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QT n. 13, 30 giugno 2007 Monitor

A Trento e a Rovereto Maurice Denis & Co.

Due mostre sul simbolismo: di Maurice Denis al Mart (prima mostra italiana) e degli artisti del Grande Tirolo (peraltro forse più influenzati dalla secessione viennese) a Palazzo delle Albere.

Approda al Mart di Rovereto (fino al 25 settembre) la prima mostra italiana dedicata al maestro simbolista Maurice Denis (Granville, 1870 – Saint Germain en Laye, 1943). Il percorso proposto offre un’analisi compiuta su questo poliedrico artista, arcinoto per l’attività pittorica ma aperto anche all’esperienza della fotografia, della grafica, dell’illustrazione e non da ultimo delle arti applicate. Accanto a Vuillard e Bonnard, conosciuti sui banchi della celebre Académie Julian, Denis diede vita al gruppo dei Nabis, distinguendosi presto per le sue visioni misticheggianti e per la sua trasfigurazione spirituale del dato reale, frutto di una sentita adesione al cristianesimo, ben evidente in opere come Mistero Cattolico (1889) e Cristo verde (1890). Una spiritualità che talvolta tende all’astrazione, sebbene il linguaggio prediletto sia quello di un segno grafico teso all’arabesco, al decorativismo prezioso ed elegante.

Maurice Denis, "La dormeuse au bois magique" (1892).

I modelli dell’arte cristiana spinsero Denis anche alla realizzazione di opere di più grande respiro, esplicitamente influenzate dalla pittura monumentale di Raffaello e soprattutto Beato Angelico. A tal proposito il percorso offre due imponenti cicli decorativi: la Leggenda di Sant’Uberto (1897) e la Glorificazione della Croce (1899), opere che ben lasciano immaginare gli esiti di cicli incomparabilmente più vasti, come la decorazione absidale della chiesa di Saint-Esprit o quella della cupola del Théâtre des Champs-Elysées, ambedue a Parigi. Religione a parte, la pittura di Denis è fatta da squisiti dipinti d’intonazione profondamente intima e famigliare: giovani madri teneramente strette ai loro bambini, autoritratti all’ombra di un albero, l’amata Marthe al pianoforte, lo scorrere delle stagioni nei pannelli realizzati per ornare la stanza di una fanciulla, momenti d’ozio fatti di sole, cuscini e tazze di the...

Alle radici del decorativismo dell’artista c’è una profonda ammirazione per le stampe giapponesi, la cui influenza è maggiormente evidente nella produzione xilografica, ma anche nelle illustrazioni e nei lavori di arte applicata, come il trasognante paravento con colombe, il vaso in ceramica dipinta, e il mobile con pannelli decorativi, opere tutte esposte nella sala conclusiva della mostra.

La sede del Mart di Palazzo delle Albere a Trento propone invece un percorso volto alla scoperta del mare magnum simbolista sotto l’Impero asburgico, confermando una linea di ricerca sull’arte europea a cavallo tra Otto e Novecento che in passato ha offerto significativi approfondimenti sulle figure di Leo Putz, Max Klinger, Franz von Stuck e Vittore Grubicy. "Sulle tracce di Maurice Denis. Simbolismi ai confini dell’Impero asburgico" (fino al 28 ottobre), nonostante il titolo dimostra come il rinnovamento artistico di questo territorio passò, più che dal simbolismo parigino, dalla Secessione di Monaco e Vienna. Furono infatti solo due gli artisti del "Grande Tirolo", Carl Moser e Artur Nikodem, che ebbero contatti diretti con la produzione simbolista d’Oltralpe; ciononostante è evidente come esistessero molteplici coincidenze, al di là delle specificità geografiche, in un linguaggio -il simbolismo- che assumeva sempre più un carattere transnazionale.

Nelle prime sale troviamo infatti, in opere di artisti come Giovanni Segantini (Il frutto dell’amore, 1889), alcune delle tematiche chiave del Simbolismo internazionale: la vita e la morte, la maternità, la riscoperta della religione fra misticismo ed esoterismo, il primitivo rapporto con la natura. Un altro tema, il paesaggio, dimostra come l’interpretazione lirica dell’ambiente circostante fosse al centro delle ricerche estetiche di alcuni protagonisti di questa stagione, da Bezzi a Prati, da Moser a Moggioli, da Nikodem a von Esterle.

Il senso di leggerezza che traspare da questi oli è interrotto bruscamente da un nucleo di dipinti più patiti e visionari, le cui radici sono profondamente infisse nel mito. A parte il trittico di Luigi Bonazza dedicato ad Orfeo, opera che è quasi un’icona di Palazzo delle Albere, vanno segnalate le grafiche di Benvenuto Disertori e di Luigi Ratini, in passato anch’esse al centro di un evento espositivo targato Mart.

La restante parte delle sale è scandita da gruppi di dipinti che offrono sguardi monografici sui singoli protagonisti del "Simbolismo asburgico"; personalità per lo più formatesi negli ambienti secessionisti di Monaco e Vienna, città dominate dalle figure di Franz von Stuck e Gustav Klimt. Tra questi, segnaliamo le opere di Alois Delug, Albin Egger-Lienz, Carl Moser (del quale sono esposte anche alcune xilografie a colori, fortemente influenzate dagli ukioe giapponesi), Artur Nikodem, Alfons Walde e del veronese Carlo Donati, quest’ultimo autore di ampie decorazioni ad affresco di squisito gusto simbolista nelle chiese trentine di Bivedo di Bleggio, Spiazzo Rendena, Folgaria e altre ancora.

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