Opera Universitaria: la linea dell’ottusità
I giovani del Centro Sociale Bruno occupano un pensionato universitario chiuso, in attesa di demolizione. Ne chiedono l'uso finchè non si inizino i lavori. Ma l'Università risponde niet.
E' un palazzotto decaduto l’ex-albergo Mayer. Situato nella zona residenziale tra l’Adige e la ferrovia, aveva avuto una certa notorietà ai tempi del ’68 quando, sede di uno studentato universitario, era stato teatro di alcuni avvenimenti dell’epoca (celebre l’invettiva del consigliere comunale Alberto Crespi, che paventava l’incolumità delle giovani donne trentine costrette a percorrere l’adiacente buio sottopasso ferroviario, facili prede degli assatanati "sozzologhi"; non sapeva il povero ing. Crespi che la rivoluzione sessuale aveva già bruciato le tappe, e gli immondi contestatori giacevano al Mayer già sazi dei favori a iosa offerti dalle svergognate sozzologhe).
Dopo di allora, più nulla di significativo. Di proprietà dell’Opera Universitaria, da alcuni anni l’edificio è sbarrato, in attesa di demolizione; per ricostruirvi una nuova residenza universitaria.
Ed ecco che nei giorni scorsi l’edificio viene occupato dai ragazzi del Centro Sociale Bruno. Reduci da altre occupazioni di edifici abbandonati di proprietà comunale – la palazzina al piazzale Zuffo, la ex-sede Sit in via Alfieri; tutte vicende risoltesi con un vergognoso alternare di bastone e carota da parte del sindaco Pacher: promesse ("vi troverò una sede") e minacce ("vi faccio cacciare dalla polizia"). Poi le promesse non si sono realizzate (per responsabilità innanzitutto del sindaco, ma anche per qualche eccesso di rigidità da parte dei ragazzi) e le minacce hanno avuto il via libera, sia pure in forma soft (sgomberi non violenti).
Ed ecco ora che, per il Centro Sociale, la controparte non è più il Comune, bensì l’Opera Universitaria.
Qui forse è opportuno fare una precisazione. Quando si parla di Centri Sociali si immaginano spesso delle realtà trucide: ideologie estremiste, tendenza alla violenza, contiguità con il terrorismo e in ogni caso con i disordini di piazza. In realtà i Centri Sociali sono soprattutto fucine di una certa cultura alternativa: musica, teatro, cinema sperimentale passano di lì; come pure ideali pacifisti, terzomondiali, di vicinanza e sostegno agli emarginati nostrani, i senza casa, gli emigrati, i clandestini.
Il Centro Sociale di Trento mai si è reso responsabile di azioni violente (al massimo: una aspra contestazione di una manifestazione fascista); ha invece organizzato in varie sedi decine e decine di concerti, dibattiti, rappresentazioni teatrali, cineforum; ha portato all’attenzione delle autorità e della pubblica opinione la presenza di senza casa penosamente abbandonati in condizioni degradate; ha aggregato attorno a sè l’appoggio convinto di un numero significativo dei genitori dei propri aderenti: al punto dall’essere attualmente un fenomeno largamente intergenerazionale.
Questo non è bastato per scrollarsi di dosso l’immagine di pericolosi sfasciacarrozze, come i Black Block al G8 di Genova nel 2001. Di conseguenza la diffidenza dei benpensanti, alimentata, anzi aizzata dai partiti del centro-destra cittadino, alla ricerca di un facile nemico. E di qui l’atteggiamento viscido del sindaco Pacher, timoroso di perdere consensi al centro.
Fin qui l’immediato passato.
Con l’Opera Universitaria si poteva pensare a un altro copione. Non pressata da convenienze elettorali, strutturalmente vicina ai giovani, si poteva pensare che l’Opera potesse avere, nei confronti del Bruno, un atteggiamento più disponibile. E anche più sensato, più logico. In fin dei conti i giovani chiedono di occupare un luogo dismesso per organizzarvi attività culturali; pronti ad abbandonarlo quando si dovranno iniziare i lavori per la nuova residenza. Che male fanno?
Anzi: non è un atteggiamento che andrebbe incoraggiato? Giovani che, a proprie spese, si autoorganizzano la produzione di una nuova cultura: gli si dovrebbe dare una mano. A iniziare proprio dall’Università.
E invece no. Dopo iniziali dichiarazioni di disponibilità da parte del presidente dell’Opera prof. Fulvio Zuelli, è venuto un secco pronunciamento, di "condanna" dell’occupazione, e di denuncia alle autorità competenti.
La "linea della fermezza", la chiamano. Forse sarebbe meglio parlare di "linea dell’ottusità".
Con queste chiusure, quale rapporto si pensa di costruire tra i giovani e le istituzioni?