“Gli anni del ciclostile”
Luca Zanin, Gli anni del ciclostile. Lotta Continua e le battaglie politiche, operaie e studentesche a Rovereto (1969-1978). Arco, Grafica 5, pp. 200, 15.
La copertina è una bandiera rossa che sventola, un fuoco acceso. La fotografia è una selva di pugni, di militanti rinserrati, a semicerchio, a proteggere un grido, ad abbracciare un giornale, "Lotta Continua", simbolo del Movimento. Quell’otto settembre 1973 la rivoluzione comunista, capace di abbattere con una spallata, nel mondo, l’odiato sistema borghese, sembra davvero vicina. Minacciato, il capitalismo, dall’arma del ciclostile, che campeggia nel titolo, bianco sul rosso.
Eppure, di quei dieci anni "del ciclostile", dal 1969 al 1978, dall’attentato di Piazza Fontana, a Milano, all’assassinio di Aldo Moro, a Roma, "la linea politica non fu la cosa più importante". Lo scrive, nella prefazione, Adriano Sofri, il leader nazionale di Lotta Continua, che del saggio di Luca Zanin suggerisce così la chiave di lettura. Possiamo credergli.
L’immagine di copertina ricorda, in realtà, all’uscita dalla chiesa della Sacra Famiglia, a Rovereto, una tappa di una lunga storia d’amore, il matrimonio di Mario Cossali e Paola Dorigotti. Nasceranno due bambine, Micol e Susanna, e cresceranno, fino ad oggi, dentro il sistema capitalistico che continua a imperare, sopravvissuto agli assalti. E che ci arrabattiamo, per imbrigliarlo in qualche riforma. A uno sguardo più attento, quei militanti sono ragazzi felici, che ridono. E il foglio che Diego Leoni, al centro, dispiega con orgoglio come carta d’identità, è una pagina fragile, di parole che si possono strappare ad ogni momento.
In quel settembre 1973, l’undici, Paola e Mario nemmeno partono per il viaggio di nozze, un colpo di Stato militare depone in Cile Salvador Allende, che ha vinto le elezioni con una coalizione di sinistra. Lo choc sull’opinione pubblica è enorme, sia per l’assassinio del presidente che per l’appoggio degli Stati Uniti ai militari golpisti. Le manifestazioni di protesta sono immense, unitarie, e, naturalmente, divise da aspre polemiche, anche in Trentino.
Il Partito Comunista italiano rinunciò allora alla conquista del potere da parte delle sole forze operaie, il governo delle sinistre, per una strategia di più ampia collaborazione democratica. Su Rinascita, una carta più resistente,Enrico Berlinguer chiamò "compromesso storico" quella iniziativa politica.
Io, appena tornato dal viaggio di nozze, mi iscrissi allora al Pci. Dopo anni di impegno nel "movimento spontaneo", nato sull’onda del Concilio Vaticano II, a Mezzolombardo. I fascisti - chissà cosa vedevano nel cineforum e nella scuola serale per studenti lavoratori - una notte ci avevano dato fuoco alla sede, e il ciclostile era andato distrutto. Leggevamo la Gaudium et Spes e Il Giorno di Italo Pietra. Per il viaggio, a festeggiare la nostra storia d’amore, avevamo scelto, io e Laura, il Mar Nero. Costava poco quella prima vacanza in aereo. E poi, la Romania di Ceausescu, almeno, si era rifiutata di partecipare, nel ’68, con i carri armati sovietici, alla repressione del "socialismo dal volto umano", nella primavera di Praga.
Tornato dal mare, la politica riprese, con frenesia. Una lunga marcia di riforme pazienti, imperfette, verso il socialismo. Con il "partito", in perenne polemica con la galassia degli estremisti, impazienti, Lotta Continua innanzi tutto. A suon di assemblee, e di volantini, in piazza, a scuola, davanti alle fabbriche. A contare, ad ogni elezione, mai vinta, i guadagni e le perdite. Nasceranno due figli, Chiara e Francesco, e cresceranno anch’essi dentro il sistema capitalistico.
