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QT n. 15, 15 settembre 2007 Monitor

L’Africa danza l’Occidente, con ironia

Oriente-Occidente 2007: un'edizione poco "danzata", caratterizzata soprattutto dalle presenze africane, sempre più consapevoli della propria vitalità culturale.

Bisognava attendere l’ultimo giorno, con l’esibizione della compagnia capeggiata da Rafael Bonachela, per godersi un assaggio di pura danza contemporanea, senza troppi drammi né domande esistenziali. Ed i più pazienti sono stati effettivamente premiati da un’esecuzione ineccepibile quanto coinvolgente, in grado di ripagare chi, fino a quel momento, mormorava di un’edizione un po’ sotto tono, connotata sì da qualche colpo di scena (come il pavimento antigravitazionale di Colours may fade with friction o il nano sadomaso di Frenesí), ma tutto sommato poco "danzata".

“Irony of Fate”, con la compagnia di Rafael Bonachela.

Vale soprattutto per le compagnie occidentali e, in primis, per i guests di Sasha Waltz, nome di punta del teatro-danza tedesco, che ha portato a Rovereto uno degli spettacoli più attesi e per certi versi sorprendenti del Festival. In una stanza a forma di scatola aperta e capovolta verso il pubblico, ha preso vita il lento e volutamente monotono svolgersi di due esistenze parallele, accomunate da un incomprensibile linguaggio fatto di versetti e snervanti mugugni, accompagnati da qualche sbadiglio da parte del pubblico. L’iniziale stupore dovuto all’ambientazione verticale della scena lascia infatti velocemente spazio alla noia, registrando parecchie defezioni tra gli spettatori meno preparati all’insostenibile staticità del teatro contemporaneo.

A tratti più brioso, anche se inserito in un contesto altrettanto desolante, il secondo lavoro proposto dalla compagnia tedesca, Anything Else, dove gli squallidi bagni di una fatiscente stazione contemporanea diventano tutto d’un tratto il set televisivo per uno sketch da "Gioco delle coppie".

Decisamente più movimentati, anche se fortemente penalizzati dalla tediosità del già visto, i lavori dei coreografi italiani Simona Bucci e Luciano Padovani: nel complesso un po’ banali anche se indubbiamente connotati da una ricerca espressiva profonda, che non riesce però a soddisfare le aspettative di un pubblico fattosi sempre più esigente e in cerca di emozioni forti. Si salva invece proprio grazie ai consigli di un’attenta audience di stagisti/danzatori il duo Abbondanza-Bertoni, con lo spettacolo A scuola di prove, esito finale di un laboratorio coreografico che per tutta l’estate ha animato il Teatro alla Cartiera. Si tratta della prima tappa del progetto Poiesis che, dopo l’incursione nelle atmosfere cupe della tragedia classica, segna il ritorno della coppia ad un teatro-danza più leggero ma allo stesso tempo più consapevole delle proprie dinamiche, in un percorso che dall’anatomia del gesto si rigenera nell’ininterrotto fluire del movimento. La leggerezza è anche alla base -o meglio, al vertice- dell’esibizione aerea proposta dalla Compagnia Retouramont nella splendida cornice naturale di Arte Sella: movimenti delicati e sinuosi in grado di fondersi alla perfezione con le voci vagheggianti del gruppo Sanacore, in una performance di sicuro effetto poetico.

Tinte forti e a tratti violente invece per la compagnia colombiana L’Explose, guidata da Tino Fernández, che ha messo in scena due spettacoli tecnicamente semplici ma di grande impatto emotivo, tesi a smascherare l’incapacità relazionale dell’individuo contemporaneo, che sfocia troppo spesso nella violenza sugli altri o nell’autodistruzione. Danza quindi come sfogo, ma anche come possibilità di riappropriarsi di se stessi per affermare la propria individualità, seppur nel dialogo con le altre culture: questo il messaggio della coreografa afro-antillana Chantal Loïal, che con la sua ironia e la sua gioia di vivere ha portato una sferzata di allegria grazie alla sua rumorosa parata tra le vie e le piazze cittadine, animate negli ultimi giorni anche dagli scatenati musicisti dell’École des Sables.

E veniamo infine all’Africa, vera protagonista della ventisettesima edizione di un Festival che ha tentato di sviscerarne vari aspetti ed ambizioni, tra cui emerge forte la voglia di farsi apprezzare per quello che si è e che non si vuole abbandonare, neppure dopo viaggi difficili e drammatici come quelli narrati dall’algerino Ali Salmi e dai ballerini del Burkina Faso.

Colpisce in tutte le esibizioni delle compagnie africane la perfetta fusione tra danza, musica e voce, connotata da un crescendo di ritmi che spesso trascendono il reale per elevarsi in una sfera rituale estatica, dove sono altre forze a muovere i danzatori, come nelle esibizioni dense di suggestioni voodoo di Koffi Kôkô, autore di uno degli spettacoli in assoluto più apprezzati dal pubblico. Africa che, in un processo di riaffermazione sempre più consapevole della propria identità e della propria vitalità culturale guarda con crescente ironia ad un Primo Mondo imprigionato dai suoi vuoti cerimoniali in giacca e cravatta, sbeffeggiato in maniera più o meno evidente nei lavori di Kôkô, Acogny e Serge-Aimé Coulibaly. Quasi un monito a rammentarsi che, come ha affermato Aime nel primo incontro del fortunato ciclo di conferenze Mindscape/Landscape, "l’altro" non sono necessariamente loro ma possiamo benissimo essere anche noi.