Occupanti
L’occupazione del nuovo stabile in corso Buonarroti. Nuove possibilità ma anche maggiori responsabilità per il Centro Sociale Bruno.
Occupanti. Ne avevo discusso qualche giorno prima con il direttore, all’indomani della festosa manifestazione del 21 aprile. Le nostre posizioni apparivano diametralmente opposte: istintivo simpatizzante lui, più diffidente io. Si avvicinavano invece le nostre analisi: si tratta di una questione politica prima ancora (molto prima!) che giuridica, cui le istituzioni hanno finora dato risposte del tutto inadeguate. Fu comunque il direttore a troncare la discussione: "Andiamoci assieme, domenica sera. Così vediamo anche come si sono sistemati nel nuovo spazio all’ex Mayer".
Nel pomeriggio della domenica, tornando da Bologna verso Trento, pensavo al perché della mia istintiva diffidenza. Riconoscevo che forse i sei anni trascorsi nel capoluogo emiliano mi avevano un po’ incattivito verso quelle forme di contestazione che, all’ombra dei portici, si trasformavano troppo spesso in degrado e in vuoto, di pensiero e d’azione. E ancora, forse, l’essermi schierato a lungo in favore di Cofferati e della sua battaglia per la legalità, contro la lobby dei commercianti del centro e contro i diessini furbetti della federazione bolognese, mi aveva probabilmente allontanato dalle pur giuste rivendicazioni dei militanti dei centri sociali.
Quando alle 20 di domenica sera oltrepasso la stanga del C.S.A. Bruno (la "A" di autogestito – ci viene riferito – ha preso il posto della "O" di occupato, come buon auspicio) la sensazione è di trovarsi ad una specie di sagra di paese. Bambini che giocano, mamme con passeggini, anziani, adolescenti che strimpellano la chitarra, Cesare Maestri che beve una birra… Ci viene incontro Donatello Baldo, da anni tra i più attivi sostenitori dello "spazio sociale" e ci propone una visita guidata alla nuova struttura. L’ex ostello Mayer, di proprietà dell’Opera Universitaria e inutilizzato da tre anni, è un palazzone a metà di corso Buonarroti, situato tra l’Adige e la ferrovia. Il piazzale, prima luogo di spaccio e consumo di droga, è stato bonificato, la parte verde curata e pulita dalle erbacce, di fronte all’entrata sono state sistemate sedie e tavoli, sul retro l’utilizzo del parcheggio (l’unico spazio in uso prima dell’occupazione) è stato garantito ai precedenti avventori. Gli occupanti in cambio hanno avuto una tessera per aprire e chiudere la stanga autonomamente.
L’interno dell’edificio è in buone condizioni. All’ingresso la reception è stata temporaneamente adibita a bar, in attesa della costruzione del nuovo bancone nella sala confinante. Poverello, il bar attuale, ma appunto temporaneo; quello che si sta costruendo, dalla ristrutturazione della sala adiacente, si preannuncia professionale: bancone in mattoni, ovviamente da rivestire, i muratori (volontari) sono lì che stanno ancora lavorando. Ai piani interrati una bella cucina funzionale (in tre-quattro si stanno affaccendando, crespelle e bruschette è il menù della serata, prezzo 5 euro) fa da contraltare ad una sala lavanderia dal carattere vagamente sovietico, con grandi macchinari abbandonati, centinaia di lenzuola negli armadi aperti, un accenno di odore di muffa.
Lo stanzone ricreativo, con biliardi e calcetti, è stato reinventato come sala concerti e dj set, "E’ ancora poco sfruttato; – commenta Baldo – non essendo insonorizzato rischiamo di dare fastidio ai vicini. Non siamo più in mezzo ad un parcheggio…".
Ai piani superiori Donatello ci mostra la sua stanza, l’unica chiusa a chiave. All’interno dell’armadio, quasi un’eccentrica vestaglia, una toga per le celebrazioni ufficiali dei professori universitari, con tanto di bardamenti e pellicciotto d’ermellino. Ve ne sono altre in tutto lo stabile. Ci mettiamo a ridere.
Sono invece in fase di sistemazione una saletta per riunioni e la stanza con i computer, peraltro ben allineati, ma senza connessione Internet. "La Telecom ha garantito la connessione nel giro di qualche giorno – commenta Baldo – E’ fondamentale, dobbiamo aggiornare il nostro sito e fare rete con il mondo dei centri sociali".