Passeranno gli anni. Oggi è Silvio Berlusconi, alla televisione, che decide delle "riforme": dello stato sociale, del fisco, della scuola, della giustizia, della pace e della guerra. E noi, scomparsi da un pezzo, (quasi insieme, diremmo, quanto più passa il tempo), Lotta Continua e il Pci, ad opporci, con in mano un ramo rinsecchito d’Ulivo. Non morto, però, l’alberello, nonostante i colpi di scure che ci impegniamo noi stessi ad assestargli.
Possiamo credere, dunque, ad Adriano Sofri, che non fu la "linea politica" la cosa più importante di quegli anni?
In fondo - ripensa oggi Mario Cossali, che di Lotta Continua a Rovereto fu il leader - cos’altro fu il ’68, e quel che ne seguì, se non una grande presa di parola collettiva?" Una esperienza esistenziale, prima che una sequenza di fatti. Che pure nel libro ci sono, numerosi, raccontati con vivacità. Con i nomi e i cognomi, delle fabbriche, delle scuole, dei protagonisti, uomini e donne, di Rovereto.
Le lotte per il salario, per il diritto allo studio, per la casa, per la salute. Le sperimentazioni a scuola, i proletari in divisa, le autoriduzioni delle bollette. I mercatini rossi e i comitati di quartiere. Le assemblee, gli scioperi, le manifestazioni. Le occupazioni delle fabbriche, delle scuole, dei municipi. I blocchi stradali, i picchetti, i servizi d’ordine. Le cariche della polizia, gli scontri con i fascisti, e i crumiri, e i processi che ne seguivano.
Le polemiche, e le trattative, con il sindacato, con la Flm, anche con i sindaci democristiani. Le polemiche con i partiti della sinistra storica, la Fgci, la Fgsi, e fra Lotta Continua e gli altri gruppi extraparlamentari, Avanguardia Operaia, gli Anarchici, il Movimento studentesco, il Manifesto, il Pdup, l’Mls…Le elezioni, i referendum, le tattiche da seguire, ogni volta diverse. La fondazione di Democrazia Proletaria, e poi di Nuova Sinistra.
Il cinema, il teatro, i concerti. Il dibattito sulla politica internazionale, dalla guerra in Vietnam alla morte di Che Guevara. I comunicati, i giornalini, i volantini, la contro-informazione dei taze-bao, in un linguaggio infarcito di "sfruttamento brutale", di "profitto di rapina", di "selezione di classe", di "operai e studenti uniti nella lotta". Allora, non c’erano dubbi, la ragione stava dalla parte della classe operaia, centrale, con gli studenti, il movimento, al suo fianco.
Le discussioni non avevano fine, sulla violenza, sul terrorismo. Su Cristo e su Marx, sui Cristiani per il socialismo, vi partecipavano anche le Acli, e la Pastorale del Lavoro. Fino all’esplodere della questione femminile, la scissione, e la decisione, a Rimini, nel 1978, di chiudere quell’esperienza.
Esperienza esistenziale, dunque, "gli anni del ciclostile", prima che sequenza di fatti. E’ una definizione che vale per tutta la storia contemporanea: è (anche) per questo che il decreto sull’insegnamento del Novecento, del ministro Luigi Berlinguer, suscitò entusiasmi e opposizioni, in alto e in basso.
Ed è forse per questo che Luca Zanin, giornalista al Trentino, nell’accingersi a studiarla, e poi a raccontarla, sente il bisogno di ricordarci: "Nel 1969, - quando nasceva Lotta Continua - il sottoscritto frequentava senza alcuno slancio rivoluzionario la scuola materna." Ai momenti magici, anche quelli degli altri, si guarda sempre con una punta d’invidia.
Nemmeno Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo Storico in Trento, che firma l’introduzione, ha potuto fare esperienza diretta di quegli anni fatidici: "Allora frequentavo le medie a Mori", confessa. Ma in quella scuola, che il Provveditorato credeva di avere normalizzato, cacciando Luigi Emiliani, il preside "rosso", l’insegnante di storia gli fece leggere, d’estate, come lettura delle vacanze, il "Manifesto del Partito Comunista" di Marx.
