Com’è difficile essere di sinistra!
l congresso dei DS e la loro - scarsa - incidenza sul governo provinciale.
Tempo addietro era più semplice essere di sinistra. Aveva pensato a tutto Karl Marx, un ebreo
tedesco, un enorme ossimoro vivente e pensante: l’umanità era divisa in classi le cui contraddittorie condizioni materiali generavano la lotta di classe che mirava a creare una futura società senza classi in cui tutti fossero egualmente liberi. Una mirabile utopia che portò i socialdemocratici a creare lo stato sociale conferendo così un volto umano al capitalismo, e che indusse i comunisti a compiere le loro rivoluzioni.
Un radioso miraggio che però partorì Stalin, Mao Tse-Tung, Pol Pot e Fidel Castro. Ora tutto questo è passato. Essere di sinistra è più complicato.
E’ ancora facile dire qualcosa di sinistra. Il mondo è così colmo di ingiustizie che, non a tutti, ma a molti viene spontaneo di denunciarle. Più difficile è farequalcosa si sinistra. La forza di inerzia della struttura economico-sociale che si è venuta realizzando, da cui derivano le innumerevoli iniquità umane, è così resistente ad ogni tentativo di innovazione che modificarla è un’impresa assai ardua. Tanto più che essa ha elaborato una sua teoria, cioè una cultura a proprio sostegno che neutralizza nei corpi democratici le spinte volte alla sua riforma. Al punto che le stesse parole "riforma" o "riformismo", che in origine designavano movimenti di opposizione alle strutture esistenti, oggi hanno assunto un significato ambiguo, poiché si adattano, in gergo comune, a definire anche movimenti moderati ed accomodanti o addirittura ad indicare vere e proprie controriforme.
Talché oggi a sinistra l’alternativa è se accontentarsi di porsi in una posizione antagonista al sistema ma minoritaria, e quindi radicale ma infeconda poiché negli ordinamenti democratici per incidere nella realtà occorre essere maggioranza; o se ambire a diventare maggioranza, ricercando alleanze con forze il più omogenee possibili con i propri contenuti, che in tal modo subiscono però una inevitabile diluizione. Ma in questa seconda ipotesi è pur sempre necessario che le ampie coalizioni di governo alle quali la sinistra partecipa siano tali da garantire che sia realizzato qualcosa di sinistra.
Ebbene, mi è parso che questa perentoria esigenza non fosse presente nel dibattito svoltosi nel recente congresso provinciale dei DS del Trentino. L’alleanza con la Margherita è vissuta dai DS come una scelta strategica. Ciò è comprensibile, poiché senza di essa si aprirebbe il varco al dominio della destra. La rottura di tale alleanza offrirebbe ai DS soltanto una prospettiva d’opposizione, mentre per la Margherita resterebbe comunque una probabilità di governo ricucendo un’intesa con Forza Italia che in Trentino si riconosce in Malossini. I rapporti di forza in Consiglio provinciale sono squilibrati a vantaggio della Margherita, al contrario di ciò che avviene in sede nazionale.
Un tale stato delle cose spiega il rapporto subalterno dei DS rispetto a Dellai ed alla Margherita. Ed anche gli indecorosi maltrattamenti subiti, in Provincia ed a Rovereto, dal maggiore partito della sinistra trentina in quest’anno seguito alle elezioni provinciali.
Infatti le menzionate circostanze privano i DS della verosimile possibilità di rompere la coalizione. Ed è ben noto che il cosiddetto potere di coalizione è annidato nella verosimile possibilità di romperla.
Da questa elementare constatazione deriva la necessità per i DS di inventare qualcos’altro per far pesare la loro influenza. Il nuovo segretario, Remo Andreolli, pare che abbia individuato uno dei punti deboli della recente esperienza: la desolante incapacità del gruppo consigliare di agire in modo compatto. Ha promesso di porvi rimedio. Ma non basta.
I DS devono recuperare l’orgoglio e la fierezza della loro cultura. Devono sentirsi investiti della rappresentanza di tutta la sinistra trentina che misura, in termini elettorali purtroppo dispersi, la stessa quota della Margherita. Devono convincersi e convincere che non sono il partito del no, ma al contrario che sono portatori di progetti in positivo per la nostra Autonomia.
L’ordinamento dei poteri della nostra Autonomia, appunto. Urge decentrare l’ingorgo di funzioni oggi addensate negli uffici provinciali del capoluogo. La soluzione razionale era nei comuni di valle, secondo il disegno originario di Bressanini. E invece si è ripiegato confermando un inutile ente intermedio, la comunità di valle, con il risultato di complicare il rapporto fra cittadino e potere, ciò che non giova alla democrazia.
La Valdastico non è una questione ideologica, ma culturale sì. Essa simboleggia un modello di società, la società veneta, ricca ma caotica perché frenetica, consumista, predatoria. Abbiamo sotto gli occhi un altro modello, il modello del Sudtirolo, pure ricco ma ordinato, rispettoso dell’ambiente, con un’impronta di serena sobrietà.
Qui devo fermarmi. Ma mi pare che basti per segnalare aspetti della nostra realtà provinciale sui quali una sinistra convinta delle sue buone ragioni avrebbe la possibilità di realizzare, appunto, qualcosa di sinistra.