La comunicazione con gli altri centri è un aspetto decisivo: gli spazi sociali si alimentano tra di loro, condividono iniziative, si aiutano reciprocamente, si scambiano artisti e performer, e manifestano, esprimendo solidarietà con gli altri C.S.A. e C.S.O. d’Italia e nel mondo. La parola "mondo" va intesa in senso stretto, visto che a Oslo, qualche giorno fa, alcuni attivisti norvegesi hanno dipinto di rosa la statuetta nazionale "Sinnataggen" in esplicita solidarietà con gli occupanti trentini. Solidarietà che non è certo mancata nemmeno in occasione della manifestazione del 21 aprile scorso (vedi La manifestazione ).
Intanto, in giardino, mentre i musici accordano gli strumenti per il concerto, discuto con Donatello e altri riguardo alle mie perplessità. Alcune di queste, dopo un’ora al Bruno, sono già svanite. Nessuna traccia della laida supponenza che avevo visto in alcuni figuri dell’universo "alternativo" bolognese, e nessuno spazio per l’accidia irritante che, nella mia città universitaria, fa troppo spesso coincidere l’essere alternativo con l’essere ubriaco, e il pisciare eroicamente sui muri.
Non trova fondamento nemmeno un altro dubbio con il quale mi ero presentato all’incontro: il Bruno come impresa di pochi pifferai magici, abili nell’intortare studenti delle superiori, troppo appassionati e troppo inesperti. Non respiro questo clima nemmeno per un istante, e il fatto che Donatello, impegnato a parlare con noi, non riesca nemmeno a garantirci (e garantirsi) un piatto di crespelle per la cena perché, gli viene rimproverato, "non ti sei messo in fila come gli altri", la dice lunga sulla presenza o meno di una struttura leaderistico-gerarchica.
Così risolvo (quasi tutti) i miei dubbi: convengo con i ragazzi con cui stiamo parlando che all’ex Mayer ci possono essere le condizioni per portare avanti il loro progetto in modo positivo: creare un polo di aggregazione, di discussione, di confronto, ovviamente improntato ad una critica anche radicale della società, ma non per questo incubatore di atteggiamenti estremi e violenti.
Probabilmente qui avranno ancora più strumenti rispetto alla sede all’ex Zuffo: essere all’interno del tessuto urbano, dentro un quartiere popoloso, comporta indubbiamente problemi, innanzitutto acustici ("Qui non possiamo certo fare le tre di mattina"); ma al contempo porta a una diversa responsabilizzazione, ad essere un più naturale polo attrattivo, a cercare il contatto con la popolazione ("Giovedì abbiamo un’assemblea con i vicini: per spiegarci, capirci"). Intanto sono già operanti alcune regole: la musica, a basso volume, deve terminare alle 11, il calcio-balilla a mezzanotte, "non per il rumore della pallina, ma per le urla dei giocatori".
Con gli opportuni accorgimenti la soluzione sembrerebbe quindi ottimale. Tuttavia incombe il peccato originale, l’illegalità dell’occupazione. Non è infatti chiaro quanto i giovani potranno restare e nemmeno da chi dipenda l’eventuale decisione di sgomberarli. L’Opera Universitaria si comporta in modo contraddittorio: prima si dichiara aperta al dialogo, in seguito condanna e denuncia alla Questura, poi manda un tecnico per spiegare ai ragazzi come aprire i rubinetti dell’acqua.
Il Comune vorrebbe essersi liberato della patata bollente in quanto, almeno a livello giuridico, lo stabile occupato non è, questa volta, di sua proprietà. Appare però chiaro a tutti che una soluzione per la vicenda non potrà essere che politica.
