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Gianriccardo Piccoli: appunti e ricordi

Dal 2000 al 2007 la poesia del frammento salvato dalla magia della pittura dell’artista lombardo.

In questo finale d’anno scolastico segnaliamo un po’ in ritardo la preziosa mostra di dipinti di Gianriccardo Piccoli alla Galleria dello Scudo di Francia di Verona (fino al 23 giugno), ma anch’io l’ho potuta vedere tra casse da imballaggio e la concitata preparazione dell’esposizione alla Fiera di Basilea. Ancor più grande risultava però la distanza tra quel rumore intorno e le opere alle pareti, avvolte in un silente scenario, come di calme atmosfere invernali o minute storie di tempi passati.

Milanese del 1941, da subito l’artista, pur nella congerie della poetica informale, mantiene e manterrà sempre un forte rapporto con l’oggetto e con il disegno, sorta di centro dell’opera intorno al quale si stenderà una scenografia minima che ci trasporta dentro un mondo dimenticato che si carica di forte sentimento.

Roberto Tassi definì in maniera inequivocabile, più di trent’anni fa, il nucleo centrale della poetica di Piccoli: "Fin dal periodo informale, tra il 1964 e il 1965, l’oggetto, per quanto venisse disciolto o lacerato, non abbandonava la sua presenza, non si accontentava di lasciare l’ombra o la traccia, ma rimaneva come un cuore a battere dentro il quadro: ed è rimasto come qualcosa d’inalienabile, un’assunzione preliminare, quasi il premio della realtà".

Nelle opere di questi ultimi anni si avverte tutta la malinconia e la pietas di fronte a frammenti di esistenza, trovati un attimo prima della loro definitiva scomparsa, quando ancora conservano intatta l’integrità della loro presenza, e già resi nel versante delle ombre, nascosti come sono da una fitta ragnatela o da una polpa gelatinosa, con quel "sapore di ultimo resto di esistenza, capace in un attimo, quasi implausibilmente – così scrive Fabrizio D’Amico nell’introduzione dell’ottimo catalogo – di alzarsi in canto, in interrogazione, in monito".

Attraverso il velo sottile delle garze affiorano le possibili storie intorno a quei poveri oggetti di elezione, un attaccapanni, una cassetta, una porta, qualcosa su cui ruminare lentamente, esistenze senza attibuto rese mitiche perché salvate e raccontate. Come con gli appunti e ricordi leopardiani, così su questi muri si dipana la materia del quotidiano ieri visto attraverso i toni di un disco d’alabastro o "l’involucro semitrasparente che ci circonda" (il titolo "Trasparenti" dato alla mostra mi ha ricordato alcune atmosfere care alla Woolf).

Gli occhi scivolano su queste liquescenze del tempo, le garze stesse segnalano la cicatrizzazione lenta dei processi di memoria; gli stessi impasti di olio e cera che catturano lo sguardo chiedono su quegli oggetti una carezza, un indugiare partecipe. A ciò si aggiunge la via dell’olfatto: del muschio e del sandalo per "La porta d’Oriente", l’odore dell’angoscia e dei sudori freddi del "Letto di Vincent", le muffe di case disabitate, l’odore dell’indolente apparente immobilità della vita tout court.

La pittura di Piccoli rivela con tutto il pudore della confessione le brevi verità di un sogno o di un incubo ("Shining", 2006), registra per l’insonne il ritmo monotono e incessante delle onde del presente costante.

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