Il Trentino e le politiche per la salute
DS e Margherita litigano; e intanto le esigenze sanitarie dei cittadini vengono ignorate.
L’avvicinamento al rinnovo del Consiglio Provinciale nel prossimo autunno apre un nuovo conflitto nel centro-sinistra trentino. Il terreno fertile per lo scontro è probabilmente dovuto alla debole presenza dell’assessore provinciale, il diessino Remo Andreolli, strenuamente impegnato nel ruolo di segretario di partito e nella impervia e confusa costruzione del Partito Democratico (di fatto in Provincia fallita su ordine di Dellai). L’assessore sembra ormai seguire solo indicazioni e obiettivi che provengono da via Degasperi, la sede dell’Azienda Sanitaria e aver abdicato al dovuto ruolo di indirizzo proprio della politica.
A questa debolezza si somma il carattere dell’assessore, incapace di accogliere critiche e di aprire un confronto costruttivo con i territori, i comitati ed "il comune sentire" della popolazione.
Il governatore Dellai ha giocato su quest’ultimo aspetto per portare i DS in un nuovo tranello. In presenza di una proposta dell’assessore strettamente tecnica (praticamente segregata, tenuta nascosta alle comunità di valle, ai cittadini, ma perfino alla giunta provinciale), poco concreta e priva di linee di indirizzo forti, il presidente e la Margherita hanno presentato un disegno di legge altrettanto demagogico. La Margherita trentina vorrebbe riconsegnare tutte le decisioni in materia di politiche per la salute all’ambito politico. Il percorso ci riporterebbe agli anni ’90, in una logica di contrattazione diretta con i territori più forti e con gli ordini professionali. Questi sono percorsi che non portano a rispondere efficacemente ai bisogni dei cittadini, ma ci fanno cadere nel clientelismo e nella difesa delle solite corporazioni.
Andreolli ha scelto la strada opposta: annulla il ruolo del politico per investire l’Azienda Sanitaria non solo della gestione, ma anche del ruolo di indirizzo delle politiche sanitarie. In questo caso l’Azienda vive (come del resto già accade oggi) come un corpo a sé stante: la parte dirigenziale amministrativa di via Degasperi, ascoltati i pochi medici amici, decide come e dove attuare politiche di risparmio e di investimento.
All’assessorato spetta solo il compito di costruire la cornice e trovare le risorse. Ecco quindi, come già accaduto nel Piano Urbanistico Provinciale, trionfare termini forti e da tutti condivisi: equità, qualità, efficienza, prevenzione, partecipazione… Parole che si rincorrono e si autoalimentano, ma quando poi si va a vedere si trova il vuoto.
I primi limiti li troviamo nell’analisi della situazione: in Trentino le patologie più diffuse e ad alto indice di mortalità sono identificate in quelle cardio-vascolari, nei tumori, nell’alcolismo.
Ma non si trovano dati disaggregati: per i tumori, ma non solo, sarebbe interessante conoscerne le tipologie e come sono diffuse sui diversi territori. Non vengono citate le patologie tiroidee che invece sappiamo diffuse in modo allarmante, la sofferenza psichica è appena accennata, come pure l’entità dei disturbi all’apparato respiratorio.
In assenza di questi ed altri dati, non si capisce come si possa arrivare a definire un Piano Sanitario, o cercare la condivisione delle scelte presso gli amministratori dei territori o gli operatori del settore.
Al cittadino vengono a mancare le fondamenta necessarie alla comprensione del piano stesso. A questo punto l’inno alla partecipazione che troviamo nella proposta Andreolli perde ogni senso.
In mancanza di questi dati risulta anche impossibile raggiungere un altro degli obiettivi strategici del piano: la prevenzione, come pure la ricerca delle cause di morbilità. A meno che questa assenza di informazioni non sia voluta, una scelta dell’Azienda: qualora questa ipotesi fosse vera, risulterebbero giustificati gli allarmi e le proteste che vengono dai territori, o che sono solo sussurrate da decine di medici che ormai sono privati dall’Azienda stessa e dall’assessore perfino del diritto di critica e di opinione.
Il Piano individua alcuni obiettivi prioritari: gli investimenti necessari per arrivare all’eccellenza di prestazioni con la partenza del primariato di neurochirurgia e della protonterapia, il consistente investimento di riqualificazione strutturale dell’ospedale Santa Chiara, la progettazione del nuovo ospedale del Trentino, sempre a Trento e il trasferimento delle prestazioni di Riabilitazione e Fisioterapia nelle RSA.
