Un 25 aprile di parte
La Liberazione è festa di tutti o festa della sinistra? A interpretare il senso del 25 aprile, paradossalmente sono stati i disobbedienti, invece dei rappresentanti delle istituzioni.
Non ci hanno convinto alcuni aspetti di questo 25 aprile, e vogliamo qui discuterne. Non ci riferiamo agli episodi di insulti alle brigate partigiane ebraiche, con annesso incendio di bandiera israeliana, evento tanto vergognoso quanto demente, poiché celebrare la lotta al nazismo in nome dell’antisemitismo è soprattutto un problema di malfunzionamento dei circuiti cerebrali. Né ci riferiamo ai deprecabili fischi alla signora Moratti, già ampiamente (e giustamente) deprecati.
Ci riferiamo a qualcosa di molto meno marginale, che non riguarda le decine o le centinaia di manifestanti; ma lo spirito con cui, anche ufficialmente, da parte di molti (dei più?) si è intesa la celebrazione.
Per essere concreti, ci riferiamo al caso particolare, ma generalizzabile, della cerimonia tenutasi a Trento, cui abbiamo partecipato, e ai relativi discorsi ufficiali. In particolare a quelli della vicepresidente della Provincia Margherita Cogo e dell’on. Renato Ballardini, ex partigiano e redattore di questo giornale.
La seconda parte dell’intervento di Cogo (dopo un’intensa prima parte, tutta tesa a individuare i filoni che accomunano Resistenza, Costituzione, pensiero politico risorgimentale, problematiche odierne) e l’insieme di quello di Ballardini, legavano la lotta antifascista, lo sbocco nella Costituzione da una parte, e dall’altra l’attuale referendum contro le recenti modifiche costituzionali introdotte dal governo Berlusconi. In pratica – anzi, esplicitamente - si stabiliva una connessione tra lotta partigiana per la liberazione e lotta politica odierna, nello specifico contro l’ultima revisione della carta costituzionale.
Su questo siamo in profondo disaccordo. Intendiamoci: i due oratori (in particolare Ballardini, che non a caso è il nostro editorialista di punta) risultavano estremamente convincenti nel denunciare i pasticci e gli autentici misfatti delle ultime modifiche. Di più: concordiamo pienamente sul fatto che molti di tali svarioni siano dovuti non ad un disegno coerente, ma all’esigenza contingente di compiacere un partito anti-sistema come la Lega. Insomma, la bocciatura di cotali modifiche attraverso il referendum ci sembra auspicabile, anzi doverosa.
Ma qui siamo nell’ambito delle opinioni politiche, che è giusto e positivo siano differenti. Mentre invece il 25 aprile è la ricorrenza fondante della Repubblica e dei condivisi valori costituzionali. E quindi è momento di tutti. Non può una parte impossessarsene, trasformare la giornata in cosa propria, in un momento di pubblicizzazione delle proprie tesi, piattaforma di lancio delle proprie battaglie.
Forse ha giocato il fatto che si tratti di modifiche alla Costituzione. Ma tutti, a iniziare dai padri costituenti, sostengono che la Carta va aggiornata; il cambiamento non è un attentato. E se la modifica sia positiva o negativa è materia di dibattito politico, non di espulsione dal cosiddetto arco costituzionale.
Per questo, a Trento nella Sala del Falconetto, non era bello vedere due moderati, sinceri democratici come Santini e Zampiccoli, di Forza Italia, messi in una situazione di palese imbarazzo dal taglio unilaterale impresso alla manifestazione (e che poi lo stesso imbarazzo non lo abbiano mai pubblicamente manifestato per le forzature del Gran Capo di Arcore è solo problema loro).
Tutto questo ci sembra importante, perché l’Italia ha un evidente problema di gestire correttamente i rapporti fra maggioranza e opposizione. "Il paese spaccato in due" si dice, con enfasi melodrammatica. E a noi pare una fesseria. Se si intende che i due blocchi, centrodestra e centrosinistra sono elettoralmente equivalenti, ci sembra solo un dato statistico, da cui non ricavare alcun allarme. Se invece si parla di un conflitto latente, anche questo, a livello di società, non ci sembra di riscontrarlo. Basta che ad attizzare il fuoco non ci si metta lo stesso personale politico. Finora ci ha provato soprattutto Berlusconi; non vorremmo che, con la tracotanza di una pur risicata vittoria, ci si mettesse anche il centrosinistra (l’impostazione del 25 aprile infatti non è stata locale, ma nazionale: è stato di Prodi l’invito a trasformare la giornata in preparazione dello scontro referendario).
In questo quadro ci sembra invece positivo, e da rimarcare, il comportamento delle cosiddette "frange estremiste", l’area no-global. Che il messaggio del 1945 lo ha attualizzato, ma con perfetta coerenza: sottolineando la continuità tra i valori resistenziali, e la lotta, ahimè attuale, al razzismo e alla discriminazione religiosa.
La piccola manifestazione, interna alla celebrazione, per denunciare la vergognosa campagna d’odio di alcuni consiglieri comunali (Lega e Fiamma Tricolore) contro "negri", gay e islamici, ci sembra un perfetto esempio di come oggi siano attuali e non scontati i principi per cui si lottò e morì allora.
Per una volta, sono stati i giovani a impartire una saggia lezione ai maturi esponenti della politica.