Un Diavolo per…
Emozionante la "Diavolo Dance Theater", ottimo esempio di intersezione tra danza e circo. Anche se un po' sbilanciata sull'aspetto acrobatico.
Ironizzando sul nome della compagnia californiana fondata da Jacques Heim nel 1992, qualcuno tra gli spettatori presenti al Teatro Sociale deve necessariamente aver pensato che il coreografo avesse davvero un diavolo per capello per decidere di imporre ai suoi danzatori una tale quantità di acrobazie, faticose quanto affascinanti. Tutto cambia e diventa invece ammissibile considerando che gran parte degli interpreti hanno una formazione atletico-circense, ben sottolineata dalla corporatura muscolosa e ben piazzata di alcuni.
A proposito di “stazze”, si è rivelata alquanto curiosa e divertente la prima coreografia proposta nel corso della serata, Knockturne (2006), tutta giocata, per la parte ‘notturna’, sull’improbabile e paradossale rapporto amoroso tra un vero e proprio gigante ed una danzatrice minuta, intenti a rincorrersi ed arrampicarsi l’uno sull’altro in un’atmosfera riempita di sketch comici - oltre che onirici -, porte durissime e candide nuvole. Le porte si moltiplicano nella parte ‘diurna’ della coreografia, ambientata all’interno di un ufficio in cui saltella in maniera disordinata e, per molti versi autoironica, un’intera équipe formata da frenetici ragionieri ed impiegate inquiete. Cominciano già qui le acrobazie, con dei lanci nel vuoto, prontamente attutiti dai colleghi, dall’alto delle porte, che anticipano la situazione oltremodo pericolosa del pezzo finale, Trajectoire (1999).
Fa da intermezzo una coreografia più astratta, D2R-A, che già dal titolo evoca un immaginario schematico d’impronta militaresca. I danzatori si arrampicano e si calano tra un intricato groviglio di pali argentati, quasi un percorso ad ostacoli entro il quale disegnare traiettorie di movimento astratte e concatenate. Il momento di massimo climax spettacolare rimane comunque quello offerto nel secondo tempo da Trajectoire, nel quale la fantasia dello scenografo Daniel Wheeler arriva a concepire una sorta di odierno galeone, il cui moto ondulatorio crescente sospinge i danzatori ad improvvise evoluzioni mozzafiato.
Si è trattato nel complesso di uno spettacolo emozionante, anche se un po’ troppo sbilanciato sull’aspetto ‘acrobatico’: tendenza che si è da alcuni anni consolidata nel quadro delle intersezioni reciproche tra arte coreutica e circense e che, se da un lato offre soluzioni d’indubbio impatto emozionale, dall’altro lascia un po’ a desiderare per quanto riguarda lo specifico dell’arte della danza.