Non una parola viene spesa su come abbattere due problemi cronici della sanità trentina: la carenza di personale medico, tecnico ed infermieristico e le liste di attesa ormai giunte a livelli inconcepibili. Mentre la politica trentina discute di territori (autonomia, responsabilità da trasferire dal livello centrale alle periferie e ai sindaci) si propone una severa politica di accentramento delle prestazioni sanitarie. Le scelte vengono giustificate con il perseguimento degli obiettivi del risparmio economico e delle risorse umane, con la necessità di fornire all’utente condizioni di equità e di eccellenza nelle prestazioni. Non vi è dubbio che questi obiettivi siano da tutti condivisi, ci mancherebbe, come del resto non si può pretendere che gli ospedali periferici eroghino risposte a tutte le patologie o ad alte specializzazioni. Ma non è possibile ridurre il paziente ad entità numerica, ad un banale conto bancario trasferibile ovunque. Il documento dell’assessore (o dell’Azienda sanitaria?) tralascia l’essere umano, le sue emozioni, le sofferenze, gli affetti. Non si sofferma sulla complessa morfologia del Trentino: Pinzolo o Canazei distano più di 100 chilometri dal capoluogo e nei periodi ad alta intensità turistica il traffico paralizza ogni tentativo di mobilità: i pazienti e gli stessi parenti vengono così costretti a sopportare pesanti sacrifici economici, perdita di tempo specialmente per malattie che abbisognano di cure lunghe nel tempo (tumori, ma non solo). Se attuato il disegno dell’assessore, dalla periferia vengono anche tolte professioni e lavori di alta qualità, ma questo, per l’assessore sembra essere un aspetto secondario se nella delibera di Giunta Provinciale 1061 del 25 maggio 2007, quella che declassa i laboratori di analisi delle periferie da strutture complesse in strutture semplici e li impoverisce di prestazioni, è arrivato a scrivere: "Per potenziare nelle due sedi ospedaliere ( Trento e Rovereto), attività più specificatamente riconducibili alla intelligenza dell’uomo rispetto ad attività ove possa essere sufficiente una prevalente intelligenza delle macchine...".
E’ una frase terribile e purtroppo scritta da un assessore che dice di rifarsi alla cultura politica della sinistra. Il disegno è poi pericoloso perché, qualora realizzato, allontana il medico di base da un rapporto diretto con i tecnici clinici, siano questi di laboratorio o di radiologia, quando si è in presenza di diagnosi dubbie o di dati di difficile comprensione e lettura: l’accentramento delle diagnostiche non favorisce certo la comprensione e la crescita dei medici che operano sul territorio, si massifica il paziente, ma si massificano anche le informazioni.
La carenza principale di questo piano sta anzitutto nella mancanza di un’analisi delle situazione di fatto e nell’eccesso di poteri che vengono ancora affidati all’Azienda Sanitaria. L’altro aspetto, più comprensibile in un periodo che ci sta portando nel cuore delle elezioni, ma altrettanto preoccupante, riguarda la secca previsione di investimenti nelle grandi infrastrutture (nuovo ospedale o alte specializzazioni) senza nemmeno provare ad allacciare rapporti con ospedali a noi vicini che già dispongono di queste prestazioni, come Verona, a Bolzano o Innsbruck. I problemi vissuti dai cittadini sono ben altri: le liste di attesa insostenibili, l’assenza e l’umiliazione dei dipendenti di Riabilitazione e Fisioterapia, i Pronto Soccorsi intasati e privi di spazi, ambulatori fatiscenti, centri di trasfusione o prelievo che fanno sostare cittadini e pazienti sui corridoi, nella più totale assenza di privacy, la prevenzione e l’informazione sui territori praticamente assenti.
Sembra di essere in presenza di un disegno preciso, anche se mai esplicitato: invitare il paziente a ricorrere alle prestazioni dei privati, ad assumersi i costi delle malattie, ad incrementare la diffidenza verso le prestazioni offerte dalla struttura pubblica. La buona volontà e l’impegno del personale in servizio non sembrano più in grado di contenere un tale insieme di disservizi. Ne è testimonianza il successo della raccolta di firme promossa dalla sinistra della valle di Fiemme a difesa dell’ospedale locale: per la prima volta spontaneamente decine di cittadini si sono recati nei comuni o presso l’ospedale per sostenere la petizione. Oppure quanto accaduto durante l’estate: più ospedali hanno dovuto ridurre i posti letto (Cles specialmente) perché alcuni reparti erano al collasso causa la carenza di personale.
Non c’è dubbio: se il centro-sinistra trentino va realmente alla ricerca del consenso e della partecipazione sulla costruzione delle politiche per la salute è venuto il momento di fermare le bocce e riprendere un’analisi più approfondita della situazione che vive il nostro territorio. Non tanto partendo, come indicano Dellai e Andreolli, dai sindaci, ma investendo e coinvolgendo tutti gli operatori e chi dimostra reale interesse sull’argomento. I sindaci sembrano impegnati in tutt’altri settori: in valle di Fiemme e Fassa un solo comune, su iniziativa del gruppo di sinistra, ha potuto almeno accennare una discussione in materia di sanità: Cavalese. Chi ha assistito al confronto ha potuto rendersi conto del misero livello di interesse e coinvolgimento degli assessori: è stato più il fastidio che hanno dimostrato che il contributo che hanno offerto alla loro valle.