Quello era il clima: e chissà quali giochi la maestra avrà imposto a Luca Zanin, nel cortile della scuola materna, per prepararlo alla rivoluzione, senza che il bambino, e i genitori, se ne avvedessero. Ecco perché i "moderati" dei lunghi anni Ottanta, l’età del riflusso: "L’abbiamo scampata bella", si dicevano, e sospiravano, nell’attesa che Berlusconi apparisse nel suo fulgore.
Nel 1969, (non ero mai a sinistra abbastanza), ero stato costretto dai miei primi studenti a portare in classe i giornali, e a leggerli quasi in clandestinità. Dieci anni dopo, appena, dovevo io, il riformista, scoprire ragioni difficili per convincere alcuni, almeno, fra i nuovi ragazzi, che la politica non è una cosa del tutto sporca.
Venivano a scuola, però, sempre più numerosi, anche se, i più, disincantati (e imbarbariti dalla Tv). E li guardavo, anche gli indifferenti, quelli che non avrebbero mai preso in mano un giornale, i maschi e le femmine, indossare i jeans e la minigonna, lasciarsi crescere e tagliare i capelli, uscire la sera, cantare la musica rock, usare il contraccettivo. E poi mettersi insieme, sposarsi in chiesa o in municipio, e divorziare, se l’unione, nel dolore, falliva. Non sapevano di essere così gli eredi del ’68, di quei loro antenati che, li accusavano, si erano lasciati strumentalizzare dalla politica.
Affidiamoci a Paul Ginsborg (Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, ed. Einaudi) per una valutazione d’insieme. "Presi nel loro insieme, i gruppi rivoluzionari italiani costituirono la più numerosa forza di Nuova Sinistra a livello europeo. Erano, comunque, fatalmente segnati fin dall’inizio." Lo storico inglese simpatizza per essi, ma non ne nasconde limiti ed errori: "erano spesso ferocemente settari", "divennero delle versioni in piccolo dei partiti politici", "mantennero un atteggiamento ambiguo verso la violenza", e, soprattutto, erano, incredibilmente, "convinti dell’imminenza della rivoluzione in Occidente".
Anche Luca Zanin simpatizza per il suo oggetto di studio, "i protagonisti delle battaglie politiche, operaie e studentesche a Rovereto". Li ascolta, li ammira, così giovani, appassionati, messianici, nell’ansia di giustizia da cui sono animati. La critica, legittima, prende però la forma del linguaggio dell’ironia, che banalizza, talvolta ridicolizza. Si muovono a "schiere", a "centurie", in "battaglie focose", in "azioni plateali", che si concludono "a tarallucci e vino". C’è, a mio giudizio, un nodo irrisolto nel linguaggio giornalistico sulla politica: come conciliare la critica della politica e l’educazione alla sua necessità. La politica è una cosa seria, persino quando (oggi) è volgare. Altrimenti il messaggio che arriva al lettore è il qualunquismo dell’antipolitica. E la crisi, il mutamento di rotta, si riducono a un "rientro nei ranghi".
Nel 1980, Mario Cossali e Fabrizio Rasera saranno fra i fondatori di Questotrentino. E altri, fra i protagonisti del decennio precedente a Rovereto, vi scriveranno. Poi approderanno al Pci-Pds, proprio negli anni in cui io, logorato, e cieco sulle prospettive future, mi tiravo in disparte. In quel partito, e nelle istituzioni, avranno ruoli di dirigenti, e non eviteranno i rimbrotti, anche aspri, del giornale di cui erano stati all’inizio una colonna.
Ecco: il "sistema borghese", in cui la storia ci ha chiamati a vivere, è il sistema del "capitalismo", ma anche della "democrazia". Nei partiti, e nei giornali, (che nascono, si trasformano, muoiono), possiamo entrare, uscire, rientrare, spostarci lontano, girovagare nelle vicinanze.
Alla politica, (che è trovare le regole per stare insieme), possiamo dare energie, e possiamo concederci pause, in cui (soprattutto) dedicarci al lavoro, allo studio, agli affetti. Nessuno, fra i "lottatori" roveretani, è diventato agente di borsa, terrorista, o funzionario di Forza Italia.