Strategie naturalistiche
Considerazioni sul lavoro di Cattelan: opere d’arte e cazzate.
Il ragno. X è un artista contemporaneo. Gli viene richiesta dal Comune di Milano la creazione di un’opera da esporre in modo irrituale: superati gli ammortizzatori ambientali, come sale e musei, lo si invita ad usare un angolo di strada quale spazio per l’esibizione. X è scafato, sa cogliere ogni occasione che possa arrecargli un ritorno pubblicitario. E sa che una buona scorciatoia per far parlare di sé è fare qualcosa di provocatorio. Ma ormai le provocazioni in arte, dai primi anni del ‘900, non si contano e non ci sono più tante nonnette in giro disposte a scandalizzarsi per l’urinatoio di Duchamp… Adesso le nonnette vanno a ballare davanti alle telecamere di Canale5 e non hanno problemi a scosciarsi e a dire cazzo. L’incubo di un artista che vuole shockare è "fare un buco nell’acqua", per un’assuefazione epocale alla provocazione. Ma X non è un pivello. Conosce la statistica e sa che per la legge dei grandi numeri esisterà pur sempre un coglione disposto a mettersi in trappola reagendo scompostamente alla provocazione e amplificandone così l’effetto mediatico.
X ha in mente una bella scultura. Michelangelo andava a Carrara per rifornirsi del marmo che poi avrebbe con fatica scalpellato. X è un uomo moderno, e non ha tempo da perdere. Va direttamente alla Standa. "Salve, mi servirebbero 3 manichini per un progetto che mi è stato commissionato dal Comune di Milano…". - Sarei felice di poterla aiutare - risponde il vicedirettore - ma purtroppo non li usiamo più. Però, a pensarci bene, devono esserci rimasti in magazzino dei vecchi fantocci per corredi da scuola elementare…- "Bambini? Ancora meglio, perfetto!".
X si dirige lieto verso il suo laboratorio per portare a termine l’opera. Prima però si ferma un attimo dal ferramenta per procurarsi un dieci metri di fune di canapa. Ora il materiale c’è tutto. Senza altri arnesi se non la pura forza delle mani plasma la sua opera. Incravatta i pupazzi con la fune, tipo nodo scorsoio. La scultura è pronta. Telefona al Comune che passino a ritirarla per allestirla nel luogo preposto. I tre pupazzi vengono appesi a un albero, come nei film di Ringo. L’esposizione suscita qualche raccapriccio ma le reazioni sono un fenomeno locale, senza grande risonanza. X non si perde d’animo, come il ragno attende la mosca dopo aver tessuto la sua tela micidiale.
La mosca. Y, un muratore disoccupato che abita lì vicino, ronza intorno all’opera d’arte di X. Si sente irritato da una simulazione tanto inelegante di violenza. Nota il disturbo che suscita nei passanti. Magari si chiede pure se per rompere l’anima ai cittadini e stupirli nel nome dell’arte non si oserà inscenare prima o poi qualche bello stupro pedofilo simulato. Avverte dentro di sé il ribollire delle pulsioni di giustizia che si agitavano in Robert De Niro mentre batteva i bassifondi col taxi. Così decide di fare il giustiziere e di rispondere pan per focaccia all’opera d’arte di X con una ancor più provocatoria e articolata opera d’arte. Y pensa: se Duchamp, Dalì, Léger e tanti altri non hanno avuto problemi a elaborare la Gioconda mettendole i baffi o circondandola di aggeggi… perché io non potrei elaborare la scultura di X alla mia maniera? Così Y attua il suo intervento artistico, un happening basato su una fisicità altamente performante e plastica. Attende la notte, notoriamente propiziatrice di ispirazione, per arrampicarsi con furia iconoclasta sull’albero e restituire ai finti frugoletti sacrificati un barlume di umana pietà, liberandoli dal cruento giogo dei cordami. Ma il vero coup de théatre, il colpo di genio, avviene quando perde l’equilibrio e segue sul duro terreno i pupazzi a cui aveva reso l’onore. Si spacca qualche osso. L’incidente attrae l’attenzione dei passanti, arriva la polizia, Y viene denunciato, ne parlano i giornali, la televisione… E’ fatta! X si frega le mani soddisfatto, non poteva andare meglio di così, la trappola si è rivelata più efficace delle aspettative. La strategia del ragno ha funzionato.
Fortuna critica. X e Y, l’avete capito, sono entrambi grandi artisti, due titani. X però è un professionista, Y resta un dilettante, anche se dotato. Da questo singolare evento il primo si è guadagnato ulteriore notorietà, mentre l’altro rischia un anno di galera. In altre parole l’opera d’arte di X è stata pubblicizzata e pagata, mentre la performance di Y ha avuto risvolti meno fortunati: ossa rotte e resultanze penali.
Come mai? Dove risiede in questa storiella il sottile criterio interpretativo che discrimina l’opera d’arte dalla cazzata? Forse semplicemente nella faccia dell’autore. Colui che ha la faccia di tolla di dichiararsi artista di fronte alla società (e per misteriose ragioni viene creduto) vince.