necessario rendere l’ambiente tranquillo. - dice Viviana - Io ci ho messo 3 anni per capire che con un ubriaco è inutile arrabbiarsi e urlare, si ottiene molto di più imparando a conoscerlo. Così fa Mauro, il mediatore di ‘Piazza Grande’, che ci gioca a carte, passa del tempo con loro e impara a capirne anche la psicologia. Del resto, se chiudono i centri d’accoglienza diurni, la gente sta per strada o nei posti come questo, allora è necessario che ci sia una persona che ti faccia conoscere queste persone e ti suggerisca come comportarsi con loro, e che faccia da mediatore anche con i servizi sociali".
Nonostante attraversino una fase critica, i centri sociali di quartiere rappresentano ancora un modello efficace di conoscenza e di intervento sul territorio. Negli ultimi anni a più riprese il centro ‘Costa’ ha collaborato a progetti di ricerca sugli anziani del quartiere e sulle manifestazioni di disagio sociale, producendo anche alcune pubblicazioni.
"Sono venute in visita da noi anche delle delegazioni giapponesi che studiano il sistema dei servizi sociali bolognesi; in un libriccino giapponese c’è scritto che chi si interessa di sociale e visita Bologna deve vedere il Centro Costa. Ecco, la cosa inspiegabile è che arrivano dal Giappone, mentre dalla facoltà di Sociologia o di Scienze della Comunicazione, che è qui a due passi, non è mai venuto nessuno a trovarci. Eppure potrebbe essere uno scambio importante per noi e per loro".