Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

La cooperazione trentina dopo le assemblee

Fabio Giacomoni

Si sono concluse da poco le numerose ed affollate assemblee annuali delle cooperative trentine, tra le quali particolarmente significative quelle delle Casse rurali e delle Famiglie cooperative, sia pur ridotte di numero (48 le prime, 87 le seconde) per via delle fusioni. E si è registrato un autentico successo; di più, tra i cooperatori, tradizionalmente austeri, si respirava un clima di euforia. Come mai? Partiamo dai dati.

Si considera che a questi incontri abbiano preso parte, nelle diverse zone del Trentino, più di 50.000 persone: per discutere, ascoltare, per votare e farsi votare. In molti casi nei teatri tenda, nei palasport, nelle palestre, con presenze veramente eccezionali (1600 persone a Lavis, più di 1300 ad Aldeno, oltre 700 a Coredo, e si potrebbe continuare). Un importante esercizio di democrazia e di fiducia nel sistema cooperativo trentino, che si presenta oltretutto unitario, senza più divisioni ideologiche oggi anacronistiche; una partecipazione civica consistente e un palese consenso di popolo: forse proprio come contrappeso alla crescente disaffezione e discredito verso la politica e le istituzioni considerate inadeguate e costose.

Significativo è stato anche il contorno di eventi collaterali alle assemblee (premi ai giovani meritevoli, sostegno al mondo del volontariato, ai missionari, alle associazioni sportive e ricreative, cene sociali, ecc.) che mostrano il forte legame e stretto attaccamento al territorio.

E proprio sul centrale discorso del territorio si registra un’ulteriore crescita: la nuova dimensione nella quale operano le cooperative che, dopo le fusioni, agiscono su un territorio più ampio, non più un solo paese - un campanile - ma più comuni. Così i patrimoni e le capacità di affrontare il mercato si irrobustiscono e si estendono. Anche se c’è il rovescio della medaglia: i soci tendono a diventare sempre meno protagonisti e sempre più clienti, col pericolo di annacquare i principi originari.

Durante queste settimane è stata anche proposta e poi approvata una "Carta dei valori" della cooperazione trentina, come basilare orientamento per un’etica condivisa, supporto all’educazione ai principi cooperativi e interprete dei valori più profondi dello spirito solidaristico, che deve caratterizzare l’azione dei soci. E con un’ulteriore finalità: evidenziare la volontà del movimento di sottrarsi ad ogni sudditanza ideologica presente in passato, cioè di non essere più cinghia di trasmissione di precise forze politiche.

A questo punto, un movimento così potente, unitario, forte economicamente e con un ampio consenso sociale, deve proporsi prospettive più avanzate, che vanno al di là del mutualismo cooperativo e che riguardano tutta la comunità trentina e il suo sviluppo. Il presidente Diego Schelfi è stato chiaro: "Abbiamo capito che l’obiettivo primo deve essere la ‘tenuta’ della comunità… Stiamo lavorando non solo per i soci, ma per il Trentino. Noi siamo tutt’uno con la nostra terra, non siamo una parte di essa".

Il sistema ha già ricevuto elogi e riconoscimenti da illustri personalità accademiche come Giulio Sapelli e Stefano Zamagni, i quali parlano addirittura di una "TN way of life", segnalando il Trentino come un modello da imitare per l’unità che ha raggiunto (unico in Italia!), superando le divisioni ideologiche (coop rosse, coop bianche). Un sistema cooperativo a rete, che per molti versi rappresenta larga parte del capitale sociale del Trentino; un tessuto connettivo solidaristico esteso capillarmente su tutto il territorio, che "viene prima della politica e va oltre la politica"– come dice Schelfi – sottolineando ancora le distanze da ogni collateralismo politico e partitico. Non dobbiamo però dimenticare che la cooperazione trentina è stata fino a pochi decenni fa una colonna portante del partito dominante in provincia - la DC - e che dal secondo dopoguerra sino agli anni ’90 si è avuta una perfetta simbiosi tra partito cattolico e mondo cooperativo, contribuendo a far diventare la nostra provincia una tra le zone più "bianche" d’Italia. Ricordiamo anche che la cooperazione ha dato al partito cattolico, oltre ad un notevole apporto elettorale, anche delle personalità di primo piano come Tullio Odorizzi, Luigi Carbonari, Angelo Mot, Aldo Tenaglia, Maurizio Monti, Pierluigi Angeli e altri. Le disavventure della DC trentina con tangentopoli non hanno però intaccato il movimento cooperativo. Il crollo delle ideologie e la scomparsa dei partiti non ha comportato cesure traumatiche all’interno del sistema cooperativo; c’è stata piuttosto una sorprendente continuità, sia nei comportamenti che negli uomini, e con una forte ripresa in questi ultimi anni.

A me pare che ancor oggi il mondo cooperativo riesca a cogliere, forse meglio di altri, alcuni caratteri tipici della nostra terra: in primo luogo quel profondo humus solidaristico di matrice cattolica che si richiama alle antiche Regole delle comunità di villaggio, e che rappresenta una delle radici più forti e sentite della identità trentina. Una specie di codice genetico della nostra terra. Riesce ad intercettare ed interpretare alcuni caratteri, alcune espressioni genuine delle istanze sociali, culturali e storiche della nostra specificità, come la propensione alla socializzazione del rischio, la tradizionale disponibilità all’auto-amministrazione, l’apertura a forme solidaristiche a rete, la sensibilità e la dedizione verso molteplici attività volontaristiche, tipiche delle zone di montagna. Credo che la capillare rete delle associazioni e coop possa essere considerata una specie di tessuto sociale, fortemente compenetrato nella società civile (in particolare nelle valli), come un capitale accumulato nei secoli da non disperdere, ma da valorizzare come una scuola di democrazia, un’abitudine al confronto democratico, un esercizio alla responsabilità e all’impegno civile.

C ’è però anche da dire che se verifichiamo sul campo come si presenta oggi il sistema cooperativo trentino, siamo presi da alcune preoccupazioni. Tutti possiamo constatare infatti come molte aziende e diversi consorzi si siano consolidati, irrobustiti, stiano ottenendo degli ottimi risultati sui mercati sempre più globali. Stanno diventando delle vere holding, combinandosi con delle SPA, però sempre meno controllabili dai soci, gestite da dei dirigenti sempre più potenti e inamovibili, che in diversi casi si autoperpetuano; dove è sempre più difficile capire fino a che punto queste siano ancora delle cooperative a scopo mutualistico e dove invece si consolidino delle tecnostrutture dominanti.

Stiamo attenti, perché in questi casi siamo di fronte a delle degenerazioni: qui si perde l’anima cooperativa, lo spirito solidaristico, e allora ogni riferimento ai valori, ogni discorso sulla cooperazione come scuola di democrazia diventa vuoto e demagogico.