Donatello Baldo verso il Comune sembra comunque nutrire poche aspettative: "Visto il successo della manifestazione ci aspettavamo in verità un cambiamento nell’atteggiamento. Il sindaco Pacher invece si è affrettato a dire che le proposte in ballo sono sempre le stesse: capannone a Spini di Gardolo o tenda (10 metri per 10!) all’ex Zuffo. Sembra che non abbia capito niente!" Il tono delle sue parole è acceso e risentito e mi fa riaffiorare una perplessità, forse l’unica non superata. Il dialogo con il mondo della politica istituzionale. Quando Donatello ci parla del mondo politico lo fa in modo liquidatorio, senza nessuna fiducia. Su questo punto, nei suoi discorsi, non c’è spazio per il dubbio: loro, gli occupanti, hanno fatto tutto il possibile, mentre il Comune ha sbagliato tutto, incompetente quando non in malafede. All’interno della casa è affisso un volantino che appare, in questo, significativo. E’ la lettera scritta dai ragazzi del Centro Sociale ai nuovi vicini, le persone che abitano gli stabili confinanti. Vi si spiega in modo calmo e allegro gli intenti principali, la voglia di convivere e crescere assieme, lo stimolo per far rinascere un luogo da tre anni abbandonato a se stesso e alla droga. Si parla di luce e di accoglienza. Poi una frase, una parola, cambia il clima della lettera in modo brusco: "Non dimenticheremo di dirvi quanto è stato stronzo il sindaco Pacher, che ha fatto promesse senza l’onestà di mantenerle; di raccontarvi tutto quello che sappiamo di questa città, della sua politica, della sua ‘mafietta’…"
Difficile dire se Pacher, prima dell’ultimo sgombero, abbia realmente garantito agli occupanti la riconsegna dello stabile all’ex Zuffo nel giro di poche settimane. Di sicuro la sensazione maggioritaria tra i ragazzi del Bruno è quella che la Giunta comunale abbia trattato dei giovani che si vogliono spendere nel sociale, con i trucchetti e le astuzie in uso nel mondo della politica.
Grande è stata la conseguente delusione: "Ci ha illuso", "Non ha mantenuto la parola".
Di questo avviso è anche Donatello Baldo, che è una persona intelligente, è stato consigliere comunale a Rovereto ed ha esperienza politica. Quando però parla dell’operato del Comune di Trento la sua analisi diventa eccessivamente dura e sbrigativa. La Giunta di Trento, che avrebbe i numeri per decidere con autonomia e che ha il torto di aver in qualche modo lasciato marcire la situazione, si trova infatti tra due fuochi. Accusata dalla destra di non aver usato il pugno di ferro per via della supposta vicinanza ideologica tra il centro sinistra e i militanti del Bruno, ribattezzati all’uopo "pacherini", è anche contemporaneamente apostrofata d’inettitudine e raggiri dagli occupanti, riunitisi al grido di "Pacher merda" sotto le finestre del Comune. Non una facile situazione per prendere delle decisioni comunque delicate.
Per di più il Bruno è vittima di un fraintendimento non peregrino. I Centri Sociali godono di una fama non lusinghiera: indubbiamente incubatori di nuova cultura, di nuova solidarietà sociale (benedette le loro scritte a Milano a favore della comunità cinese, quando la Lega stava organizzando apposite ronde padane) sono spesso stati equivoci nei rapporti con la violenza, senz’altro quella verbale, talora quella fisica. E se è vero che non tutti i Centri Sociali sono uguali, che quelli simpatizzanti per le nuove BR sono assolutamente marginali, resta il fatto che questa parentela, enfatizzata dai media, pesa. E questo anche oltre quella che è la realtà del Bruno, come si è concretamente visto nella manifestazione. Il tutto è più che sufficiente per rendere diffidente un centro-sinistra moderato come quello comunale.
I due mondi – i giovani che si vogliono spendere in maniera irrituale nel sociale, e la politica attentissima agli equilibri – sembrano dunque non riuscire a parlarsi.
Verso le 21 e 30 entra nel piazzale un consigliere comunale di Trento Democratica, reduce dalla visione di un film al vicino cinema Astra. E’ venuto per farsi un’idea. Lo conosco bene (è mio padre...) e so che ha delle perplessità, ma non è prevenuto. Si siede al nostro tavolo e chiacchiera con noi. Donatello, che nella discussione con me e il direttore era stato estremamente aperto al dialogo e recettivo anche di posizioni che non collimavano con la sua, oppone ora un cipiglio prima assente. Nulla di quello che dice il consigliere lo trova d’accordo, nulla lo smuove dalle sue posizioni. Non ci sono margini per trovare un’intesa praticamente su nessun punto, anche quando il Bruno non è più l’oggetto del dibattere. Il dialogo era divenuto immediatamente improduttivo, conveniamo il giorno dopo io e Paris.
Ecco, forse questo rimane l’ultimo, grosso, intoppo.